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Sono tutte storie. Intervista a Gosia Turzeniecka
a cura di Ivan Fassio
“Sono tutte storie”, risponde alla mia prima domanda, su quanto i racconti giochino un ruolo importante all’interno della sua arte. È l’ammissione di un’inevitabile dipendenza dalle esperienze vissute, e, al tempo stesso, un rifiuto dell’insistenza del linguaggio verbale. Sottrarsi al potere della concatenazione narrativa di cause ed effetti rappresenta il fulcro del nostro progetto. L’occasione per quest’intervista è, infatti, la prossima personale di Gosia a Torino, alla Galleria Glance. Di questa mostra io sono il curatore. So, siccome l’esposizione è già allestita, che ha a che fare con il concetto di aderenza. Coincidenza della linea con i lineamenti del soggetto, rapporti di sinestesia, corrispondenza di nomi e cose, convergenze di descrizioni e segni. Non a caso, Con il Titolo è il modo in cui abbiamo battezzato l’esibizione, quasi a voler indicare l’irriducibilità di un’arte che si pone come linguaggio indipendente nei confronti della parola definitiva e chiarificatrice.
Gosia dipinge seguendo energie primordiali, china o seduta sul foglio da disegno. Proprio in questo modo, secondo me, dovrebbero essere comparse le prime scritture e nate le lingue: nello sforzo del ventre che, dal segno tracciato con volontà di comunicazione, avrebbe poi generato una particolare emissione fonetica a cui adeguare sinteticamente il disegno.
I.F.: La tua linea ha qualcosa di musicale. Talvolta è un violino, talaltra un tonfo. Sempre ci dice qualcosa in modo aurorale, come se fosse visto e riferito per la prima volta, in un’armonia originaria. Quale rapporto ha la tua pittura con la categoria estetica del suono?
G.T.: Da un grado inferiore dell’evoluzione, fino alle sottili emozioni umane, la sonorità è fondamento della mia pittura. Rimango ferma nella stalla di Nonno Celestino a Robella ad aspettare che le mucche caghino o piscino. Mi sposto da una all’altra, nel momento in cui sento il rumore degli escrementi, e immortalo il momento. Corro dietro a galline e anatre. Sono stata ferma immobile di fronte a milletrecento oche schiamazzanti, in Polonia, nel capannone di un contadino, mio vicino di casa. Le faraone sono le più stronze, fanno rumore e si muovono in fibrillazione continua, per questo devo fare continui sforzi di concentrazione. Una volta, un maiale, nonostante gli stessi parlando perché rimanesse fermo, ha addentato il foglio sul quale lo stavo ritraendo. Poco male, l’ho esposto così, con un angolo mancante: il porco mi ha regalato un ready made!
Quando dipingo le persone dormienti ascolto il fiato, mi muovo in una sinergia creativa tra torpore e suono. Ho dipinto cantanti lirici giapponesi e Lucio Dalla in concerto, a Novello, e ho sempre tentato di gettare un alone di ipnotico movimento sulla rappresentazione.
I.F.: Il dentro e il fuori sono aspetti del tuo approccio alla creazione. Un continuo avvicinarsi e scavalcare la linea che ci porta alla sorpresa della scoperta, alla presa di coscienza di un mondo chiuso oppure sterminatamente libero.
G.T.: Sono cresciuta a Piotrko’w Trybunalski, in Polonia, davanti alla facciata di un condominio che spesso dipingo. Questi assemblamenti di alloggi si chiamano Blok. Sono dei blocchi in cui tutte le figure possono rientrare, come nella mia pittura. Hanno qualcosa di malvagio, nella loro essenza di cemento, ma, allo stesso tempo, danno calore. Nella povertà che possono esprimere rimangono comunque delle fonti di familiarità e di protezione. Queste pareti mi affascinano, le finestre accese, le vite chiuse, silenziose nell’intimità notturna. Da piccola, andavo sul tetto di questi casamenti a giocare, da lì percepivo le pulsazioni delle esistenze, fino al piano terra. Oppure, le ombre della case contadine, che si vedono in lontananza, nell’infinita pianura Polacca, mi danno la stessa sensazione: percezione di vite che continuano. Se, oggi, non rappresento le finestre sempre dall’esterno, è perché, paradossalmente, ho trovato una via d’uscita. Allora, un giorno, da una stanza che dà sul porto di Mentone, ho dipinto le finestre, illuminate da una candela, che sono la strada per il mare, l’accesso al viaggio, l’ipotesi della libertà.
I.F.: Conoscere è rendere familiare un aspetto della realtà, per riuscire a darne una definizione nuova, lontana dalle consuetudini linguistiche. Certi tuoi quadri, creati nel movimento di un’unica linea, mi paiono frammenti di un nuovo alfabeto. Per fare questo, penso che occorra molto esercizio, ma anche l’assimilazione tra i propri affetti di un intero spaccato del mondo.
G.T.: Ricerco la familiarità come in un’indagine singolare, che mi permette di prendere confidenza, di amare le cose. Allora, ultimamente, ho ritratto mia madre sessantenne, mentre si trucca e si toglie qualche peletto dal viso, tutte le mattine. È il suo momento di dedizione a se stessa, nell’accappatoio rosso, con lo specchietto giallo in mano. Penso che quest’opera sia il modello esemplare di questa mia ricerca. In questo periodo, ritraggo spesso mio figlio Moreno. Tutte cose che si riferiscono ad una quotidianità degli affetti. Un modo per provare compassione e amore verso il mondo è anche avere delle luci accese da contare e da rappresentare sul foglio, a cui appassionarsi per renderle familiari: siano esse candele nel silenzio di un bosco Polacco, stelle sul golfo di Noli, lanterne in un viale, fari di navi al largo o riflessi della luna sul mare notturno.
Gosia Turzeniecka
Con il Titolo
Inaugurazione: 15 Gennaio 2013,
ore 18:30
Galleria Glance
via San Massimo n.45 (interno cortile)
10123 Torino
opening hours: martedì – sabato 15:30 – 19:30
o su appuntamento
tel.:+39 345.336.4193
http://www.galleriaglance.com/