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Bamboccione voodoo

(Marco ci regala un estratto del suo nuovo libro, in questo scampolo di fine estate. G.B.)

di Marco Candida

Mathias è l’eredità che Caterina ha ricevuto da sua zia Nivea («come la crema della pelle», rimarcava ogni volta che poteva il padre di Nero) una volta che questa circa sei mesi prima era passata a miglior vita, anche se per Caterina e Nero, da trentaquattro anni in quel di Tortona in provincia di Alessandria, era difficile immaginare una vita migliore da quella trascorsa in una casa di mille metri quadrati a Florianópolis, nello Stato di Santa Catarina nel sud del Brasile. «Da Santa Caterina a Caterina», rimarcava ogni volta il padre di Nero col suo insopportabile autocompiacimento, alludendo probabilmente al fatto che Caterina non fosse proprio una santa e che da Santa Caterina a Caterina ci passasse una differenza, come dire, dalle stelle alle stalle. L’ironia del padre di Nero non si era arrestata neppure davanti alla notizia dell’arrivo di Mathias in qualità di “eredità di Caterina”. «Adesso ne avrai due da coccolare», le aveva detto lasciando intendere che Mathias fosse un bamboccio esattamente come bamboccio era sempre stato, soprattutto da quando aveva cominciato la sua fallimentare carriera universitaria proseguita poi con la sua fallimentare carriera di lavoratore, “Nero”. L’ironia dell’uomo si era però dovuta smorzare quando era saltato fuori che Mathias era un bamboccio del valore economico di trecentomila euro. Sì, la faccenda era andata così.
Un giorno Caterina aveva ricevuto una e-mail da Lauro, il figlio di zia Nivea. Lauro viveva a Rio das Antas nello Stato di Rio Grande Do Sul, faceva l’ingegnere ma non appena sua madre aveva cominciato ad avere i primi problemi e a trovarsi in fin di vita si era trasferito a Florianópolis assieme alla sua famiglia, e la stessa cosa aveva fatto suo fratello Sanchez che abitava invece a Domingos Martins, nello Stato di Espirito Santo, e di mestiere faceva l’avvocato, e tutto questo, come Caterina aveva commentato con Nero, deponeva a vantaggio dell’idea che zia Nivea dovesse essere davvero molto ricca se Lauro e Sanchez avevano potuto piantare i loro studi privati per almeno un paio di settimane, pur per il nobile scopo di soccorrere la madre morente.
Nel messaggio inviato a Caterina, facilmente rintracciata da lui attraverso la rete, Lauro l’avvertiva che la madre era passata a miglior vita e che aveva disposto un lascito proprio nei suoi confronti. Caterina del resto con i suoi trentaquattro anni era la sola sopravvissuta in famiglia, essendo la madre morta di una malattia incurabile quando lei aveva ventisette anni e il padre giusto l’anno prima stroncato da un infarto, lasciandole quella topaia d’appartamento in Via Rinarolo, che peraltro aveva finalmente permesso a lei e a Nero di avviare una “parvenza di vita” insieme. Naturalmente il portafoglio del padre di Nero avrebbe avuto molto da raccontare a questo proposito giacché lo spostamento dalla casa dei genitori alla casa della fidanzata, e ora convivente, aveva visto quel portafoglio protagonista in diverse occasioni ma, dopo trentaquattro anni di vita vissuta assieme ai suoi genitori e gli ultimi sei spesso e volentieri in compagnia anche di Caterina come ospite fissa e ulteriore bocca da sfamare, almeno questa “parvenza di vita” (come la chiamava Nero, con Caterina dietro a far cenno di sì con la testa e a stringersi nelle spalle) era già qualcosa.
Quando Lauro aveva comunicato a Caterina in cosa consisteva il lascito di zia Nivea, manco a farlo apposta il padre di Nero si trovava con loro proprio nella stanza dell’appartamento dove stava il computer (era passato giusto per portare a Caterina un favoloso timballo preparato dalla madre di Nero) e non si era lasciato sfuggire l’occasione per commentare che dove c’è deserto la pioggia non cade mai – una specie di ripensamento al contrario del ben noto detto “piove sempre sul bagnato”. Dopo aver letto l’e-mail Caterina si era afflosciata sulla sedia davanti al computer. Aveva sperato per giorni assieme a Nero che zia Nivea, di cui i genitori le avevano sempre parlato come di una donna assai e assai facoltosa, ora che Lauro e l’altro figlio Sanchez l’avevano contattata per avvisarla del lascito, le avesse regalato una quantità di denaro cospicua, oppure un terreno o una casa in riva al mare. Per giorni Caterina aveva prospettato a Nero la possibilità di recarsi a Florianópolis di persona, come anche secondo Lauro e Sanchez sarebbe stato possibile; anzi da sempre Caterina aveva parlato con i suoi genitori della possibilità di visitare gli zii e i cugini brasiliani, nonostante la cosa sia sempre sembrata solo un sogno perché il biglietto dell’aereo costava troppo, e poi perché il viaggio aereo era troppo lungo, e poi perché sembrava tutto decisamente troppo lontano, complicato, ma a quanto pareva adesso c’era davvero questa possibilità concreta essendo stata contattata da Lauro e Sanchez (sempre questi due nomi, Lauro e Sanchez: Caterina non faceva che ripeterli a Nero). E così si era di nuovo informata sul costo del biglietto aereo e le distanze, e di nuovo aveva dovuto concludere che costava troppo, il viaggio era troppo lungo e tutto sembrava decisamente troppo complicato, lontano e che però questa volta, forse forse, questa volta…
