Sulcis: Ascensori per l’inverno
Ho chiesto a Michela Calledda di farci un reportage sulla questione delle miniere del Sulcis. A lei la linea . effeffe
Cronaca
di
Michela Calledda
Sono sulcitana e la storia della mia famiglia è una storia mineraria: mio nonno era minatore e, prima di lui, fu minatore suo padre. Quella del Sulcis è una storia di lotta per il lavoro e per la sopravvivenza, il mio è un territorio abituato a vedere i propri operai barricarsi col tritolo a centinaia di metri di profondità per rivendicare il diritto al lavoro. Eppure, nonostante i precedenti, l’occupazione di una miniera è sempre qualcosa di sconvolgente.
Presa dall’ansia e dall’emozione, ieri sono stata a Nuraxi Figus a portare solidarietà ai minatori asserragliati a 400 metri di profondità con 350 kg di esplosivo. E’ stata una giornata intensa, una di quelle giornate che ti costringono a fare i conti con la tua gente e con la tua cultura. Avevo già avuto la fortuna di visitare una miniera scendondo fino alle viscere della terra, ma si trattava di miniere morte, ingoiate dalla storia. Mai, invece, mi era capitato di vivere un’occupazione vera, con gli operai asserragliati sottoterra e l’esplosivo che incombe, alle loro spalle. Mi colpisce subito la disponibilità di quelli che, in superficie, gestiscono l’ordine e si occupano di filtrare le visite per i minatori in sottosuolo. Mi accoglie Sandro che mi sistema un berretto corredato di pila, una cintura e degli anfibi enormi.
Saliamo in ascensore e in cinque minuti raggiungiamo il nocciolo duro dell’occupazione. Gli occupanti sono quaranta, in mezzo a tanti uomini mi colpiscono subito le donne: ce ne sono quattro e sono agguerritissime. C’è Valentina, addetta ai controlli ambientali, Valeria che fa l’ingegnere, Giuliana, responsabile per la sicurezza e Alice, analista di laboratorio che vedendomi stupita mi fa notare che su cinquecento dipendenti le donne sono circa sessanta divise tra uffici, lavori tecnici e sottosuolo. Un’altra cosa che mi colpisce e mi dà idea di quanto sia alterata la mia concezione della vita mineraria, è vedere quanti giovani siano mescolati ai minatori più “vecchi”. Scopro così che recentemente sono state fatte ottanta nuove assunzioni e che tanti giovani laureati lavorano dentro quella miniera. Valentino, 28 anni mi racconta la pesantezza di quel lavoro, “l’unico”, mi dice ” che però mi dà la certezza di mangiare tutti i giorni”e in mancanza di alternative, fanno eco gli altri attorno a lui, abbiamo il dovere di difendere il nostro diritto al lavoro e di pretendere risposte.
E finché non arriveranno non si muoveranno. Mauro, ormai prossimo alla pensione mi dice che è là sotto per i più giovani, che è importante conservare la garanzia di un posto di lavoro in un territorio come il nostro, devastato dalla povertà, violentato dalla politica dell’assistenzialismo. Con un po’ di malizia, lo confesso, chiedo a tutti se ritengano opportuna la presenza di quell’ ex presidente della Regione sulcitano, oggi parlamentare , tra i maggiori responsabili del dissesto socio-economico di quell’area. Le risposte sono molte e discordanti: c’è chi dice è strumentale alla visibilità mediatica dell’occupazione come se 350 kg di esplosivo, da soli, non fossero abbastanza; c’è chi sussura che, forse, avrebbe fatto comodo qualcuno che in parlamento gridasse le ragioni della lotta ed esigesse risposte. Nicola, un ingegnere sulla trentina, mi dice di non pretendere l’impossibile: “Non voglio andare via dalla Sardegna, voglio tornare a casa dopo il lavoro, prendere la bicicletta e scappare al mare”; è così che mi rendo conto che quei ragazzi, più o meno miei coetanei, rivendicano il diritto a una vita normale che una crisi economica, politica e strutturale gli ha violentemente scippato. Tra una domanda e l’altra è già passata un’ora, Sergio ci porta via. Torniamo su e una volta fuori mi libero del casco, del cinturone e degli anfibi e realizzo che quel peso che mi sembrava opprimente, non è che la parte più leggera del lavoro di un minatore.
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Colpisce vedere che, in un blog letterario, dove tanti hanno sempre da spendere tantissime parole su fumose questioni, non ci sia neanche un commento – e a distanza di giorni – a proposito di una testimonianza sul lavoro, quello manuale per antonomasia. Ma quanto è distante il blaterare letteraturistico dall’esistenza concreta e materiale? Viene proprio voglia di dare ragione a chi urla all’intellettualino “ma va’ a lavurà!”
cara Caterina, il reportage di Michela è girato molto e molto è stato letto. Commentato in radio e condiviso nei social network. Il fatto che non sia commentato qui lo devi interpretare come un segno di intelligenza, di sensibilità, letteraria o intellettuale che sia, diciamo tout court. Non so se sia “oggettivamente” così ma a me piace pensare che lo sia. effeffe