Spray in the garage: Alessandro Monfrini

di Daniela Rosi

Alessandro Monfrini è nato a Mantova il 15.12.1980. Inizia a dipingere verso i 14 anni.

Sono i tempi del motorino e, assieme al fratello, comincia la carriera di writer.  Parte armato di bombolette e, come tutti i graffitari, soprattutto elabora scritture. Questa forma di arte pubblica è legata storicamente alla periferia urbana e al bisogno di comunicare fra pari, visto che il sistema della comunicazione ufficiale non ha spazi per queste voci. E’ un metodo espressivo che si connota fin da subito per la sua trasgressività, vissuta dalla comunità borghese come un esempio di degrado dei valori condivisi, di svalorizzazione del patrimonio urbanistico e di decadenza complessiva dei costumi: insomma esito, alla fine, di una mala educazione da parte di genitori e formatori che, guarda caso, spesso sono proprio coloro che denunciano il fenomeno, nonostante lo abbiano anche prodotto, come se la colpa fosse sempre da cercare da un’altra parte.

Alessandro tuttavia è molto ben educato e ben presto, raggiunta la maggiore età, si dà una regola: non violare in alcun modo la legge. Tanto più che è una persona schiva, riservata e che tende a rifuggire i luoghi pubblici e i rapporti con la gente. Di tanto in tanto torna alle scritte murarie, ma su pareti lecite. Cambiano invece i temi espressi, in quanto viene introdotta la tela e il dipinto figurativo su pannelli di legno.

 

 

Monfrini inventa un metodo domestico di arte urbana. I colori rimangono le bombolette, ma i soggetti diventano dilatazioni, divagazioni e fantasie su temi e oggetti autobiografici. Comincia a rappresentare soggetti che, per un periodo di tempo, tendono a ripetersi, anche se vengono investigati ogni volta in  modo nuovo: Si tratta di animali, di esseri umani, di nature morte, di macchine in movimento, di ritratti e di autoritratti. Non mancano le star del mondo della musica o qualche accenno ai miti hollywoodiani.

I suoi dipinti si presentano come un temporaneo enigma formale e cromatico, da interpretare, dapprima concentrandosi sui contorni delle macchie e poi appoggiando lo sguardo sulla definizione dell’immagine, che finirà, in un secondo tempo, mano a mano che ci si allontana dall’opera, col palesarsi in tutta la sua inequivocabile forma, alla quale siamo ora in grado di dare un nome (bambino, cane, aereo, etc.).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’immagine si va costruendo attraverso un percorso di presa di coscienza dell’osservatore, il quale deve fare uno sforzo logico-semantico, lasciandosi guidare dall’occhio, per poter cogliere il risultato finale voluto dall’artista e cioè una immagine quasi fotografica. Spiega infatti Alessandro Monfrini: “Quello che a me interessa è il colpo d’occhio all’inizio, quando traccio i primi contorni e alla fine, quando con le bombolette li ho riempiti”.

Il lavoro di questo giovane artista autodidatta è di grandissima originalità: classico nelle premesse, si tratta in fondo di pittura, ma assolutamente all’avanguardia per gli esiti dati dal sincretismo del “dentro-fuori”, “preciso-impreciso”. Ha portato la tecnica urbana nel suo garage e ha costretto il nostro sguardo a ricostruire le immagini  (perfette) da lui prima tracciate e poi nascoste spruzzandoci sopra con le bombolette.

 

 

Lo schema del disegno è rigoroso, quasi scientifico, iperrealista, mentre l’intervento dello spray riporta tutto al caos primordiale, a una nebulosa che toglie precisione per restituire emozioni e consegnare al nostro occhio il suo ruolo di investigatore della forma.

E tutto ciò avviene con uno spray in un garage.

 

(le immagini delle prime tre  opere: “Proibito”, spray su tela; l’ultima: “Fantasma 3”, spray e acrilico su pannello; una mostra di Monfrini – si veda l’invito qui sotto – verrà inaugurata a Verona il 10 novembre, nello spazio Isolo 17, alle 18,30)

 

 

 

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13 Commenti

  1. graffitaro – ben educato – pareti lecite – si da una regola.
    …che delusione… .

