Immobilismo Molisano – Intervista a Vincenzo Sparagna
Quest’estate, in trasferta con Agnese Manni e Carlo D’Amicis al Molisecinema festival, giunto alla sua decima edizione a Casacalenda, mentre il resto d’Italia schiattava di caldo e noi si stava seduti con i plaid durante le proiezioni all’aperto, uno spettro s’aggirava per la mente mia e quello spettro si chiamava “Immobilismo Molisano”. Movimento d’avanguardia artistica e politica di cui in Molise nessuno aveva più memoria. Così ho intervistato Vincenzo Sparagna, tra le firme più note del Male e fondatore di Frigidaire, per raccontarcelo a partire da una fotografia. effeffe
Immobilismo molisano e il Male . lo slogan era, se ricordo bene, “perché stare fermi quando si può essere immobili?“. A chi venne l’idea e chi si immobilitò con più vigore?
R: Lo slogan era proprio quello. Credo che l’idea iniziale sia stata di Piero Losardo, che faceva parte, con me e Vincino, della direzione del settimanale. Ma vi portarono il loro contributo di invenzione fondamentale anche molti altri: Angelo Pasquini, Jiga Melik, Mario Canale, Roberto Perini, io stesso e ancora Giovanna Caronia e Francoise Perrot, il grafico Marcello Borsetti ecc.
L’immobilismo era infatti un gioco di rimandi e rinvii, da un lato parodia dei movimenti avanguardistici, dall’altro lancio di un’idea anticinetica, frutto selvaggio artistico, illuminazione filosofica basata sulla pratica della rivolta generale, anche linguistica e culturale, del ’77. Una esperienza ancora ben viva nell’ottobre 1978, anno, non dimentichiamolo, in cui massimo fu lo scontro sociale e decisamente sanguinosa la guerra civile strisciante in Italia.
In rete gira una foto di gruppo con signore. ce la puoi raccontare questa foto? Chi eravate, chi la scattò e soprattutto eravate davvero in Molise?
R. Non in Molise ovviamente, che era il simbolo dell’estrema provincia, della lateralità, oserei dire, delle idee geniali. E’ una foto che facemmo nella Villa Sciarra di Monteverde, a due passi dalla nostra redazione. Il gruppo è la redazione di quel momento quasi al completo. Ciascuno è vestito con qualche ricercatezza o eccentricità. Io ho una lampadina nella tasca della giacca, Enzo Sferra sfoggia una squadra triangolare, Piero Losardo, steso accanto a me, sembra un viveur d’inizio secolo, Perini indossa l’uniforme del pittore. Le ragazze sono intonate all’idea di questo movimento antico, fatto di intelligenze acute, che appunto per ciò si limitano a star ferme, a criticare immobili la vita contemporanea piena di affanni. Così Francoise Perrot, Cinzia Leone, Giovanna Caronia e Francesca Costantini sono tutte in abiti classici di inizio secolo. L’immagine vuole essere quella di una gita in campagna, da tela impressionista o meglio ancora da quadro macchiaiolo, di quel tardo ottocento italiano solare e svagato, ma anche denso di pensieri. Ovviamente ognuno ha il suo nome da immobilista. Io sono l’ufficiale di cavalleria appiedato Vincenzino Seggiolella, Piero Losardo è Aleardo Solari, gaudente e minchione, Angelo Pasquini è Giuseppe Salsicci, possidente cancellatore, Jiga Melik (alias Sandro Schwed) è Eliezer Aschw, farmacista criminale, Giovanna Caronia è Rossella O’ Cara, pittrice, Vincino è Rauco Rauchi , cantante cieco e muto, Francoise Perrot è la contessina Adelaide Zerla, mecenatessa, Carlo Zaccagnini è Lord Vinegar di passaggio e così via immaginando. In certi casi peraltro le vicende successive hanno confermato alcune di quelle strane qualifiche in modo bizzarro e gustoso (ma questa sarebbe una storia diversa, dove si potrebbe vedere come la fantasia coglie nel suo impeto più creativo elementi di realtà e frammenti di profezia anche quando si diletta in affermazioni paradossali…).