Invece Lauro le aveva dato la notizia che il lascito consisteva in un bambolotto e le speranze di Caterina si erano afflosciate con lei sulla seggiola davanti al testo dell’e-mail proiettato dallo schermo del computer nella stanza. Del resto cosa avrebbe dovuto aspettarsi di meglio? Davvero aveva pensato anche solo per un istante di ricevere dalla sua ricca zia brasiliana una casa in riva al mare, un terreno o una cospicua quantità di denaro? Di sicuro a questo punto non avrebbe avuto senso spendere i soldi del biglietto e sobbarcarsi quel lungo viaggio oltreoceano di circa quindici ore al solo scopo di presentarsi come la beneficiaria di un lascito consistente in un bambolotto. Tanto meglio far passare qualche mese, se non qualche anno, e ripresentarsi ai cugini brasiliani in veste di semplice turista. Ad ogni modo Lauro aveva lasciato intendere a Caterina, forse solo per consolarla, che doveva ritenersi fortunata a ricevere un’eredità come quella perché il bambolotto era molto, molto pregiato, e poi le avrebbe portato tanta fortuna.
Caterina aveva ringraziato Lauro e lo aveva fatto anche Nero che passava gran parte del suo tempo ormai a letto a dormire non avendo nemmeno più la voglia di affrontare la luce del giorno per quanto depresso era a causa del fatto che non trovava lavoro. Dopo aver lasciato l’università a ventiquattro anni e aver lavorato per due anni come addetto alla qualità in un’industria che produceva conglomerato bituminoso, infatti, Nero non aveva più trovato un lavoro vero: campava di questo e di quello. Una volta aveva aiutato un suo zio (né brasiliano né ricco, ma di Bettole, una frazione di Tortona) a fare l’imbianchino, ma Nero, che aveva frequentato il liceo classico e aveva studiato Lettere antiche fino a quando non aveva lasciato, consumandosi la vista non facendo altro che leggere per qualche tempo, era anche diventato nel frattempo piuttosto imbranato. Aveva combinato solo disastri e dopo pochi mesi, d’accordo con il padre, suo zio aveva dovuto chiedergli di starsene a casa. Così Nero s’era convinto di essere veramente un buono a nulla. Usciva poco, stava in casa con Caterina, anche lei un tipicino chiuso, asociale che Nero aveva conosciuto in un centro per anziani dove aiutava e si era ridotta a fare le pulizie, guardava i bambini degli altri, faceva queste cose, e anche lei aveva vissuto a casa dei suoi genitori, come aveva fatto Nero, e poi a casa dei genitori di Nero una volta che aveva conosciuto Nero facendosi sfamare dalla famiglia di Nero, come l’avrebbe in realtà raccontata il padre di Nero. Entrambi se non altro avevano come qualità quella di non spendere troppi soldi e così riuscivano a mettersi qualcosa da parte, con tutto che dopo la morte di sua madre e poi quella di suo padre Caterina aveva preso eredità ben più dignitose di un bambolotto portafortuna di nome Mathias proveniente da Florianópolis, Brasile.
È un po’ strano raccontare la storia di Nero e Caterina perché dopotutto è veramente tutta qui: come passavano le giornate è così, Nero per lo più ormai dormendo, Caterina per lo più raccattando denaro con qualche lavoretto, entrambi restando in casa senza uscire guardando la televisione o stando davanti al computer, senza pensare assolutamente al futuro. Viene quasi da dire, osservando le cose messe giù sulla carta in questo modo, che una storia dove non ci sia tensione verso il futuro, dove non si tenga conto del futuro non solo non è una storia, ma non è nemmeno un frammento credibile di storia. Certo, il portafoglio del padre di Nero racconterebbe forse la storia diversamente limitandosi ad affermare che questa faccenda era stata possibile perché irrorata dal denaro che proprio da lui saltava fuori. Senza quel portafoglio lì probabilmente Nero non avrebbe potuto permettersi di dormire dodici a volte quindici ore al giorno (il padre di Nero aveva saputo da Caterina che suo figlio aveva persino cominciato a tenere un diario dove appuntava i sogni che bello e pacifico si faceva) e neppure Caterina avrebbe potuto concedersi di bere (contro la volontà di Nero) quelle bottiglie che poi allineava in cucina sotto il lavandino, a formare quel che lei chiamava “il cimitero delle bottiglie”. Senza quel portafoglio lì Nero e Caterina avrebbero avuto storie tutte diverse – ad esempio senza computer e connessione internet, tanto per dire, ad esempio senza riscaldamento d’inverno, tanto per dire.
