Have Fun! Pagine culturali a confronto
Sulle pagine culturali del quotidiano inglese The Guardian esce in data 3 novembre un articolo che elenca i dieci ipotetici libri più difficili da leggere. Il sottotitolo è così traducibile:
Immergiti in queste opere impegnative e ne trarrai beneficio.
Tra gli autori, scrittori e filosofi, i più noti Joyce, Spinoza, Will Self, Marx, ma anche un misconosciuto libro sperimentale, scritto da B. S. Johnson, morto suicida nel 1973. L’opera, The Unfortunates del 1969, viene pubblicata come una serie di fogli sciolti dentro una scatola – il lettore ha il compito e la libertà di assemblare il testo come crede, nei confini dati del primo “First” e ultimo “Last” capitolo.
Sfortunatamente la lista attira anche i sempre ricettivi giornalisti italiani. Così esce sul Corriere della Sera a firma Paolo Di Stefano un articolo che, riprendendo l’iniziativa britannica, ma dimostrando poca dimestichezza perfino con il traduttore di google, ne manipola e distorce il senso, con un titolo tragico, disfattista e un po’ melò:
I dieci libri impossibili da finire.
Seguono le scelte e le motivazioni del buon Di Stefano.
Ora Di Stefano è libero di leggere o non leggere, capire o non capire tutti i libri che vuole e nella lista si va da D’Arrigo a Pasolini, a Musil, passando per i già citati Joyce e Pynchon.
Ciò che è intollerabile è l’applicazione di quella che sembra ormai diventata una legge squisitamente italiana: l’over-semplificazione dell’opera letteraria e della sua fruizione, anche banalizzando e deliberatamente (o davvero non si sa usare il traduttore di google?) storpiando idee e riflessioni provenienti da un altrove meno cialtrone.
Riassumendo:
il Guardian suggerisce: provate, almeno una volta, fatica nel leggere certi libri. Non ve ne pentirete.
Il Corriere generosamente rilancia: mollate!, anche più di una volta!, la fatica di certi libri troppo lunghi, incomprensibili, che osano utilizzare tecniche insulse come il monologo interiore, e insomma, mancano di una trama facilotta che il vostro settimanale di programmi televisivi di fiducia possa riassumere in tre righe.
Ma gli italiani meritano davvero di essere trattati sempre alla stregua di imbecilli?
Che il critico letterario di un giornale come il Corriere affermi tranquillamente che libri come “L’urlo e il furore” o “Guerra e pace” (Guerra e pace!) siano “impossibile da finire” è qualcosa di decisamente poco rassicurante, se non scandaloso. Non si mettono certo in discussione i gusti personali o le convinzioni letterarie, ma dissuadere così la gente dalla lettura (difficoltosa o meno che sia) di tali capolavori non è innocente. Tantomeno nella sua posizione.
Cedo a un momento di rabbia e acidità e, come lista dei miei libri impossibili da finire propongo questa (visto che l’articolo di Paolo di Stefano chiedeva di partecipare):
http://www.ibs.it/libri/di+stefano+paolo/i+libri+di+di%20stefano%20paolo.html
la mia impressione è che di stefano abbia volutamente distorto l’idea del guardian come alibi dall’accusa di plagio. la cosa curiosa, come fai ben notare, è che il tipo di distorsione operato sia al ribasso, compiacendo e assolvendo la pigrizia dell’italico lettore occasionale. poi la lista dei nomi “mollati” è già di per sé un succoso collage di stereotipi sulla letteratura difficile, perdonabili giusto a chi non è un lettore di professione come di stefano. ma funziona così da noi, lo segnalavo poco tempo fa in un articolo sull’unità a proposito di un pezzo di francesco piccolo sulla lettura del corriere (http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/2460000/2455894.xml?key=sergio+garufi&first=1&orderby=1). da vent’anni a questa parte (diciamo dalla sociologia zodiacale di alberoni sul corriere) all’intellettuale si chiede d’incarnare la vox populi, di scrivere in prima pagina sul giornale ciò che si dice al bar sotto casa, solo espresso e argomentato un po’ meglio.
francesca, grazie della puntualizzazione. effettivamente, lo scarto tra l’articolo inglese e quello italiano è notevole.
