Nel nome dello Zio

(Giovedì prossimo è in uscita per Guanda Nel nome dello Zio, il nuovo romanzo di Stefano Piedimonte, il quale gentilmente ci regala l’anteprima, qui di seguito, del quinto capitolo. G.B.)

di Stefano Piedimonte

Lo Zio era seduto al « tavolino reale » del bar Magna Grecia, una struttura imponente costruita sul litorale di Varcaturo imitando le linee (e la grandezza) del Partenone, sorta da un giorno all’altro in un’area destinata a uso agricolo in spregio a tutte le leggi. Non solo a quelle urbanistiche, che sarebbe stato il danno minore, ma soprattutto a quelle del buon gusto e della decenza.
Il Magna Grecia era un’idea venuta al commercialista del clan Mallardo per riciclare una parte del denaro proveniente dalle estorsioni e dal traffico di droga. Alla fine i risultati avevano superato le aspettative: la gente amava mangiare una sfogliatella passeggiando fra una colonna e l’altra del Partenone.
Per lo Zio, era semplicemente una « base », un punto di ritrovo coi colleghi delle famiglie radicate fra Napoli e il Casertano. Il tavolino reale si trovava su un piano leggermente rialzato dell’immenso salone, spostato verso l’interno e circondato da una recinzione di acquari alti una trentina di centimetri. La coerenza stilistica, in un posto del genere, era un’idea da abbandonare ancor prima di varcare la soglia.
Accanto allo Zio, seduto con le spalle verso il fondo del locale, c’erano alla sua sinistra Gigino Tagliaferri, detto ’o Cavallaro, esperto di corse clandestine e finissimo talent scout di quadrupedi da dopare. Alla sua destra, Salvatore Scudiero, detto Totore Telecòm, fine conoscitore dei sistemi per frodare la pay tv e organizzatore di proiezioni clandestine dei match calcistici.
Anche su quello c’era da lucrare parecchio: una partita del Napoli proiettata in un sottoscala, con duecento spettatori stipati come sardine a quattro euro l’uno, significava ottocento euro esentasse guadagnati praticamente senza muovere un dito. In periodo di campionato, lo scherzetto tornava buono per distribuire qualche soldino alle famiglie degli affiliati detenuti. Salvatore aveva appena finito di illustrare allo Zio i suoi sfavillanti progetti per la ripresa del campionato – una sala proiezioni da allestire nella vecchia scuola materna abbandonata, di proprietà del Comune, in grado di ospitare almeno trecento persone – quando il Cavallaro batté due volte il cucchiaino sulla tazza del caffè richiamando col tintinnio l’attenzione dei colleghi.
« Eccoli, ci sono tutti e tre. »
«Addirittura… » esclamò lo Zio piegando leggermente la testa e sgranando gli occhi in una posa caricaturale. «Ma allora siamo importanti » considerò , offrendo un sorriso compiaciuto e sarcastico prima a Gigino e poi a Salvatore.
Dalle colonne del Partenone sbucarono tre individui simili in tutto e per tutto alla combriccola dello Zio: in due indossavano giubbino di jeans, scarpe da ginnastica e occhiali da sole con lenti a goccia. Quello al centro, invece, portava pantaloni neri classici, mocassini in tinta e una camicia che offendeva quasi tutte le tonalità del rosa, del giallo e dell’arancione. Sbottonata in cima, mostrava un petto villoso e una catena d’oro con Gesù suppliziato ben due volte: la prima per via della crocifissione, la seconda perché sommerso dalla peluria incolta di Antonio Maltradotto, assessore alla viabilità nella giunta comunale.
L’assessore, la camicia preferiva portarla fuori dai pantaloni, per occultare – nelle intenzioni, almeno – il pancione che debordava dalla cintola.
I tre avevano percorso circa metà della distanza che li separava dal tavolino reale quando, a passo spedito, si avvicinò un cameriere in divisa rossa marcata Magna Grecia sul petto e sul cappello. Il giovane fece un brusco dietrofront appena riconosciuti i personaggi, quasi come a scusarsi per l’intenzione di consigliare loro un tavolino diverso da quello dove erano naturalmente diretti.
