Folla e follia, Walter Benjamin e i flash mob
di
Francesco Forlani
qui la prima parte
Emportés par la foule qui nous traîne
Nous entraîne
Écrasés l´un contre l´autre
Nous ne formons qu´un seul corps
Trascinati dalla folla che ci tiene,
ci trattiene
schiacciati uno contro l’altro,
non formiamo che un solo corpo
Edith Piaf, La foule
A proposito di folla e follia, è ancora Edgar Allan Poe che ci offre una traccia : « Mi hanno chiamato folle; ma non è ancora chiaro se la follia sia o meno il grado più elevato dell’intelletto, se la maggior parte di ciò che è glorioso, se tutto ciò che è profondo non nasca da una malattia della mente, da stati di esaltazione della mente a spese dell’intelletto in generale »
(da “Eleonora”, 1841)
C’è nella folla, nel “divenire folla”, un sentimento di euforia che trascende il singolo individuo al punto che la sensazione di felicità, condivisa con gli altri, non solo raggiunge un grado certamente superiore rispetto a quello che da soli si potrebbe ottenere ma soprattutto accade che in questa dimensione intersoggettiva tale individuo trova una ragione al suo stesso essere. Come nella canzone La foule di Edith Piaf, il corpo-folla accede attraverso la sensualità dei gesti e degli abbracci a una vera esperienza amorosa, al punto da sperimentare non solo l’unione ma perfino il distacco, la separazione. Nella canzone, infatti, la donna che riesce a congiungersi con l’amato, grazie al movimento vorticoso della folla, viene nel finale dalla stessa folla separata da colui che ama. A questo proposito mi ha molto incuriosito la strana storia di questa canzone. Originariamente era una canzone sudamericana, Que nadie sepa mi sufrir,” che nessuno sappia della mia sofferenza” valzer peruviano scritto da Enrique Dizeo e composto da Ángel Cabral nel 1936. Quasi vent’anni dopo Edith Piaf nel ’53 ascolta la versione interpretata da Alberto Castillo. Michel Rivegauche ne riscrive il testo, trasformando la solitudine, il dolore privato, della prima versione in una esperienza corale e pubblica facendone un successo internazionale. Al punto da essere ripresa in spagnolo con il titolo Amor de mis amores.
Il che nessuno sappia , si trasforma in una esperienza di gioia e di dolore condivisa, anche se, nella bella interpretazione della Piaf, la protagonista dopo l’ebrezza del volo sembra cadere nel dolore della separazione da sola, con la folla ignara del suo dolore.
Nei primi anni del secolo un’altra Edith, filosofa, “rivelava” al mondo in modo ineccepibile cosa accadeva, dal punto di vista fenomenologico, nel passaggio dall’io al noi.
” Ciò che gli altri ora avvertono l’ho visivamente davanti a me, assume la forma di un corpo proprio e vive attraverso il mio sentire. E’ in quel momento che dall’Io e dal Tu emerge il Noi in guisa di un soggetto di grado più elevato”- scrive Edith Stein (Il problema dell’Empatia)
In una nota che ho trovato sulla storia della canzone la foule, viene detto e non posso che sottoscriverlo, “The crowd appears as a sort of demiurge (creator), like destiny, playing with the human beings who are helpless against the vagaries of chance.”
Intanto non so perchè, ma mi torna in mente un’esperienza fatta da ragazzo ai tempi del collegio. Per tre anni alla “Nunziatella”, dai quindici ai diciotto anni, sia durante i campi che alle parate militari, si facevano delle lunghe marce, al freddo, al caldo, con uniformi pesantissime e con un rigore e severità estremi. Per tenere botta cantavamo, e quel nostro canto ci faceva sopportare meglio la fatica. Dirò di più, in certi casi, una vera e propria euforia si impossessava di noi, sì, di noi.
L’associazione mi è venuta durante la lettura dell’opera di Baudelaire, Le peintre de la vie moderne, citata da Benjamin.
“J’ai actuellement sous les yeux une de ces compositions d’une physionomie générale vraiment héroïque, qui représente une tête de colonne d’infanterie ; peut être ces hommes reviennent-ils d’Italie et font-ils une halte sur les boulevards devant l’enthousiasme de la multitude ; peut-être viennent-ils d’accomplir une longue étape sur les routes de la Lombardie ; je ne sais. Ce qui est visible, pleinement intelligible, c’est le caractère ferme, audacieux, même dans sa tranquillité, de tous ces visages hâlés par le soleil, la pluie et le vent.”
La tranquillità dei volti, delle facce, scrive Baudelaire. E così arriviamo al punto chiave di tutta questa escursione. Il “divenire folla”, così come immaginato prima da Poe e a seguire da Baudelaire, riarticolato da Walter Benjamin, in un’accezione forte di fusione dell’io e del tu in un noi, ovvero non attraverso il semplice “sentire” insieme qualcosa, ma proprio, come teorizzato da Edith Stein, empaticamente, ovvero accedendo ad uno stadio di consapevolezza ulteriore, ci rende migliori o peggiori?
