Autismi 27 – La mia inettitudine

di Giacomo Sartori

Ci sono persone che sanno fare tutto, o sembrano sapere fare tutto, mentre io non so fare quasi niente. Tanto per cominciare non so cantare. Nella mia famiglia sono tutti intonati, io invece sono stonato come una campana, una campana precipitata dalla cima del campanile sul lastricato sottostante. Mia moglie, che canta molto bene, mi ripete sempre con una voce paziente ma anche surrettiziamente esasperata che non esistono persone stonate, basta fare esercizio. Io non le ho detto che c’è stato un periodo in cui vocalizzavo inni marxisti-leninisti, ma restavo pur sempre stonato: certe cose si mimetizzano perfino a chi ci sta più vicino. Insomma, canto unicamente quando viaggio in macchina da solo e ho i finestrini chiusi, preferibilmente di notte. Del resto non so nemmeno ballare. Una volta certi amici della mia prima fidanzata mi hanno convinto a provare, e io ho ballato. Vedi che sei capace, mi dicevano, facendomi dei sorrisi incoraggianti come si fa con i portatori di raccapriccianti handicap. E a me stesso sembrava di ballare passabilmente, se non proprio bene: forse proprio perché avevo un po’ bevuto. Poi però una di loro con il pallino della didattica mi ha detto che ero proprio sulla via buona, se adesso cercavo di creare un minimissimo legame tra i miei movimenti e il ritmo della musica sarebbe stato perfetto. Allora ho capito che era meglio che lasciassi perdere, anche se certe volte è imbarazzante essere l’unico che non balla. E non so fare le divisioni con due cifre. Ero assente il giorno che il maestro le ha insegnate, e non c’è più stato verso di rimediare (adesso può far sorridere, ma nell’era pre-elettronica ho speso tantissime energie a mascherare questa mia inettitudine, per anni sono vissuto nel terrore di venire smascherato e di pagarne le conseguenze). Ma non so nemmeno giocare alle carte, parlare ai bambini, raccontare barzellette, andare in vacanza, cucire, capire se fa freddo o caldo, non so come funziona facebook e tutti gli altri aggeggi di adesso, non so rispondere su due piedi alle persone quando mi domandano cose anche molto semplici, pur avendo dei fermi convincimenti non so avere opinioni politiche coerenti, o anche solo opinioni coerenti di altro tipo, e forse addirittura idee coerenti, non so tenere i segreti, non so essere fedele, non so vedere un derelitto che soffre senza piangere io stesso (benché in altri frangenti non sappia evitare di far piangere certi derelitti), non so mandare al diavolo mia madre quando fa la nobildonna settecentesca, zittire i tipi che dicono stronzate, infrangere le illusioni altrui, anche le più dissennate (tanto più se si tratta di amici), andare alle feste, o anche solo intervenire nelle conversazioni, toccare i pesci vivi, baciare i morti, pisciare da uomo, fare due cose nello stesso momento, procreare, ricordarmi le trame dei libri e dei film, ricordarmi le altre cose, chiedere un piacere, guardare le persone senza mostrare che le guardo, dormire senza terrificanti incubi, essere ottimista, vedere film sanguinolenti, o anche solo sequenze sanguinolente, leggere i cosiddetti gialli, avere una calligrafia leggibile, comprarmi le scarpe, e via dicendo: la lista potrebbe essere lunghissima. Queste affollate inettitudini restano però pur sempre anedottiche: sono ben altre quelle davvero cariche di invalidanti conseguenze. In particolare non so respirare. Senza accorgermi trattengo il respiro, e quando proprio non ce la faccio più sbuffo fuori l’aria, e gioco forza ne segue una agonica inalazione. Gli appassionati di record subacquei o subaerei di apnea mi capiranno. Questo fin da bambino: quando guardavamo la televisione i miei mi dicevano che era impossibile starmi vicino, e mi allontanavano. Adesso quando vado al cinema i vicini tossicchiano, o anche si alzano e cambiano posto. Non ho mai imparato a respirare. Mia madre mi portava da ogni sorta di dottori, ma non è servito a niente. Ma non so nemmeno mangiare. O meglio, condurre alla bocca i cibi in qualche modo riesco, anche se pare faccia molto rumore e molte briciole, ma poi non so capire quando sono sazio, il che mi crea sempre dei problemi. Adesso sarò sazio?, mi chiedo. E adesso? Avrò mangiato troppo poco o troppo tanto? Nemmeno mio fratello sa giudicare quando è sazio, come del resto nemmeno lui sa valutare se fa freddo o caldo, e secondo lui è perché nostra madre decideva tutto lei. Comunque sia è dopo aver ingerito il cibo che viene il peggio: non so digerire, non ho mai imparato. Non digerisco gli spaghetti al pomodoro, la carne, il pesce lesso, il formaggio, la pizza, i cavoli, le cose più comuni e semplici. E i pochi alimenti che digerisco mi fanno male. Il pane mi fa male, la pasta in bianco mi fa molto male, il vino mi fa malissimo, e via dicendo. Un cetacico terapeuta al quale mi sono rivolto diceva con il suo vocione incoraggiante che dipendeva dall’equilibrio tra i succhi pancreatici e la bile: bisognava dissotterrare le ragioni profonde responsabili del suo traviamento nella