Tornato dietro il bancone si beccò uno scappellotto dal cassiere. Probabilmente, se non avesse fatto cenno di avvicinarsi agli ospiti di riguardo se lo sarebbe beccato lo stesso. Un collega anziano, che aveva notato la scena, prese con la pinza un micro-babà dalla vetrina e glielo porse in segno di solidarietà . Il cassiere non disse nulla: sfilò da sotto il registratore di cassa un foglietto bianco con alcuni numeri annotati, e con la bic nera scrisse « –1,20 euro » accanto al nome « Tony ».
« Buongiorno, assessore » disse poi con voce sufficiente a raggiungere il centro della sala. Il politico rispose con un semplice cenno del capo e proseguì la camminata verso il tavolino degli «uomini di rispetto». A lui piaceva essere salutato cosı`, platealmente, soprattutto quando ad attenderlo c’erano pezzi da novanta della criminalità partenopea.
Il tavolino reale aveva sedie reali. Soffici, di legno dorato e foderate in rosso. L’imbottitura di un’unica sedia sarebbe bastata per un intero divano compreso di penisola. I Mallardo non badavano a spese, specie quando i soldi erano quelli estorti a commercianti e imprenditori edili.
Quando Maltradotto e i suoi sodali si sedettero di fronte alla compagine dello Zio, le sedie emisero tre sbuffi d’aria sfasati fra loro di qualche nanosecondo. « Ogni volta sembra che hai fatto una loffa» disse lo Zio, ed era il modo più elegante che fosse riuscito a trovare per rompere il ghiaccio.
« Non ti preoccupare, Zio, quando io faccio una loffa te ne accorgi » disse l’assessore esuberante sfilandosi i Ray-Ban e sporgendosi col busto sul tavolo. Il boss non rispose per evitare che si innescasse una gara poco dignitosa per entrambi. Alzò invece una mano per richiamare l’attenzione del cameriere. Stavolta si mosse quello anziano.
Maltradotto fece cenno a uno dei suoi di passargli qualcosa. Il tizio sfilò dalla tasca del giubbino un taccuino e una penna e glieli porse. Prima di prenderli, l’assessore sollevò dal petto il ciondolo a forma di crocifisso e se lo portò alle labbra. Solo a quel punto raccolse carta e penna e fissò lo sguardo sullo Zio.
Il boss, che ben conosceva il personaggio, non rimase affatto sorpreso. Prima di ogni incontro con gli uomini di rispetto, l’assessore chiedeva al Signore di vegliare sui suoi traffici e far sì che tutto andasse bene.
Maltradotto sfogliò rapidamente la gran parte del blocchetto, quindi segnò sulla prima pagina bianca la data e il luogo dell’incontro. Appena sotto scrisse « Zio », poi poggiò la penna sul blocco accentuando il gesto e sollevando lo sguardo sul boss dei Quartieri Spagnoli.
La trattativa poteva cominciare.
Alle 12.45 di un giorno feriale, il cameriere venne liquidato con un ordine di tre Jack Daniel’s. Prese la parola lo Zio. « Allora, assessore, come ti ha anticipato il mio collaboratore abbiamo un piccolo problema. Ma è proprio piccolo, quindi ci metteremo d’accordo sicuramente» Maltradotto fece oscillare il testone avanti e indietro, favorevole a prescindere. « Il problema è che tu hai messo un senso unico proprio davanti alla casa del Traditore, solo che l’hai messo nel verso sbagliato. » Il Traditore era un capo-piazza locale che aveva scalato posizioni all’interno del clan dopo aver tradito i suoi precedenti colleghi e aver consegnato nelle mani dei Mallardo tutti i segreti della famiglia rivale.
Per qualche miracolo spiegabile solo con un’attenta analisi dei sottilissimi equilibri camorristici, era ancora vivo.
« Cioè » proseguì lo Zio, « hai sbagliato a segnare il verso del senso unico sulle carte del Comune, e ora il Traditore per arrivare sotto casa deve fare il giro dell’isolato.