Ed ecco che Walter Benjamin a pagina 589, nelle pagine consacrate al flâneur scrive: Descrizione della folla in Proust: (…) “L’Amore-e,di conseguenza, il timore-della folla è uno dei moventi più forti in tutti gli uomini, che cerchino di piacere agli altri o di stupirli, oppure di mostrare loro che li disprezzano.” dalla:Recherche- Marcel Proust (All’ombra delle fanciulle in fiore)
In Proust, in questo passaggio, manca sicuramente la fusione di coscienza individuale e collettiva, quasi come se ci dicesse che comunque folla o non folla non bisogna “perdere la faccia “. La stessa separazione che così drammaticamente e magnificamente, aggiungiamo noi, aveva raccontato Elie Kazan con il suo, “A Face in the Crowd” del 1957, un volto, una faccia, nella folla, dove però la folla è qui raccontata come pubblico e dove se il movente è quell’amore di cui parla Proust,la parte del mandante la gioca la televisione, che immola sull’altare della popolarità ogni suo nuovo eroe come Larry ‘Lonesome'(solitario) Rhodes, inventato da Kazan.
Di “perdere la faccia”, la propria singolarità, in un’autentica esperienza del noi, secondo Edith Stein non è proprio questione.
Siamo lontani anni luce dall’esperienza di sottrazione teorizzata da Gustave Le Bon alla fine del diciannovesimo secolo quando scriveva che « Le folle non possono mai compiere azioni che richiedono un alto grado di intelligenza e sono sempre intellettualmente inferiori a un individuo isolato. »
E se invece esistesse una forma di intelligenza, come nella follia che ci è preclusa. «Es läßt sich nicht lesen», e cioè che essa non si lascia leggere. Esattamente come l’uomo-folla di Edgar Allan Poe.
Forse è nel “divenire folla”, in quella mutevolezza che hanno le cose che non sono una volta e per tutte quelle che sono che va cercata una risposta. Ecco perchè mi interessano i flash mob, ma procediamo con ordine.
Gustave le Bon nel suo “Psicologia delle folle” questa mutevolezza ce la racconta così:
L’anima delle folle non é facile a descriversi, perché la sua organizzazione varia non solo secondo la razza e la composizione delle collettività, ma anche secondo la natura e il grado degli stimoli che esse subiscono. Del resto la stessa difficoltà si presenta per lo studio psicologico di un essere qualunque. Nei romanzi, gli individui si manifestano con un carattere costante, ma non nella vita reale. Soltanto l’uniformità degli ambienti crea l’uniformità apparente dei caratteri. Del resto ho mostrato altrove che tutte le costituzioni mentali contengono possibilità di caratteri potendo esse rivelarsi sotto l’influenza di un improvviso cambiamento di ambiente. E così, che tra i più feroci membri della Convenzione si trovano inoffensivi borghesi, che, in circostanze ordinarie, sarebbero stati pacifici notai o virtuosi magistrati. Passato l’uragano, essi ripresero il loro normale carattere. Napoleone incontrò fra loro i più docili servitori.
Divenire-folla, significa esplorare se stessi attraverso gli altri. In altri termini, mi chiedo, è possibile allora considerare i Rave come un’esperienza mancata della “moltitudine” rispetto ai Flash mob? Ovvero, il permanere nella propria sfera individuale come accesso alla propria follia personale, con o senza droghe, con o senza il trance indotto dalla musica House o Techno?
Alcuni fenomeni legati al mondo dei Rave, la cosiddetta danza sul posto, o i silent rave ci confermerebbero ‘sta cosa.
Per rinfrescare la memoria, “nei Silent rave i partecipanti si radunano sul posto stabilito dotati di lettori musicali e cuffiette ballando nel più completo silenzio, ognuno la propria musica.”
I Flash Mob a mio parere, e lo ripeto si tratta di un’ipotesi, riescono dove i rave avevano fallito, ovvero nell’azione, in una frazione di tempo limitata, di fusione di tipo empatico, di innumerevoli io e tu in una dimensione ulteriore, in un noi che in quest’oltre riesce a capovolgere ogni segno di comunità, sia esso un luogo pubblico, o un’azione.
In questo senso azioni come quella dei ballerini dell’Opera di Parigi al Louvre per quanto “troppo” organizzato, ci raccontano un’esperienza doppiamente colletiva, sia per la coralità dei partecipanti, il corpo di ballo, sia per il luogo ovvero nella piramide rovesciata del museo.
Quello che sappiamo è che prima dell’azione c’era una folla, diciamo naturale, dei visitatori del Louvre, ed è all’interno di quella folla che si produce un’oltre folla, in parte “telefonata”, in parte no, che determina un’energia che accoglie e moltiplica quella di ogni partecipante. E la folla temporanea si disperderà, a fine azione nella folla originaria. Di come i Flash mob rappresentino un passo ulteriore rispetto ai Rave appare ancora più evidente con un altro esempio. Parlavamo prima dei Silent Rave, ecco, i Flash-mob, ovvero foule éclair, in francese, folla-lampo, presentano una variante, quella dei Freeze Flash Mob ed è incredibile come l’immobilità improvvisa e inattesa dei partecipanti determini in chi vi assiste una forma di estrema vitalità, un movimento appunto.