tenera infanzia, per poi reimpostare tutto: ci sarebbe voluto un po’ di tempo ma poi avrei digerito anche i rospi crudi e i sassi. Un altro terapeuta magretto e di modi tenui sosteneva che dovevo riconciliarmi con le sostanze alle quali il mio corpo era allergico: mentre io stringevo in ciascuna mano una fialetta contenente una data sostanza lui mi massaggiava certi punti appropriati del corpo con il sottofondo di una musica indiana. Il bello è che al giorno d’oggi l’eclettismo e l’ecumenismo furoreggiano anche in campo sanitario. Purtroppo però un’altra cosa che non so fare è perseverare nelle terapie che comincio. Del resto nemmeno di camminare, sono capace. Insomma, per un po’ riesco, ma poi mi inciampo. Non c’è nessunissimo ostacolo, nemmeno millimetrico, e io inciampo. Dopo essermi inciampato mi guardo indietro, un po’ per darmi un contegno e un po’ anche per constatare che davvero non ci fosse qualche intoppo, non si sa mai, ma non c’è mai un intoppo. Pure per questo mia madre mi portava dai dottori, e anche in questo caso invano. E poi non so ascoltare le persone. O meglio, mi sforzo di ascoltare, ma perdo subito il filo, mi distraggo. La maggior parte delle volte fingo di stare a sentire e mi domando cosa cavolo stia dicendo quel’essere umano che mi sta parlando con tanta foga. E comunque che ascolti o non ascolti stare tra la gente per un periodo prolungato mi provoca il mal di testa. È cominciato prestino, verso i sei mesi, e poi si è acuito a due anni e mezzo, quando per la prima volta sono stato internato (mia madre lavorava). Per i miei gusti all’asilo c’erano troppi essere viventi che parlavano tutti assieme, troppi odori, troppe aspirazioni divergenti, troppi ormoni. Non è che mi dispiacesse, ma mi sfiancava, mi provocava appunto dei nefasti mal di testa. Più di una volta sono finito all’ospedale. Del resto nemmeno con un’altra persona singola ho mai imparato a convivere. Mi sono sforzato, ho fatto indubbi progressini, ma non ho mai davvero imparato. Ne sa qualcosa mia moglie. Forse la cosa più grave, viste le mie passioni e il mio stile di vita, è però che non so parlare. Fino circa ai venticinque anni emettevo suoni inarticolati. E nonostante i passi in avanti la mia dizione rimane tuttora molto impastata, al limite dell’incomprensibilità, non mi vengono in mente le parole più comuni, quando sono stanco balbetto. E comunque le mie biascicate asserzioni rifuggono qualsivoglia sottigliezza dialettica: sono tombali colpi di accetta. Immaginiamoci allora lavorare: per la maggior parte degli impieghi bisogna ben tollerare la promiscuità, saper ascoltare, avere cristalline opinioni, e bisogna sapere parlare, saper digerire, saper pisciare da uomo. Tutte cose che non so fare. Beninteso sgobbo lo stesso, altrimenti non potrei appunto mangiare, e anzi paradossalmente per certe cose sono considerato brillante, ma patisco esponenziali emicranie derivate dalla sinergia dei singoli mal di testa (procurati dalle singole inadeguatezze). A causa del ridondante consumo di analgesici sono definibile un drogato. Quel che però è più grave di tutto, era scontato che finissimo qui, non so amare. Nel corso degli ultimi decenni ho fatto molta strada, ma non mi sembra che si potrebbe affermare che padroneggi i rudimenti minimi dell’amore. Certo, a casa mia non si usava, e non sono cose che poi si imparano tanto facilmente in età adulta, ma è assurdo inseguire sempre cause e colpe: devo prendermi le mie responsabilità. Ho imparato a fare come se amassi, a comportarmi come una persona che ama, ma non so se amo davvero, non mi pare. Più che un amatore sono un attore che impersona meglio che può un amatore. Con la mia inettitudine amatoria cerco di fare meno danni possibile, ma qualche volta ci sono feriti, qualche volta ci scappa il morto. Talvolta mi accorgo di amare più un animale che le persone, e ho orrore di me stesso. Secondo mia moglie tutte queste inettitudini sono dovute al fatto che non mi prendo in mano: secondo lei moltissime cose sono come il canto, se mi mettessi, e continuassi per esempio le terapie che comincio, imparerei benissimo a fare tutto. Io non credo che abbia ragione, ma mi fa piacere che abbia fiducia in me. Lei è una di quelle persone che canta e balla e ama con leggiadra baldanza, allargando via via senza pena alcuna lo spettro di azione. Però non è vero che non mi sono mai sforzato: molte cose le ho imparate anzi mettendoci una esagerata applicazione, la fanatica ostinazione e l’inumana perseveranza ereditate da mio padre fascista. Insisti che ti insisti ho appreso a guidare la macchina, anche se dentro di me considero che non so guidare, e nel tempo in cui chiunque altro ne avrebbe imparato dieci, ho assimilato qualche lingua straniera. Nello stesso modo ho anche imparato un po’ a scrivere. Mi sforzo, ma so che i risultati saranno quelli che saranno. So che i ragionamenti astratti mi saranno sempre preclusi, so che non potrò mai leggere un cosiddetto giallo, che non avrò mai opinioni coerenti. So che tutto mi costerà sempre fatica.

