Un biglietto nel calice d’argento
di Antonio Sparzani
«Il Suo etichettare le idee [Vorstellungen] distinguendo quelle di origine spirituale (ideale) da quelle di origine fisica (o fisiologica) e la Sua corrispondente definizione della fisica come scienza delle idee della seconda categoria fa rivivere dentro di me alcuni ricordi giovanili.
Vi è tra i miei libri un astuccio polveroso che custodisce un calice d’argento Jugendstil, che a sua volta contiene un biglietto. Mi pare ora che da questo calice e da questa barbuta epoca si levi uno spirito quieto, benevolo e costantemente gaio. E scorgo come esso Le stringa amichevolmente la mano, come saluti la Sua definizione di fisica come un rallegrante segno di un magari tardivo ma profondo punto di vista; e prosegue aggiungendo quanto adatte siano le Sue etichette al proprio laboratorio ed esprime infine la propria contentezza per il fatto che i giudizi metafisici del tutto in generale (come egli accuratamente diceva) “siano stati relegati al regno delle ombre di un primitivo animismo”.
Questo calice è un calice di battesimo e sul biglietto è scritto, con una grafia cerimoniosamente ornata secondo il gusto dell’epoca “Dr. E. Mach, Professore all’Università di Vienna”. Si dà il caso infatti che mio padre intrattenesse rapporti assai amichevoli con la sua famiglia, che ne subisse completamente l’influsso spirituale, e che Mach avesse già amichevolmente chiarito che avrebbe ricoperto il ruolo di mio padrino di battesimo. Egli era una personalità ben più forte del sacerdote cattolico, ed il risultato sembra quindi essere che io sono stato battezzato antimetafisico piuttosto che cattolico. In ogni caso il biglietto rimane nel calice e nonostante le scorribande intellettuali della mia vita successiva, rimane tuttavia un’etichetta che mi porto appresso, e cioè: “di derivazione antimetafisica”. Di fatto, semplificando un po’, Mach considerava la metafisica come l’origine di tutti i mali della terra – dunque, psicologicamente parlando, come il diavolo in persona – e quel calice col suo biglietto resta un simbolo per l’aqua permanens che scaccia tutti i cattivi pensieri metafisici.»
Così scrive Wolfgang Pauli a Carl Gustav Jung, suo corrispondente da quasi vent’anni, il 31 marzo 1953, come per dare di sé una ulteriore caratterizzazione generale, oltre quelle che Jung certo già ben conosceva, avendo avuto Pauli in analisi all’inizio degli anni trenta e avendo poi tenuto con lui un regolare carteggio. Ernst Mach era morto nel 1916, ma l’ultima volta che Pauli gli fece visita, assieme al padre, fu nel 1914 nella tenuta dei Mach a Vaterstetten, vicino a Haar, un sobborgo di Monaco di Baviera. Nella stessa lettera qui citata, Pauli descrive molto piacevolmente il laboratorio di Mach, tutto pieno di apparecchi dei tipi più diversi e prosegue ricordando come Mach avesse sempre qualche nuovo esperimento da fargli vedere, per mostrargli quanto la pura riflessione teorica sulla realtà potesse essere ingannevole e quanto fosse invece importante la verifica sperimentale. «Il suo pensiero – così conclude Pauli questa parte della lettera – seguiva strettamente i dati provenienti dai sensi, dagli strumenti e dagli apparati»
Così dunque fu iniziato alla conoscenza uno dei maggiori fisici teorici del Novecento (Wolfgang Ernst ― il nome del maestro e padrino di battesimo ― Friedrich Pauli, nato a Vienna il 25 aprile del 1900 da famiglia ebrea di lingua tedesca proveniente da Praga) che mai e in nessun campo fu uomo a una dimensione, sì invece curioso e disponibile nei confronti dei campi di ricerca più diversi, compresi quelli davvero eterodossi per un fisico militante: non rinunciò mai a voler esaminare con le sue forze – che, occorre riconoscerlo, erano davvero smisurate – qualsiasi nuovo ambito di conoscenza del quale vedesse qualche barlume davanti a sé.
[Il brano citato è tradotto da: Wolfgang Pauli und C. G. Jung, Ein Briefwechsel, 1932-1958, C. A. Meier (Hrsg.), Springer-Verlag, Berlin etc. 1992, lettera [60], cit. pp. 104-05.]
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Se la metafisica è (sarebbe) la causa di tutti i mali terreni figurarsi cosa dovremmo dire dell’uomo! Ma forse gli intellettuali, che nel passato erano spesso dei privilegiati benestanti, non conoscevano a fondo certe umane mostruosità insite nella nostra miserrima natura.
Bè la metafisica è prodotto della mente umana, penso che ne tenessero conto. ;o)
è sempre affascinante leggere di queste fitte trame di relazioni e contatti tra intellettuali, anche di discipline solo apparentemente molto distanti tra loro. dà ancor di più l’idea di come la cultura, la conoscenza, sia qualcosa di profondamente inclusivo e profondamente connesso alla componente umana