resta però il fatto molto evidente che da un po’ di tempo le pagine culturali dei giornali fanno di tutto per affossare, o far percepire come difficoltosa, se non sovrumana, la lettura di alcuni libri che si ritengono, a ragione, importanti. come se gli avessero giurato guerra.
il libro che ciclicamente incappa in questa trappola è l’ulisse di joyce. joyce, in un modo o nell’altro, proprio non gli va giù. appena possono cercano di spingerlo in fondo al burrone dell’oblio, e insieme a lui tutta quella letteratura che si promette e cerca di mantenere sulla pagina la complessità del reale, quella letteratura che lavora tutto il tempo per forgiare un paio di lenti nuove attraverso cui mettere a fuoco la realtà, il mondo, se stessi.
ancora non mi sono ripreso dall’avere visto “sotto il vulcano” di malcolm lowry tra i titoli dei libri difficili da leggere. per me è stata una delle letture più folgoranti degli ultimi tempi. ho dovuto centellinare le pagine per il rischio di finirlo troppo presto – e a distanza di mesi ancora continua a divampare per forza e potenza nella memoria.
forse, però, arrivati a questo punto, non basta più lamentarsi. forse tocca a ognuno di noi disseppellire il cadavere dei grandi libri dal fango delle pagine culturali. scriverne, parlarne, raccomandarli, restituirgli il respiro che meritano – non in senso conservatore, o meramente pedagogico, ma semplicemente perché sono stati parte viva della nostra vita. con molti di questi libri noi tutti abbiamo contratto un debito: le loro pagine ci hanno infuso parte della forza per cercare il nostro modo di stare al mondo, e noi di quella forza dobbiamo continuare a esserne conduttori.
A dir la verità il sottotitolo significa qualcosa come se arrivate alla fine di queste opere impegnative siete bravi
plough through qui significa arrivare in fondo con fatica, senso figurato che è particolarmente usato proprio per la lettura, mentre You’ll be doing well vuol dire andrete bene, sarete bravi; non c’è tanto il senso del beneficio quanto l’ammirazione per l’impresa. Del resto, se alcuni di questi McCrum li apprezza (e l’ha detto più chiaramente in passato) i suoi commenti su, per dire, l’Uomo senza Qualità sono deprimenti. (Incidentalmente, proprio il 6 è l’anniversario della nascita di Musil e ne avevo programmato un estratto sul mio Tumblr, come peraltro avevo messo l’incipit di Under the Volcano il Giorno dei Morti).
I commenti all’articolo(quasi seicento) si sono del resto in gran parte allineati ad una logica del tiro al piccione, con entusiaste grida al re nudo nei confronti di questo o di quello. Non è che in Inghilterra vada molto meglio, quindi.
Personalmente non credo che ogni libro “difficile” sia automaticamente di valore, o che proprio tutte le vacche siano sacre; né che uno debba sentirsi in colpa se non si sente chiamato dal tal autore o libro; leggere per essere il primo della classe è sciocco. Però per esprimere un opinione bisognerebbe almeno aver fatto un tentativo serio; la cosa deprimente in tanti commenti all’articolo è vedere quanti si vantino di aver abbandonato la lettura dopo 2-3 pagine.
Che esistano opere difficili è evidente, che non tutti, per quanto volenterosi, riescano a completare certe letture, è altrettanto evidente; ognuno di noi poi ha il suo “gigante della letteratura” che gli è rimasto indigesto; è evidente infine che non tutte le opere difficili e strane siano capolavori. Detto questo, mi sono ritrovata (su un altro blog) a dover difendere Joyce dai commenti di qualcuno (un blogger un po’ naif ma anche uno scrittore abbastanza noto) che lo definiva inutile e noioso, un provocatore più che un vero scrittore, che definiva “suorine in adorazione” le lettrici che hanno dichiarato di apprezzarlo…
gli unici libri in cui ho avuto la sensazione che l’impossibilità di continuare a leggere fosse “un altro buon motivo per non andare a messa”(e in ogni caso un problema mio),sono stati “mentre morivo” di faulkner e la sveglia di finnegan nella traduzione italiana.In altri casi,la maggior parte delle volte ho interpretato la cosa come unica via di fuga nonché ancora di salvezza.E,a sproposito,ho appena terminato Carbonio di Michele Governatori scritto con discreta ispirazione(anche se magari d’orrico avrà già detto che non è cosa)
http://misialovina.dl.interia.pl/Szabony%20jaggna/Green%20Day%20-%20Wake%20Me%20Up%20When%20September%20Ends.mp3
@Marco, la differenza è sottile – plough through è esattamente “la fatica” – che mi sembra importante sottolineare.