Il padre di Nero si chiamava Vincenzo ed era stato amministratore delegato di un’azienda facente capo a un supergruppo nel settore del conglomerato bituminoso (altrimenti Nero come avrebbe fatto a trovare un impiego proprio in quel settore?) che poi a causa della crisi, poco dopo che Vincenzo andasse in pensione (cosa che lo aveva salvato da ogni disonore), era fallita e aveva chiuso. Vincenzo percepiva una pensione alta, aveva da parte dei risparmi e aveva incamerato anche grazie a sua moglie lasciti veri. Giacché, se dove c’è deserto non piove mai, invece piove sempre sul bagnato e ringraziando Dio e anche la tempra di Vincenzo, che lo aveva portato così in alto col suo solo diploma di geometra, a casa sua c’era sempre stato bagnato a sufficienza, ossia una discreta base di soldi che chiamavano altri soldi: altro che bambolotti.
Disgraziatamente Vincenzo aveva messo al mondo un figlio coglione (ed è difficile a credersi conoscendo lui e sua moglie) che come unico pregio aveva sempre avuto quello di essere piuttosto belloccio e di non essersi mai messo davvero nei guai. Tutto sommato a trentaquattro anni (ma già a venticinque, già a ventotto) avrebbe potuto farlo, eppure non toccava praticamente una goccia d’alcol e ancora meno faceva uso di sostanze stupefacenti: è che Nero era semplicemente coglione. Non aveva voglia di lavorare. Non aveva voglia di lottare. Non gli piacevano le persone che doveva frequentare. Si faceva presto odiare da tutti. Come facesse, accidenti, lo sapeva solo lui! Comunque proprio perché dopotutto non aveva mai fatto nulla di male se non essere totalmente inadeguato a stare al mondo e a vivere nella società civile, dove occorre essere forti e non delle mezze cartucce, Vincenzo lo aveva sempre aiutato economicamente anche perché se non lo avesse fatto avrebbe dovuto vedersela con sua moglie. E poi, suvvia, anche se non lo avrebbe mai confessato espressamente, in un angolo del suo orgoglio Vincenzo si sentiva contento di essere ancora, a sessantanove anni, il faro della famiglia, il pilastro incrollabile sul quale poggiavano i destini di tutti quanti, di essere ancor’oggi il migliore della casa. Per molto tempo s’era sentito schiacciare dalla presenza del padre che aveva fatto la guerra, un generale di ferro che lo aveva sempre trattato come una specie di essere inferiore. Solo che lui, a differenza del figlio che poi avrebbe generato, un coglione non lo era mai stato e nel tempo si era preso tutte le sue rivincite provando il proprio valore al padre, passato a miglior vita a ottantasette anni (e per chi abita a Tortona in provincia di Alessandria in un appartamento sia pure di duecento metri quadrati in zona centralissima questa espressione ha più senso di chi abita a Florianópolis nello Stato di Santa Catarina in Brasile e pure in una casa di mille metri quadrati). Gli aveva lasciato la casa e dei soldi messi da parte che fortunatamente sua madre non aveva sperperato in donne delle pulizie e badanti prima di morire a sua volta all’età di ottantanove anni, sei anni dopo il marito.
In tutti gli anni che Caterina e Nero erano stati insieme non avevano mai parlato di sposarsi né tantomeno di avere dei bambini per il semplice fatto che si sentivano entrambi troppo inadeguati. Certo, Caterina a volte si lasciava sfuggire di volere un bambino e aveva detto a Nero che con un bambino entrambi si sarebbero forse responsabilizzati di più, ma poi subito pensava di non essere adatta ai bambini, che anche se li guardava agli altri lei era troppo distratta e anche Nero lo era, e poi in fondo concordava con Nero che mettere al mondo una creatura, in questi tempi e con la quasi consapevolezza che dopo la morte non ci sia nulla, fosse quasi un atto di cui sentirsi colpevole. Ora che però aveva scoperto che Mathias valeva trecentomila euro Caterina si domandava se la loro vita se non da un bambino sarebbe stata invece messa a posto da un bambolotto.
Lauro e Sanchez le avevano spedito Mathias per posta aerea dentro un cartone solido e ben imballato. A pensarci col senno di poi era stato ben rischioso quello che quei due avevano fatto, considerato il valore altissimo della merce, ma d’altra parte alternative non ce n’erano, a meno di tenere Mathias a Florianópolis o trasportarlo a Rio das Antas o a Domingos Martins o come diavolo si chiamava – e poi nessuno di loro sapeva ancora quale fosse il valore reale di Mathias. Il bambolotto era arrivato dopo qualche giorno. Dopo due giorni che era stata messa nella buca delle lettere la cartolina che l’avvisava di dover andare a ritirare un pacco alle Poste, Caterina anche un po’ controvoglia era andata a prenderlo. Il bambolotto se non altro era molto bello, assomigliava a Nero. Aveva capelli castani, con la riga da una parte, occhi marroni molto grandi, era paffuto come un bambolotto e indossava una camicia, un maglione, un paio di pantaloni e le scarpine di cuoio, proprio tutto come Nero…

