Odissea X 28-79

trad. in esametri di Daniele Ventre

Per nove giorni continui viaggiammo, di notte e di giorno,
e finalmente nel decimo apparvero l’aie paterne,
giunti ormai presso, vedemmo degli uomini accendere fuochi.
Sonno soave su me sopraggiunse, tanto ero stanco;
sempre un timone di nave reggevo, né ad altri compagni
mai lo lasciai, perché presto toccassimo terra di padri;
gli uni con gli altri i compagni scambiavano intanto parole,
e immaginavano che mi portassi a casa oro, argento,
da parte d’Eolo cuore magnanimo, Ippotade, doni;
E così disse qualcuno, volgendosi a un altro vicino:
“Ah, che amicizie e che onori costui si procura fra tutti
gli uomini, quelli di cui la città, la terra raggiunga!
Molti tesori si porta con sé, sin da Troia, stupendi,
della sua preda; noi invece, compiuta la stessa sua via,
ce ne torniamo qui in patria ed a mani vuote restiamo.
E gliene ha dato ora un altro, compiace così l’amicizia,
Eolo. Ma in fretta, suvvia, vediamo che dono è mai questo,
la quantità d’oro e argento che chiusa nell’otre si cela”.
Dissero, e vinse così fra i compagni malo consiglio;
sciolsero l’otre, ma tutti i vènti balzarono fuori,
presto con rapido moto ben via dalla terra dei padri
ci trascinò la procella; piangevano; ed ecco che io
mi ridestai, ed allora nel nobile cuore fui in dubbio
se dalla nave dovessi gettarmi e morire nel mare,
o sopportare in silenzio e restare ancora tra i vivi.
E sopportai e rimasi, velatomi, dentro la nave
giacqui; nell’isola Eolia l’avversa tempesta di vento
trasse di nuovo le navi; gemevano intanto i compagni.
Là in terraferma scendemmo, ed attingevamo dell’acqua,
svelti prendevano il pasto fra le agili navi i compagni.
Ma non appena ci fummo saziati di cibo e bevanda,
ecco che allora al mio fianco avendo un araldo e un compagno,
d’Eolo le case gloriose raggiunsi; e così lo trovai
che banchettava seduto accanto a sua moglie, ai suoi figli.
Giunti che fummo alla casa, vicino ai pilastri alla soglia
noi ci sedemmo; essi in cuore stupirono e chiesero, infine:
“Come tornasti qui, Odìsseo? Che demone avverso ti incalza?
Ti rimandammo con tutta amicizia, sì che giungessi
alla tua patria, alla casa, dovunque a te fosse gradito”.
Dissero, ed io fra di loro parlai con in cuore l’angoscia:
“Fu per follia dei malvagi compagni e con loro fu il sonno
perfido. Voi rimediate, amici: oh, ne avete il potere!”
Sì, così dissi, volgendomi a loro con blanda parola:
essi rimasero muti; ma il padre rispose parola:
“Vattene via da quest’isola, in fretta, tu, vile fra i vivi;
no, non è giusto che io dia soccorso e in patria rimandi
uomo che sia fatto segno dell’odio di numi beati;
vattene via, ché per l’odio di numi immortali qui giungi!”
Disse così e mi scacciò di casa, che grave gemevo.
Via navigammo di là, più oltre, angosciati nel cuore.
E per la nostra follia e per il dolente remeggio
stretto era agli uomini il cuore, ché a noi non si offriva più guida.

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3 Commenti

  1. Hai fatto una traduzione molto buona, a mio avviso, molto leggera e lontana da quelle traduzioni che fanno della lettura di Omero una tortura. Bravo!

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Daniele Ventre (Napoli, 19 maggio 1974) insegna lingue classiche nei licei ed è autore di una traduzione isometra dell'Iliade, pubblicata nel 2010 per i tipi della casa editrice Mesogea (Messina).
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