Sul fatto che i commenti inglesi (sì, vedevo) si allineino sul peggio, dici bene – la differenza che continuo a vedere tra Inghilterra e Italia, per dire, non è infatti tanto nelle masse leggenti – qua esiste la moda dei junk-books, quindi…
è nella proposta che sempre viene fatta dei libri. In Italia si gioca sempre al ribasso; altrove pur sommersi da letteratura “facile”, non manca un’attenzione a cosa si muove di imprevedibile, “difficile”, nuovo nel panorama letterario. Potrei prendere ad esempio la poesia. Non è una differenza di attitudini popolari, che ne avrei da dire sui britannici. Quanto sul modo di veicolare le proposte – e specificare la fatica di un libro non è la stessa cosa che etichettarlo come impossibile.
Sul “valore”, figurati – sono ancora qui a dubitare io stessa, sempre. Mi interessa di più al momento il regno della possibilità.
@Marisa, purtroppo è così. A me viene sempre in mente questo aneddoto su Yeats e Joyce. Yeats, uomo di altra generazione, “un vecchio, ormai”, come più o meno un giovane Joyce ebbe a dirgli, non riuscì probabilmente mai a finire l’Ulisse. Questo non gli impedì di riconoscere il talento di Joyce. Personalmente credo che ognuno abbia i suoi motivi, le sue idiosincrasie e via dicendo, che lo portano a leggere o non leggere certe opere. E’ la sbruffonaggine non la diversità di attitudine/gusto che mi lascia sempre infastidita.
@Nessunlibroèimpossibile: esatto.
@Sergio, grazie per il link! dunque mi fai aprire una parentesi – concordo con quanto dici sull’intellettuale chiamato ad incarnare la vox populi. Aggiungo che diventa allora ancora più bizzarro e paradossale che questo “amore per le masse”, non si traduca per esempio, nel recupero di tradizioni folkloriche italiane in studi approfonditi – campo nel quale siamo stati fondamentali in Europa con figure come Pitré o Cocchiara e giù o su, fino al mio Pasolini preferito: quello del Canzoniere italiano. Si sceglie sempre la cosa più facile.
@Giuseppe, io tra le altre cose, non mi sono ripresa dalla liquidazione dell’Urlo ed il furore come logorroico e con parti senza senso. Mi chiedevo se l’articolista si fosse reso conto durante la lettura, che uno dei protagonisti è folle e che sono le sue parole (mescolate all’ordinaria follia di chiunque), che l’autore insegue. Ma l’ho letto ventenne forse ero folle anch’io. Sul fare – la cosa che sempre si può continuare a fare è non giocare al ribasso noi, se scriviamo, e, come lettori/fruitori di opere d’arte/musicali e via dicendo, continuare a parlare con le persone. Pazientemente, senza la spocchia che contraddistingue tanto mondo intellettuale, ma nemmeno senza quell’altro desiderio, a suo volta spocchioso, di mandare al macero tutto per stare dalla parte del popolo. Perché il popolo da che parte sta?
@diamonds – io Finnegans per dire l’ho sempre preso come una sorta di “parco giochi” dove leggere tuffandomi a caso qua e là. Ma stavolta mi sa che mi ci impegno!
Perché non sei riuscito a finire Mentre morivo?
(con tutta probabilità perché avevo letto il parere del curatore della pagina relativa su wikipedia e quei giorni magari,probabilmente perchè reso ottuso da una fase acuta di quello che pessoa avrebbe definito del namoro,ero allineato alla media nazionale come senso critico).Io invece ho sempre preso come parco giochi V. di Pynchon,e qualche volta pure da narcotico.E sempre senza mai riuscire a finirlo
http://music.ka81.com/Passengers%20-%20Miss%20Sarajevo.mp3
Gentile Francesca
le premetto che sono parte “interessata”, in quanto partecipante al forum “Leggere e Scrivere” del Corriere oltre che amico di Paolo Di Stefano, e glielo scrivo perché mi sembra corretto farle sapere il motivo per il quale quanto troverà qui di seguito le potrà sembrare parziale.