continua

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41 Commenti

  1. Ma perché pubblicate ‘sta roba? Tra l’altro subito sotto un articolo serio in cui si smonta un libro di Wu Ming? Per carità, legittimo, il libro non è un granché, ma dobbiamo pensare che sia meglio questa robaccia di Candida?

    • La pubblichiamo perché siamo curiosi.
      Non c’è alcuna relazione col pezzo di Silvia, avevo programmato questo di Candida oltre un mese fa.

      • Laserta, Holden, che cosa c’e’ che non va nel mio racconto? Siete scemi? A me sembra bello. E’ la storia di un voodoo fatto al contrario. Di solito si fabbrica il bamboccio e poi si colpisce la vittima, ma, mi sono chiesto, c’e’ un modo di scrivere una storia dove infilando gli aghi nella vittima e’ il bamboccio a deteriorarsi e ad andare in malora? La risposta e’ si’, se il bamboccio ha piu’ valore della vittima stessa… Quindi la vittima deve essere ancora piu’ bamboccio del bamboccio stesso.

        • No, Marco, gli insulti no, per piacere. Se a loro non piace non piace, non li convinci così.

          • Guarda che io non voglio convincerli. Mi piacerebbe solo che si firmassero con nomi reali o che mi si dicesse chi e’ questa gente che dice che un racconto come questo (e non e’ finito, se ne sono almeno accorti? che e’ solo un pezzo di racconto?) e’ pessimo o e’ robaccia. E tu non li maltratti neanche, fra un po’ gli dai anche ragione!!