In questo senso i Flash Mob mi sembrano dei veri e propri atti politici con in più l’ironia che spesso manca alle forme di lotta che i movimenti adottano. Nei Flash mob può capitare che i partecipanti improvvisino guerre di cuscini o mimino il movimento delle papere. La spontaneità di azioni di questo tipo ricordano, come ho letto in un articolo francese sull’argomento, tante e svariate manifestazioni spontanee di folle improvvisate , prima dell’avvento della rete,in determinati appuntamenti con la storia, come il passaggio in convoglio ferroviario della salma di Robert Kennedy,l’8 giugno del 1968, o la discesa della gente comune nelle piazze di Praga dopo l’annuncio della morte di Jan Palach.
Howard Rheingold nel suo “Smart Mobs: The Next Social Revolution“, teorizza una superiorità della folla, meglio della comunità virtuale globale sul singolo individuo. Non saprei. Di certo a me sembra, di fronte a fenomeni di questo tipo, di sentire come un profumo, il profumo di quella che Baudelaire definiva “la beauté passagère”.
Post Scriptum
A pagina 669 di Parigi Capitale, Walter Benjamin, nel capitolo dedicato alle strade della città, a un certo punto si chiede: Rue des immeubles industriels- quando è sorta?
E così gli ho scritto:
Caro Walter su wikipedia ho trovato questo.
La rue des Immeubles-industriels percée en 1873 sous le nom de rue de l’Industrie Saint-Antoine et devenue en 1877 rue des Immeubles-industriels a été lotie par l’architecte Émile Leménil.
Quando eri a Parigi, negli anni trenta, l’abitavano numerosi ebrei polacchi al punto che in quella strada si parlava yiddish. Quando te ne sei andato per sempre accadde qualcosa. Molti di quei ragazzi si arruolarono nel 1941 nella FTP-MOI per liberare il paese dall’occupazione nazista. Fra loro Marcel Rayman (ou Rajman), di 21 anni, leader del celebre gruppo Manouchian. Quelli dell’Affiche rouge additati come terroristi dalle SS e che contava tra le proprie fila, ebrei polacchi, italiani, spagnoli. Al numéro 1 de la rue des Immeubles-Industriels hanno messo una targa per onorarne la memoria.
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Una folla di personaggi attraversa il tuo scritto e ci attraversa, dal campo letterario a quello filosofico passando per la canzone dove la folla esalta il sentimento amoroso e riverbera la sua fine. Fino alla domanda-chiave: se la folla racchiude – come nella follia – una particolare forma d’intelligenza?
La folla originaria è sempre presente, è ovunque, in tutti i luoghi, ed è la folla nella quale l’individuo si nasconde, perde il suo volto. “Flash-mob”: là dove, invece, la folla assume un volto ben definito. La folla originaria che si “tramuta” in folla-lampo o folla-ghiaccio, folla che non “trascina” più con sé – corpo senz’anima – ma improvvisamente s’anima. “Beauté passagère” di un corpo collettivo dotato d’anima.
Un ritorno al XIX sec. [Ho letto la tua traduzione di P. Muray. Condivido ciò che hai scritto nella nota. E auspico che almeno il suo “Le XIX siècle…” venga tradotto] che ci fa guardare dentro noi stessi, che è lo specchio del nostro tempo.
un folle bagno di folla. bello.
mo però mi devi una granita messinese, anzi due una pure per Alfredo effeffe
aggiudicato. aspetteremo i gelsi.
Ho un’obiezione sulla implicita politicità dei Flash mob e sulla loro capacità di creare un noi fusionale superiore alla somma degli io. In essi ci sono – a me pare – almeno tre differenze di non poco conto che li fanno radicalmente diversi dall’esperienza della folla descritta da Baudelaire, Poe, Piaf:
1) si tratta di eventi intenzionali, mentre la folla ottocentesca affascinava i due scrittori citati – geniali, dunque dotati di ego tanto smisurati da riuscire a volte faticosi da sopportare – proprio per la sua mancanza di direzione precisa e di, appunto, intenzione. L’individuo è borghesemente vincolato a scopi, sensi, (ancora una volta) intenzioni e cerca un’uscita da sé;
2) c’è in essi un elemento ludico e fine a sé stesso che non vedo come possa essere riusato in senso politico (anche latamente politico, ovvero collettivo);
3)non mi sembra possibile sovrapporre alla folla inconsapevole di esser tale di una società di massa nascente (l’ottocentesca) quella di una società di massa avanzata e massmediatizzata, in cui la consapevolezza di sé è a tal punto sviluppata da generare addirittura una rappresentazione di sé nell’atto di esser folla (il Flash Mob).
Daniele grazie per le tue osservazioni. ti rispondo domani che devo andare via, però una cosa sola vorrei già mettere sul tappeto. Se sostituisci ai boulevard, o ai passages, la rete, ritroverai in fondo quell’hasard delle antiche folle ottocentesche. In questo senso la navigazione a vista degli internauti ricorda molto i flâneurs d’antan
effeffe
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