Ha provato pure a farsi il controsenso, ma gli arrivano sempre le altre macchine di fronte… e mica può litigare ogni giorno con dieci automobilisti. Il Traditore è una persona tranquilla. »
Mentre lo Zio parlava, Maltradotto aveva cominciato a muoversi sulla sedia e a rigirarsi fra le mani le stanghette degli occhiali. Sotto il tavolo, la gamba destra faceva su e giù . Ora il boss aspettava una sua risposta. « Zio, così mi metti in difficoltà » esordì. Lo Zio inclinò la testa e aggrottò le sopracciglia, incredulo. « No, Zio, veramente » continuò l’assessore, « così mi metti in grosse difficoltà . Quel piano traffico l’ho disegnato insieme ai colleghi della giunta comunale. Ora che gli dico? Che il Traditore vuole farsi un’ordinanza personalizzata? Come faccio… »
« Eh, come fai… Ma che ci vuole! » esclamò lo Zio sbattendo il pugno sul tavolo. « Tu vai là e gli dici come ti ho detto io: ridatemi un attimo il foglio col disegnino, ché ho sbagliato a segnare un senso unico.»
« E secondo te è così facile » sospirò l’assessore, che ora giocherellava anche col crocifisso d’oro appeso al petto. Nella sala del Magna Grecia, affollata perlopiù da perdigiorno, studenti filonari e delinquentelli da due soldi, la tensione cominciava a percepirsi. Nessuno aveva l’ardire di mettersi a osservare il tavolino reale, ma molti erano i clienti che gettavano l’occhio fra una chiacchiera e l’altra.
Lo Zio tacque per un minuto buono. Poi stringendo gli occhi fece: «Mi sembri Gaucho».
« Chi? » chiese l’assessore, e i suoi sgherri si guardarono fra loro. « Gaucho » ripeté lo Zio come fosse la cosa più naturale del mondo, « Gaucho del gieffe. » Maltradotto guardò a destra e a sinistra: accettava suggerimenti.
I suoi, però , non furono in grado di dargliene. Lo Zio gli schioccò le dita davanti al naso: « Oh! Il gieffe, il Grande Fratello. Gaucho del Grande Fratello. Mi sembri lui: Gaucho del Grande Fratello».
Solo a quel punto i sodali del boss si scambiarono uno sguardo di estasiata complicità : loro sapevano, erano addestrati, e il fatto che i due sgherri « avversari » brancolassero nel buio li riempiva di autentico orgoglio.
« Quando Gaucho entrò nella Casa » prese a spiegare il boss solennemente, « Tania lo prese subito di mira. In senso buono, eh. Era sempre gentile, premurosa, carina. Dovunque Gaucho andasse, se la trovava di fronte. Qualunque cosa Gaucho facesse, Tania si prendeva cura di lui. Anche di nascosto, senza farglielo capire. Addirittura lo spiava. Lui non lo sapeva, ma io sì, perché sulla pay tivù potevo guardare da tutte le telecamere. »
Maltradotto prese un tovagliolino dal dispenser e lo usò per tamponare le gocce di sudore che cominciavano a rigargli le tempie. Prima quella destra, poi quella sinistra, con calma, cercando di non tradire un nervosismo peraltro già evidentissimo.
«Un giorno Tania, dopo aver lavorato un mese pazientemente dietro le quinte, amando Gaucho con tutta se stessa, gli chiese un piccolo gesto d’attenzione. Andò da lui e gli disse: ’Gaucho, io non voglio niente da te, niente di serio. Vorrei solo che tu mi dicessi che almeno una volta, durante la giornata, pensi a me’. Sai cosa rispose Gaucho? » Maltradotto scosse la testa, ipnotizzato.
« Rispose: ’Non posso, mi dispiace’. E sai perché rispose così?» Maltradotto scosse di nuovo la testa. « Perche ´ altrimenti avrebbe dovuto spiegarlo alla sua fidanzata che lo guardava in tivù , avrebbe dovuto spiegarlo alla sua famiglia, alla famiglia di lei, e a chissà quante altre persone. Ma Gaucho non aveva capito una cosa: tutte quelle persone, tutti quelli che lo guardavano in tivù , per lui non avevano mai fatto un cazzo. Tania, invece, per lui aveva fatto molte cose. Ora, assessore, ti do un aiutino: stiamo parlando dell’edizione 2009 del gieffe. Sai che fine fece Gaucho? »
L’assessore alla viabilità scosse la testa per la terza volta.
« Venne eliminato. »

*
Stefano Piedimonte è nato nel 1980 a Napoli e si è laureato all’università «L’Orientale». Dal 2006 lavora per il «Corriere del Mezzogiorno», prima come cronista di nera e poi come redattore web della testata.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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