      • Io ho mandato un pezzetto di un racconto di una raccolta di racconti allo scopo di pubblicizzare l’uscita di un libro e sulla base di qualche riga vengo giudicato… Io lo trovo assolutamente bestiale.

    • E lei ha il coraggio di firmarsi Holden??
      Ha il coraggio di firmarsi Holden quello di Salinger?
      Si vergogni!

  2. Io pensavo lo avessi pubblicato perche’ ti piaceva, Gianni. Ma che cos’e’ questo? Un incubo? In che razza di Paese viviamo?

  3. Bada bene, Gianni, che quando ti ho mandato il pezzo io mi aspettavo che qualcuno reagisse cosi’. Perche’ questo testo ha una prosa disallienata al resto che viene qui pubblicato. E’ proprio la dinmostrazione che dei paraocchi. Un racconto e’ un racconto, basta. Se l’ho voluto scrivere cosi’ e’ perche’ andava scritto cosi’. Ma un minomo sforzo di capire che cosa spinge un autore a scrivere in un certo modo, quello proprio non lo farete mai. Voi avete i vostri parametri e cosi’ stecchite la letteratura. Io avversero’ sempre questo modo di concepire le cose. Sempre!

  4. Cioe’, qui in pratica fate solo delle imboscate… Ma chi se ne frega dei Wu Ming? Ma perche’ paragonate me ai Wu Ming? Se i Wu Ming sono stati stroncati, io cosa c’entro? Prendete la mia “robsccia” per salvare i Wu Ming e dire “C’e’ di peggio nel pollaio”?

    Ma un po’ di senso della decenza ce l’avete o non ce l’avete?

  5. Poi l’estratto del mio nuovo libro e’ un breve estratto di un racconto. Perche’ il mio nuovo libro e’ formatop da una quindicina di racconti, ciascuno con toni e stili diversi. Ma tanto a voi non ve ne frega niente, voi vi volete divertire sulla pelle degli altri.

  6. Nazione Indiana e’ l’unico sito al mondo dove ci sono critici, intellettuali e scrittori e dove nei commenti si assistono a risse verbali, attacchi, insulti come non si trovano da nessuna altra parte. La regola qui sembra proprio quella di partire all’attacco e demolire tutto cio’ che si puo’ demolire. Ma, di questo ve ne rendete conto si’ o no?
    Ma sara’ ora di finirla, o no?
    Non sara’ ora di crescere un po’?

    Spero che questo post non venga cancellato, perche’ e’ segnato in giro per Facebbok ed e’ giusto che questo aspetto (della bestiale aggressivita’ di Nazione Indiana) venga portato all’attenzione degli altri.

  7. Mi spiace, mi spiace, ma io non riesco a capacitarmi di come sia possibile che uno possa lasciare un commento come “pessimo” coperto da anonimato e questo venga accettato in un sito. Poi tra l’altro, non so se si e’ notato, a me ha dato fastidio, ma questo non conta per toglierlo. Eh, no! Ci devi stare, perche’ qui siamo alla Corrida di Corrado. E non riesco a capacitarmi di come sia possibile che dopo una decina d’anni questo sito sia rimasto sempre lo stesso, pieno di cafoni, ignoranti, che lasciano commenti sotto anonimato impallinando e insultando e dando l’impressione solo delle imboscate. E questo dopo dieci anni. Dopo il Far West iniziale, tutti si sono evoluti e hanno capito che la rete puo’ essere utilizzata per avere rapporti sociali accettabili… Ma qui su Nazione Indiana dove ci sono intellettuali, critici e scrittori, qui no. Qui si usa ancora l’Applausometro.

    I

  8. Guardate che io queste cose le ho scritte, sono duecento pagine – sessantamila parole. Ho trovato un editore che le ha pubblicate. Mando un estratto di qualche pagina di un racconto di trenta pagine e vengo subito, pum!, pronti via, aggredito e offeso. Cos’e’? Pensate che ho pagato Biondillo per farmi pubblicare qui? O che ho pagato gli editori che mi hanno pubblicato sette libri in cinque anni? Perche’ vi sentite di esprimere il vostro parere? Chi e’ Holden, come, no, come si oermette di parlare in quel modo? Candida, robaccia… Wu ming, “dobbiamo”… In nome di chi parla? Siete dei superficiali e dei cretini.