Mi sembra che ci sia un fraintendimento di fondo, riguardo a quanto Paolo ha scritto (ed ha poi anche dovuto spiegare in alcune risposte ai suoi forumisti, che gli chiedevano come mai proprio lui, che si è sempre contraddistinto per certe posizioni in difesa della letteratura o di un certo tipo di ricerca stilistica, avesse fatto una lista del genere, cosa che si può facilmente verificare leggendo il forum di oggi), derivante in gran parte dal titolo dell’articolo (la cui traduzione non è opera di Di Stefano, per inciso, ma della redazione online), “I dieci libri che non SI RIESCE a finire” e che però, nella sezione “Cultura” del Corriere è stato giustamente “rimodellato” sulla falsariga di quello del Guardian con un più corretto “I dieci libri che non RIESCI a finire”. Il fraintendimento riguarda appunto il fatto che nel Corriere online quel “si riesce” indicasse che l’opinione fosse generale ed assoluta e fosse appunto quella di Di Stefano (questi dieci proprio non si possono finire, lasciate pure perdere), mentre nella sezione Cultura il “riesci” evidenziasse invece la richiesta al lettore di indicare quali fossero i libri non digeribili (e se per caso ha avuto modo di leggere i commenti dei lettori del Corriere, avrà visto senz’altro che ricalcano, a volte molto tristemente, quelli dei lettori inglesi, segno che in Italia, come lei giustamente scrive, in quanto a gioco al ribasso non ci facciamo battere da nessuno).
Per quanto riguarda poi la lista stilata da Di Stefano, le didascalie sotto le foto degli scrittori rimarcano certamente la difficoltà della lettura o il fatto che spesso la critica sia stata divisa nel giudizio (uno su tutti, “Finnegan’s Wake”) ma in nessun caso suggeriscono di evitarne la lettura. Forse avrebbero dovuto invece caldamente consigliarla, sono d’accordo con lei, ma a leggere certi commenti dei lettori del Corriere vien voglia di lasciar davvero stare (il giorno in cui impareremo a dire “non mi piace”, magari motivando, e non “fa schifo”, sarà un gran bel giorno).
Mi scuso con lei e con i lettori di Nazione Indiana se questo messaggio sembra un po’ una specie di sterile difesa d’ufficio (posso però assicurare che non faccio parte di alcun Ufficio Stampa nè di altri enti e sono soltanto un privato cittadino), ma mi sembrava corretto offrire a lei ed ai lettori anche un punto di vista diverso su quanto è stato scritto.
Grazie, a me sembra una buona cosa questa risposta. Perché a leggere IMPOSSIBILI davvero mi erano cadute le braccia e mi era venuto il magone.
E non per i gusti personali di un singolo lettore o intellettuale, ma proprio per quel favorire una certa cialtroneria nostrana, che ci contraddistingue sempre, a scapito di tanto altro che avremmo, che abbiamo.
Scrivo da italiana che vive in Inghilterra. E non ho particolare interesse nel difendere gli inglesi o definirli migliori di noi (queste pochezze patriottiche o anti-patriottiche non mi interessano, come non mi interessa particolarmente la parola “patria”). Anzi, dirò: scrivo come una persona che vuole fortemente tornare nel paese dove è nata, per questioni affettive. E vorrei che fosse un paese dove si possa respirare, invece che denigrare oscillando tra i due poli pericolosissimi, a mio avviso, del fare eco alla volontà/gusto del “popolo” (o mercato o come altro si voglia definire) e dell’inveire contro il popolo, (rintanandosi in torri, palazzi, o stalle di lusso che dir si voglia) ripetendo che, come al solito, non capisce nulla e legge romanzetti. Tenere aperto appunto il mondo della possibilità – tu oggi la vedi così, ma guarda – c’è un altro sentiero da un’altra parte: magari prima o poi puoi percorrerlo. E questo lo si può fare sempre, tutti, come singoli e individui, cominciando nel dialogo quotidiano che ci capita di avere con l’altro, chiunque esso sia.
p.s.: Enrico, il punto di vista diverso è fondamentale. Non ho scritto il pezzo per “avere ragione”, me ne importa quanto di avere mele invece che pere a merenda. L’ho scritto perché se ne discutesse, appunto.
Francesca, sono io a ringraziare te (possiamo darci del “tu”?, io il “lei” lo utilizzo per rispetto ma lo detesto) per la pacatezza della risposta e per l’apprezzamento su quanto ho scritto.