L’immobilismo molisano è forse la filosofia estetica più situazionista mai prodotta nel nostro paese e che si riallaccia in qualche modo all’ Elogio dello spirito pubblico meridionale di Piperno, per il quale occupaste addirittura il Beaubourg per protestare contro il suo arresto in Francia.
R. Sono d’accordo, purchè si intenda che è un’idea che vive sul confine sottile e difficile, zona di pericolosi smottamenti, che corre tra filosofia, parodia della filosofia, letteratura, arte, teatro e rivoluzione. Non a caso la coda operativa più interessante dell’immaginario movimento fu appunto quella che ricordi, ovvero l’azione al Beaubourg del Gruppo Anticatatonico Immobilista Franco Piperno. Lo facemmo nascere in una brasserie di Parigi nell’agosto 79 io e Piero Losardo (che si trovava in Francia, perché temeva un mandato di cattura italiano che poi non ci fu). Nell’occasione io ed Eric Alliez (un giovane compagno francese) travestiti da flic, inscenammo tra grida e schiamazzi che fecero raccogliere una gran folla al quarto piano del Beaubourg, il finto arresto di alcune statue e una violenta rissa tra poliziotti. Il museo venne bloccato per quasi un’ora. Infine fuggimmo sempre travestiti da flic mentre arrivavano i veri flic. Subito dopo il Gruppo Anticatatonico emanò un comunicato minaccioso in cui ammoniva il Presidente francese: “Giscard fais gaffe!”, che vuol dire più o meno “stai attento a te!”. L’azione venne fatta dopo l’arresto a Parigi di Franco Piperno (che avevo intervistato clandestino qualche mese prima in Italia) nell’ambito di quell’inverosimile processo ai fantasmi che fu il processo 7 aprile contro i leader dell’Autonomia Oreste Scalzone, Piperno, Negri, Pace, Virno ecc.
Che ne è oggi dell’Immbilismo? Oggi che tutti parlano di mobilità e di Ikea per non parlare della katastrofen Aiazzone, non sarebbe il caso di far rinascere quel movimento?
R. Le idee profonde, anche se lanciate con leggerezza e ironia, hanno una vita propria che le protegge dall’usura del tempo ingannevole. D’altra parte va anche detto che almeno nella sua forma originaria e nei suoi inventori e protagonisti, il movimento, ovvero il gruppo che recitò la parte di un movimento inesistente, si è da tempo sciolto. E purtroppo tra loro, dico io, ben pochi sono rimasti “immobilisti”, se è possibile usare l’espressione in senso parodistico/descrittivo per indicare il rifiuto di questa società, la satira radicale, la ribellione e l’autonomia. Molti di quella redazione, nella realtà, si sono dati adeguati tristemente alla filosofia dominante del correre, che è anche un lasciar correre per strafottenza. A dirla in termini immobilisti si potrebbe affermare (parodiandoci) che gli imbelli catatonici, troppo chini sul proprio ombelico, hanno finito per collezionare con spirito provinciale denari e carriere, facendo i farmacisti o i possidenti, mentre noi bellicosi anticatatonici (morti compresi) resistiamo testardi, convinti che il cadavere del nemico (che poi è il cattivo gusto, l’ingiustizia, l’orrore pratico ed estetico) finirà ben per passare, trascinato da forze più grandi, sulla corrente impetuosa del fiume che guardiamo tranquilli.
Nota.
Su questi argomenti, a parte gli innumerevoli scritti sparsi, sono apparsi tre libri di Vincenzo Sparagna.
La Commedia dell’Informazione, Boringhieri, 1999
Falsi da ridere, Malatempora 2001
Frigidaire. L’incredibile storia e le sorprendenti avventure della più rivoluzionaria rivista d’arte del mondo, Rizzoli B.U.R, 2008
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Bella intervista, bravo effeffe nella restituzione. Un saluto a Spara felicemente immobile nella riserva di Frigolandia!