  9. Ho contato 16 commenti di Marco Candida (alcuni persino in risposta a se stesso), che fanno seguito a due soli commenti di utenti diversi. Molti di questi commenti contengono insulti di proporzioni quasi epiche; ed è fantastico notare come Candida paia aver perso completamente il controllo di sé mentre li scriveva. Parla di risse verbali, ma ha fatto tutto lui.Boh, sarà il furor dello scrittore. Comunque mi pare, malgrado tutto, legittimo il fatto che ad alcuni lettori non piaccia tavolta quello che scrivono alcuni scrittori; del resto è anche logico che Candida difenda il suo racconto, ci mancherebbe, l’ha scritto lui.

    Rendo però merito a Candida di scrivere commenti e insulti davvero dirompenti (e notevolmente divertenti!). E a proposito, il nome Holden non l’ha inventato Salinger, c’è stata gente che si chiamava così prima, e ce n’è anche ora.

  10. Aggiuno una cosa divertente che ho trovato sempre qui su NI, scritta dallo stesso Candida in risposta ai commenti a un suo pezzo pubblicato il 27 ottobre 2008 e criticato (moooolto più pesantemente di quanto si sia fatto stavolta); Candida il sensibile all’epoca scriveva: “(Pero’, gli insulti, quelli no in tutti i casi, eh? Sono stato male tutta domenica)”.

    Si vede che poi ha cambiato idea.

  11. Senta, Holden, ma lei si rende conto che e’ coperto da anonimato? Come fa a professare tanto buon senso e pacatezza quando non si mostra? Scusi, ma lei ci entrerebbe in una banca con una calzamaglia sulla testa e chiederebbe di vedere il suo conto corrente? No, ci provi. Vada in banca mascherato e poi mi dice cosa succede. Magari qualcuno urla, un altro scappa via. E lei scommetto che direbbe: “State facendo tutto voi! Questa e’ una scenata di proporzioni epiche!”

    Questo e’ il livello della sua assennatezza.

    Io non ho insultato Nazione Indiana, ho criticato Nazione Indiana perche’ non si moderano i commenti. E le risse verbali ci sono state, sono negli archivi. Non e’ vero che ho fatto tutto io. E ho insultato genericamente tutti quella massa di cafoni che si diverte a lasciare commenti sotto anonimato o anche firmandosi nome e cognome ma scrivendo chiaramente fesserie, provocazioni e offendendo.

    Dopodiche’ se a uno non piace quello che legge, puo’ anche tenerselo per se stesso, no? Invece no, vuole farlo sapere a tutti nei… magici commenti. Che poi cosa cambia? Niente. Mortifica solo tutti. Ma di sicuro non ferma nessuno.

  12. Se la prenda con chi ha inventato i nickname, che tutti usano nei commenti ai blog (anche qui su NI). E il suo paragone mi pare inappropriato: entrare in banca mascherato viola le leggi dello Stato, criticare un brano di scrittura rientra nei diritti del lettore.

    E siccome non vorrei che Lei ripetesse che io non critico, ma insulto, ora Le spiego perché il Suo brano non mi è piaciuto: perché è ripetitivo e farraginoso nell’uso delle parole, bisogna rileggere alcuni periodi varie volte per capire che direzione stanno prendendo, a un certo punto è infilata una sorta di parentesi meta-narrativa che non si capisce cosa ci faccia lì. Inoltre Lei non dovrebbe dare degli scemi ai lettori se non capiscono la storia del voodoo fatto al contrario, poiché (come Lei stesso puntualizza) questo non è un racconto completo, e la storia del voodoo viene introdotta solo nelle ultime sei righe ed è impossibile capire dove voglia andare a parare: il lettore non può conoscere il contenuto della Sua testa come lo conosce Lei, o la continuazione di un racconto che non è ancora stato pubblicato. Così com’è, il brano da Lei pubblicato è un insieme (talvolta incongruo) di informazioni confuse su persone che fino alla fine non si capisce perché dovrebbero interessarci. Se poi il bello della storia viene dopo, amen: non avrebbe fatto meglio a pubblicare quello, allora?

