L’uomo che non era morto e altre storie
di Davide Orecchio
L’UOMO CHE NON ERA MORTO
Sei anni fa, nello stato indiano del Madhya Pradesh, Raju si presentò dalla polizia e chiese aiuto. L’uomo doveva provare d’essere vivo. Katra, il suo villaggio, l’aveva messo al bando perché lo riteneva morto. Si era ammalato e l’avevano ricoverato in un ospedale lontano dal villaggio. Ma un parente aveva avvisato familiari e compaesani che Raju non c’era più. Il villaggio aveva celebrato la cerimonia funebre. Quando, dimesso dall’ospedale, l’uomo tornò a Katra, quello che vide furono fratelli in fuga da un fantasma, bambini terrorizzati, amici che si rinchiudevano in casa. Allora andò a protestare dal panchayat (il comitato del villaggio). E gli risposero: “Sta a te dimostrare che non sei morto”.
Fonte: Times of India, gennaio 2006.
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LE GEMELLE MORTE ALL’UNISONO
Maria C. era espansiva ed estroversa, sua sorella Ana C. era timida e riservata. Le due gemelle erano convinte che per loro la morte sarebbe arrivata nello stesso istante. O forse lo desideravano. A 76 anni Maria si ammalò. Viveva a Sincé nella provincia di Sucre, che sta in Colombia. La sorella, che abitava a Corozal, l’andò a trovare. Quando Ana tornò a casa, la colpì l’identico male di Maria. Alle 19.30 del sette marzo 2006 Ana C. muore in un ospedale di Corozal. I parenti chiamano Sincé per avvisare la sorella e apprendono che, alle 19.30 del sette marzo 2006, anche Maria C. è morta.
Fonte: Adnkronos, 2006.
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REVERSO
Ora la trovano. In un fosso al lato dell’autostrada. Vicino a una città del nord. Nella malerba secca di gennaio. Tra le canne e la cicoria marcia ecco il suo non volto: non occhi, non bocca, non pelle; diranno: “sfigurato”. Sta lì da mesi. Nel corso del tempo (la decomposizione) ha perso la fisionomia. I suoi compagni: un corpo piccolo di donna anziana, capelli bianchi, abiti estivi (una camicia a fiori, pantaloni neri di cotone).
A dicembre la pioggia le accompagna il fango sulle caviglie. A novembre un topo le mangia il naso. A ottobre un corvo le becca le pupille. A settembre un gatto le miagola incontro e intimidito. Ad agosto i Tir spostano il vento e il vento le muove la camicia. A luglio un giovane straniero denuncia che la madre è scomparsa e non parla l’italiano e ha settant’anni e la demenza senile.
Ora sbatte la testa sulla pietra e sviene. Poco fa rotolava nel fosso. Poco prima è scivolata verso il fosso. Ora ha sete, fame, freddo. È una notte di giugno. Lascia l’area di servizio. S’allontana dall’asfalto. Prende uno sterrato. Non vede nulla. Non vede le cose né i ricordi. Pensa: e la spesa? e il cane? e mia madre?
Ora scende dall’auto della polizia stradale, inerme. Le mostrano una tettoia nell’area di servizio. Che si ripari là sotto. L’auto riparte, irresponsabile.
Ora quante luci, quanti rumori! I poliziotti la fermano. Com’è arrivata fin qui? Come si chiama? Da dove viene? Lei non risponde. Non capisce. Sorride. Chiede del pranzo, della cena, della spesa, del cane, della madre. Neanche i poliziotti rispondono, né la capiscono. Stanno zitti. Decidono.
Ora esce di casa. Sulla porta è appeso un foglio con su scritto (in una lingua che non è la nostra): “NON APRIRE. NON USCIRE”. Perché?, si chiede mentre l’apre. Poi le scale, la strada, il sole, il cane, la spesa, mia madre. Nessun gesto si dimentica. È impossibile vivere rinchiusi.
Fonte: La Stampa, 2011.
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LA LETTERA DI VAN GOGH E GAUGUIN
Arles, 1888. Euforico, Vincent Van Gogh strappa un foglio di carta da un quaderno scolastico e inizia a scrivere una lettera a Émile Bernard, giovane artista d’avanguardia. Paul Gauguin è al suo fianco, l’ha raggiunto da poco più di una settimana. Van Gogh racconta il suo amico:
“Come uomo, Gauguin mi interessa molto, moltissimo. Ho sempre pensato che nella nostra sporca professione di pittori abbiamo bisogno di persone con mani e stomaci da operai, e gusti più naturali e temperamenti più generosi e benevoli dei boulevardier parigini, decadenti ed esanimi. Non c’è alcun dubbio che qui siamo in presenza di una creatura vergine con gli istinti di un animale selvaggio. In Gauguin il sesso e il sangue prevalgono sull’ambizione”. (…) Siamo già stati in diversi bordelli ed è molto probabile che ci lavoreremo spesso”.
Dopo un passaggio in cui annuncia “il presentimento di un nuovo mondo” e “un grande rinascimento artistico”, Van Gogh passa penna e foglio a Gauguin: “Finiscila tu”. Gauguin aggiunge:
“Non dia retta a Vincent, come sa tende all’ammirazione e all’indulgenza. La sua idea sul futuro di una nuova generazione ai tropici mi sembra assolutamente giusta, come pittore, e intendo tornare laggiù non appena ne avrò i mezzi. Chissà, con un po’ di fortuna…”.
Poche settimane dopo la coppia si divide. Il celebre litigio violento. Van Gogh prende la strada di sanatori e manicomi. Gauguin torna a Parigi e poi in Polinesia. Non si vedranno mai più.
L’originale della lettera è stato recuperato. Per chi avesse qualche soldo da parte: sarà messo all’asta da Christie’s a Parigi il prossimo 12-13 dicembre. Si parte da una base di 300/500mila euro.
Fonti:
La pagina sul sito di Christie’s
Un articolo del Guardian
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un ensemble che mi riporta ai tempi di certe buste sorpresa in cui non sapevi mai quali riviste ti sarebbero capitate a folgorarti,o a quelli più recenti in cui un Dan Simmons(il canto di Kalì)riesce a trattare gli stessi argomenti senza scordarti di fornirti le chiavi per una rutilante catarsi.Inoltre mi viene da pensare(“un po per celia,un po per non morire”)che affrontare queste tematiche in un momento storico in cui un premier consunto decide di ricandidarsi,spacciandoci la cosa come un regalo,è come parlare di corda a casa dell’impiccato
http://www.youtube.com/watch?v=_4DhiCjwt1U
Diamonds: Se per premier consunto intendi B, io dico che non torna. Accetto scommesse!!!! Grazie per l’accostamento a Dan Simmons :-)
sì, mi piace molto questo scrivere dalla soglia del limbo che è il nostro “momento storico” (anche detto – come l’hai chiamato? – “decomposizione”)
il file audio è uno sballo
Grazie Renata. È un limbo molto più affascinante del paradiso. Certe notizie d’agenzia (“storie”), poi, sono veri e propri sintomi dell’umanità.