(l’immagine:  Sam Doyle)

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11 Commenti

    • il mio primo lavoro avevo 14 anni, e ho dovuto dire che ne avevo 15, altrimenti non ti prendevano: vendemmia nel sud della Francia, in compagnia di stagionali andalusi; ogni “assunto” (in nero) riceveva una criptica bottiglietta di olio: solo la sera, quando avevo la schiena spezzata (vigne raso terra, su letto di ciottoli silicei), ho cominciato a capire che forse poteva essere utile per le zone doloranti; forse la Fornero sarebbe contenta, no?

  1. E via così, ogni suo autismo è sempre, per me, un piacevolissimo momento di timida introspezione e leggerezza autoironica.
    Uno strisciante ammiratore :)

  2. Sulle terapie con sottofondo di musica indiana hai letto l’autobiografia di Scelsi (Sogno 101)? Avreste avuto un sacco di cose da dirvi :)

  3. La cosa più bella è che una persona che presentasse tutte queste inettitudini supererebbe alla grande qualunque colloquio di lavoro. Oppure sarebbe morta molto giovane, tanto tempo fa, prima dell’epoca dell’elettronica e del web. Ma questo non è importante :)

  4. Essendo stato assente, tra l’altro, il giorno in cui finalmente la professoressa ha spiegato la differenza tra “flora” e “fauna”, ho aspettato fino a 35 anni per scoprire chi era cosa.

  5. forse ho capito, anch’io sono di una inettitudine esemplare ma fino ad ora non me ne ero resa conto e continuavo imperturbabile a provare a fare cose.. che non mi riuscivano mai!

    • No, no io invece me ne sono sempre reso conto, di essere un inetto, ma quel che è peggio è che ultimamente penso che lo siano tutti, ma proprio tutti, e qualcuno è talmente inetto da non riuscire ad ammetterlo a se stesso, è la cattiva coscienza di se…un’inettitudine d’auto coscienza..

      … sto diventando pure presuntuoso…
      …ho bisogno di una vacanza..

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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