Ti confermo che hai perfettamente ragione, il titolo ha fatto cascare le braccia non soltanto a te ma anche a molti frequentatori del forum di Paolo che ci hanno visto un’incomprensibile schizofrenia tra quanto scritto in tutti questi anni e quanto invece strillato da quella frase.
Una cosa mi sembra certa, leggendo una parte dei commenti dei lettori del Guardian così come tutti quelli dei lettori del Corriere, che ci sia molta strada da percorrere prima che si riesca non soltanto a sradicare il malcostume della maleducazione (come scrivevo, un conto è dire “non mi piace”, tutt’altro “mi fa schifo”) o della autocompiaciuta iconoclastia a tutti i costi (mi butto contro i grandi della letteratura perché così mi sento meglio o faccio bella figura) ma si riesca invece a confrontarsi con una certa serenità sui valori della letteratura, indicando strade alternative (e NI lo fa spesso benissimo, e non lo scrivo per piaggeria), letture diverse (o diverse letture anche dei grandi “illeggibili”, perché se siamo ancora qui a parlare di libri di 50 o 100 anni fa un motivo ci sarà) o, infine, ascoltando le voci degli altri e non soltanto la nostra.
P.S. Era chiarissimo. Oltretutto avresti anche potuto scriverlo per “avere ragione”, cioè per “esprimere la tua ragione”, e non ci sarebbe stato niente di male (in fin dei conti scriviamo tutti per avere ragione). Il “male” sarebbe stato invece se non mi avessi permesso di esprimere la mia, ma l’idea non mi ha nemmeno sfiorato. Altrimenti non avrei scritto neppure una riga.
Leggere un libro è come incontrare un amore, vivere l’avventura della scrittura, penetrare un mondo, scoprire la geografia del libro, è andare in mare. Quando si parte in mare, non ti chiedi se vai a ritornare indietro, fai il viaggio.
Qualche libro si legge, si dimentica, si finisce con l’amera sensazione di non avere provato la lenta immersione; La complessità richiede di rinunciare al conforto, alla distrazione. Siamo in un mondo veloce, con un pensiero fuggitivo, sempre in metamorfosi, un’idea caccia l’altra. La lettura di un romanzo del XIX secolo esige tempo e maturazione.
Il romanzo poetico di Ronit Matalon tradotto in Francia in una lingua meravigliosa è un libro che potrebbe sembrare difficile. Parlo di quest’esperienza di lettura recente, perché ho incontrato la tradutrice a Arles au collège des traducteurs. Questo bellissimo libro ha avuto difficoltà di pubblicazione per la sua bellezza letteraria; “troppo letterario”, quando sento queste parole mi viene rabbia.
Che definizione dare alla lettura? Una distrazione di qualche ora? O un incontro con la bellezza di una lingua, straniera o natale?
PS 1)
Il piccolo gatto posso adottarlo?
2) Ho salutato il tuo paese natale.
Ho salutato il paese natale di Andrea :)
Nel merito: se “Alphabetical Africa” di Walter Abish ha qualcosa in comune con la poderosa bellezza di libri come quelli di Musil e di Pynchon, spero che lo traducano al più presto in italiano!, così come spero traducano l’ultimo libro di Will Self.
Devo dire che mi fa strano trovare in classifica Marx e Spinoza, perché se si va nel campo della filosofia non c’è che l’imbarazzo della scelta: con un risultato di piacere estetico secondo me assai diverso – non dico meno intenso, ma assai diverso – rispetto alle opere di letteratura.
Ora i libri di Ishiguro e di Lowry fanno ancora più gola.
E nel metodo: se clicco sul link però la pagina del Guardian con la carrellata delle foto degli autori difficili riporta questa frase:
The 10 most difficult books to finish – in pictures.
Quindi forse non è stata proprio tutta una stortura classica all’italiana…
I miei saluti!,
Antonio Coda
Ho ripreso l’argomento (giocosamente) qui.
non si notano grandi differenze, guardian.co.uk e corsera sono uno peggio dell’altro e il risultato non può che essere il qualunquismo de “La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca” di Fantozzi
L’elenco dei libri irrinunciabili (ovvero indigeribili) ha sempre l’aria del riempitivo giornalistico. Sembra comunque destinato al lettore generalista, ancorché passabilmente “colto”. Spinoza e Marx? Vengono studiati più che letti…