    Il post è raggelante ma la prima opera, “Proibito”, mi piace.

    • Daniela Rosi fa da decenni un lavoro molto serio (anche se molto spesso non riconosciuto da chi avrebbe dovere e interesse a riconoscerlo)sugli artisti outsider o “non convenzionali”; ha collaborato alla realizzazione della mostra attualmente alle Halles St. Pierre di Parigi “Banditi dell’arte”: http: //www.hallesaintpierre.org/category/exposition/en-cours/;
      poi le parole sono quelle che sono;

    • Posso capire la perplessità circa il linguaggio usato per un writer. Le parole sono importanti. Un giorno ne spiegherò il senso. Per ora le ribadisco.

      • e le parole, questo volevo dire (lo specifico perchè mi accorgo che la mia avrebbe potuto essere presa come una critica velata), sono adattate in una certa misura al contesto; questa presentazione non è stata pensata specificatamente per NI(dove forse avresti usato un linguaggio più diretto e informale, dando per scontato certi punti fermi che non sono dominio di tutti), ma per un’altra destinazione; sbaglio?

        • No. Non sbagli.
          Di nuovo: un giorno ne spiegherò il senso.
          Per ora voglio solo dire che mi ha fatto piacere la scelta di Giacomo Sartori di pubblicare il testo così come gli è arrivato, senza adattarlo a “Nazione Indiana”.
          Proprio perché questo ci permetterà di ragionare e confrontarci su di un tema scottante che (ancora una volta) non voglio anticipare. I frutti si raccolgono quando sono maturi.

          • Questo post è inadatto per qualsiasi contesto se si stà parlando di arte per valorizzarla, se invece qui siamo davanti a una critica negativa e banalizzante se fossi Alessandro Monfrini chiederei i danni.

  2. Caro Ares, stai facendo una lettura superficiale davvero. Non ti offendere, ma nemmeno gli indizi di Giacomo Sartori ti hanno dato una chiave di lettura. Si vede che preferisci giudicare piuttosto che approfondire il tema “Outsider”. Il testo, sappi, riporta fedelmente quanto di sé mi ha detto l’autore. E questo autore, oggi, sta interessando diversi collezionisti colti che non hanno trovato negativo il testo che lo definisce secondo quanto lui pensa. Ciò significa che, non solo non ha motivo di chiedere i danni, ma che quanto dice/diciamo non ha scandalizzato quanti sono disposti a sborsare denaro ( e non parole) per avere una sua opera.
    Ti invito a studiare l’argomento e poi tornare a riparlarne. Buone ore di studio.

  3. Daniela Rossi mi auguro che non se la sia presa …

    Comunque:

    1) Il fatto che un autore venga pagato per il suo lavoro non mi pare una nota di merito per l’autore( per di più il collezionisti rappresentano lo 0,01% della popolazione civile).
    2) Che di un autore si parli come di un “normato”, perché questo traspare dal suo post, mi sembra un’ingenuità che non giova all’autore stesso.
    3) Un autore che si definisce ben educato al tal punto da darsi una regola, mi fa tenerezza( l’arte è rivoluzionaria per definizione).

    Detto questo anche lei “impari” a ricevere critiche dal momento in cui decide di autorizzare la pubblicazione di un suo scritto in rete; che mi sembra più adatto a una conferenza per adolescenti in difficoltà, che per una promozione d’arte.

    Comunque, Sartori, il mondo è pieno di promotori d’arte di “buona volontà” che a voler ben guardare, all’arte non offrono gran beneficio; può non essere il caso della Rossi, ma diciamo che il testo presta il fianco a critiche.