    Ma forse Lei dirà che queste osservazioni sono solo paroloni, che qui non si è capita la vera letteratura che Lei scrive, e che si anatomizza il racconto invece di gustarlo. Solo che, se Lei lo dirà, io invece di rispondere (come Lei ha fatto con noi) che Lei è “scemo e cafone” (non mi permetterei mai), io leggerò il Suo punto di vista, non lo condividerò, ma lo rispetterò. Come sarebbe logico fare nel rapporto lettore-scrittore. Se poi per Lei quando a uno non piace una cosa farebbe meglio a tenerselo per sé, beh, quella si chiama libertà di critica, signore mio.

    E poi mi ringrazi, lo sa meglio di me che quando si litiga si fa audience. :)

  13. P.S. Lei scrive: “mi sono chiesto, c’e’ un modo di scrivere una storia dove infilando gli aghi nella vittima e’ il bamboccio a deteriorarsi e ad andare in malora?”.

    Certo che c’è: si chiama Dorian Gray. Ok, quello non era un bamboccio, ma ciò che Lei dice è più o meno esattamente quello che gli è successo.

  14. Tutta un’altra storia. Appena ha detto qualcosa che si discosta dall’insulto puro, ha detto una cosa che sbagliata. Era facile presupporlo, comunque.

  15. “questo non è un racconto completo, e la storia del voodoo viene introdotta solo nelle ultime sei righe ed è impossibile capire dove voglia andare a parare”

    Infatti il testo non e’ stato presentato adeguatamente, per questo non si capisce niente. Li’ la critica se la prende Nazione Indiana. Ma non e’ questo gran problema. Uno puo’ scrivere “In questo testo non si capisce niente” e allora io avrei spiegato. Non partire pronti via per usare me per fare un insulto (gia’ che ci siamo) a Silvia eccettera. E mi risparmi che siamo in Insultocrazia e lei e’ libero di insultare tutto e tutti come e quanto vuole.

    “Criticare un brano di un lettore” significa prima di tutto capire cosa sta succedendo. Si rende conto che lei pensava che questo fosse un brano intero o un pezzo di romanzo? E va bene se lei pensa che questo testo e’ farragginoso e poco originale e va bene grazie per avermi informato. Poi magari tra tre settimane lo rilegge e si ritrova a pensare che tutto sommato le sembra meno farragginoso di prima. Solo che a quel punto sono sicuro che non mi direbbe mai “Scusi, rileggendolo, l’ho persino trovato bello per come e’ farraginoso…”

    Quanti testi li leggiamo pensando qui non si capisce niente e poi rileggendoli ci raccapezziamo meglio e poi ci piacciono?

    Questo testo nella sua continuazione “non funziona” anche di piu’. Ma io l’ho proposto e mi piace e lo difendo perche’ ci vedo delle cose positive. Poi se al lettore non piace, va benissimo. Ma una cosa e’ prendere un libro e stroncarlo, una cosa e’ lasciare un commento di una riga, antipaticissimo e cretino, e poi ancora lei che mi spiega perche’ ha lasciato il commento per consolarmi perche’ mi sono arrabbiato.

  16. Poi non sta scritto da nessuna parte che io debba per forza accettare le critiche – quello che lei chiama “la logica del rapporto lettore-scrittore”. Se le ritengo insensate e ho la possibilita’ di far sentire la mia voce, posso ribatterle. Come c’e’ liberta’ di avere nickname e garantirsi un anonimato vigliacco, c’e’ anche la liberta’ di scrivere ottomilacinquecento commenti come sto facendo io e garantirsi di fare la figura del matto. Se per liberta’ intendiamo che e’
    possibile fare tutto il peggio anziche’ tutto il meglio (ad esempio utilizzare questi spazi per lasciare nei commenti una bella e articolata stroncatura dove si possono imparare tante cose – e invece “pessimo” “robaccia” “Wu Ming” “Silvia”, manco fossimo su Twitter) sara’ facile finire nel grottesco. Tanto chi ce lo impedisce? E tutto questo da una persona che poi si scopre e’ in grado di stabilire che una prosa “e’ farraginosa” e che una storia “assomiglia a Dorian Gray”. Quindi non proprio una stupida.