  4. Caro Ares, non mi sono affatto offesa, anzi… Io di solito non partecipo ai blog, proprio perchè capita quello che sta capitando ora.In sostanza dialoghiamo solo lei e io, con Sartori, oserei dire, che ci fa da moderatore e lo facciamo davanti a un possibile pubblico. Per come vedo io le cose della vita, sarebbe molto meglio prendere un caffè (o un’acqua, un bicchiere di vino o quello che più le aggrada)assieme e, guardandoci negli occhi, dialogare amabilmente sull’argomento. Non per escludere gli altri, ma perchè sembra proprio che questa schermaglia interessi solo lei e me.
    Comunque,sono qui, sono nel blog e allora provo a risponderle ancora.
    Il fatto che un collezionista compri le opere di un artista outsider è una cosa meravigliosa. Questi sono artisti che non hanno un lavoro, spesso non hanno alcuna personale risorsa economica, il mondo dell’arte “ufficile” li snobba alla grande, vivono quasi sempre isolati. Ecco, allora, che l’essere acquistati dai grandi collezonisti significa essere “riconosciuti” come artisti e questo non è proprio poco, perchè li legittima e li accredita presso il mondo dell’Arte con la A maiuscola.
    Questa cosa dell’acquisto, del resto, vale per tutti gli artisti. Se nessuno li comprasse, come camperebbero? I collezionisti sono una esigua ( e anche privilegiata, se vogliamo) minoranza, ma garantiscono lo stipendio agli artisti. Non va dimenticato. E del resto, la vita bohemien, solitaria, sofferta, travagliata, consumata nella miseria, gratifica il gusto romantico solo di chi non gli è toccato in sorte di viverla.
    Che l’autore si definisca “un normato” è davvero una cosa tenera e ne definisce l’effettiva tenerezza del personaggio. Mi fa piacere che l’abbia colto.
    Per età e mestiere, le garantisco che non sono per nulla ingenua, purtroppo.
    Mi piacerebbe davvero tanto esserlo.E guardi che non sto facendo dell’ironia.
    Per quanto riguarda l'”essere ben educato”, “non voler violare la legge”, “darsi delle regole” in un momento come quello che stiamo vivendo oggi(ma anche ieri…)in Italia(a tale proposito vi invito ad andare a leggere la poesia “Sono sereno” di Guariente Guarienti su “Il fatto quotidiano” di qualche giorno fa), direi che è infinitamente più rivoluzionario di qualsiasi azione writer alla quale si possa assistere. Ma questo è ancora un altro argomento.

    In fine, le vorrei anche spiegare perchè sono in questo blog.
    Giacomo Sartori ama molto l’arte outsider e quindi mi ha proposto di farla conoscere anche attraverso Nazione Indiana. Credo sia una bella cosa divulgare la conoscenza di questo tipo di espressione e perciò gli ho inviato il testo di cui, ancora una volta, siamo qui a discutere.
    Nei precedenti commenti, annunciavo un tempo per chiarire e non lo facevo per creare suspence, ovviamente, ma perchè in questo settore dell’arte l’uso del linguaggio è un problema complesso. Bene aveva fatto Giacomo Sartori a darle come indicazione “Banditi dell’arte” alla “Halle Saint Pierre” di Parigi, perché, se lei avesse digitato la voce su google, avrebbe di certo compreso le mie intenzioni. Insomma, mi sarebbe piaciuto farvi conoscere un po’ di artisti marginali e poi sollevare il problema dell’uso della parola in determinati contesti, il problema dello stigma sociale in alcuni ambienti artistici e avrei portato la discussione su diversi problemi che questo complesso universo artistico ci pone.

    Detto ciò, non dobbiamo mai dimenticare che, chi disegna o dipinge, o sceglie un linguaggio espressivo visuale, di solito vorrebbe che parlassero le opere. Le opere di Alessandro Monfrini sono a Verona, nello spazio Isolo 17. Venga a vederle. Troverà molto di più di tutte le parole che ci siamo detti noi.

    • Non era in discussione l’artista o l’arte outsider, continua a sottovalutare la rete, la ringrazio comunque per il commento e accetterò il suo consiglio.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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