    Io… Non me ne capacito, veramente.

  17. Buongiorno, non ho mai insultato (né tantomeno nominato) Silvia, di cui peraltro ho letto solo quell’articolo su Wu Ming, ritenendolo molto ben argomentato. Rilegga il mio primo commento e vedrà che non c’è alcun cenno negativo al contributo di Silvia (che chiamo per nome solo per capirci, visto che così fa Lei, ma che personalmente non conosco).

    In secondo luogo non pensavo affatto (né l’ho mai scritto, come potrà facilmente constatare rileggendo i miei commenti) che il Suo fosse un racconto completo; mi stupisce anzi che Lei me lo faccia dire, se ha letto bene ciò che ho scritto. Si capisce immediatamente che non è completo, anche il racconto più brutto del mondo in genere tende a finire da qualche parte, e questo (così come presentato) non finisce proprio da nessuna.

    Terzo, il mio paragone con Dorian Gray non è sbagliato: è solo che a Lei non piace. Ma in entrambi i casi, il protagonista ha un surrogato che (sia pure per ragioni diametralmente opposte) si deteriora al posto suo, stando a quanto Lei accenna sul seguito del testo. Tutto lì.

    Quarto, ma certo che Lei è liberissimo di non accettare le critiche e di ribattere. Accettare e rispettare, come Lei sa, sono cose diverse: io ho sempre usato solo il secondo termine. (Fa del resto un po’ ridere che uno scrittore se la prenda con i lettori accusandoli di non capire quanto sia bello quello che lui scrive, non trova? Credevo che il giudizio fosse il compito di chi legge, non di chi scrive)

    Infine, ribadendo che non ho mai insultato Silvia (basta leggere), siccome Lei parla di Insultocrazia, Le farò il favore di trascriverLe qui sotto le parole che Lei ha indirizzato a noi: se vorrà comparare i toni da Lei usati con quelli usati da noi, mi piacerebbe che, a paragone concluso, provasse ad avere il coraggio di ripeterci che siamo in Insultocrazia e noi (noi) non abbiamo fatto altro che insultarLa. Secondo me non lo trova.

    – scemo
    – cafone
    – scemi
    – bestiale
    – si vergogni
    – un incubo
    – vergogna
    – superficiali
    – cretini
    – cafoni
    – antipaticissimo
    – cretino

    Vero, siamo in Insultocrazia e Lei è il nostro re.

    • Sono, pero’, insulti generici… Oppure a persone che non si sa chi siano… Una qualche differenza c’e’. Poi forse avrei potuto scrivere “il suo commento e’ cafone, etc.” ma se uno lascia un commento cafone e’ un cafone – almeno in quella circostanza. Mai l’avrei detto a una persona riconoscibile, ovvio.

      Ma queste sono straovvieta’ e questi appunti che lei mi fa Holden a me (a me, ripeto) sembrano solo cattiverie.

  18. Marco, stai dando uno spettacolo deprimente di te stesso, contieniti. Conosci NI dalla sua fondazione, sai come ci si comporta nei commenti, sai che l’anonimato non è mai stato un problema, tranne quando l’insulto (dell’anonimo o “in chiaro”) passa dal testo alla persona.
    Ma se su 30 commenti circa il 90% sono tuoi è evidente che dimentichi un’altra delle regole non scritte di NI (e non solo): questo è l’atteggiamento di un troll, nel migliore dei casi. Del peggiore di una persona che ha, diciamo, problemi di comunicazione. Nel primo caso basta bannarlo, nel secondo consigliargli, nel mondo là fuori, persone che potrebbero aiutarlo.
    Sei in pieno delirio dietrologico, contieniti, è un consiglio d’amico.

    • Gianni, dirmi che “sto dando uno spettacolo deprimente di me stesso” e’ un’altra offesa. Ma tanto… Siamo su Nazione Indiana.

  19. Gianni, ma naturale che accetto il consiglio e ti ringrazio e mi scuso. Volevo solo fare qualcosa di diverso dal solito. Cosi’, ci ricordiamo. Qualcosa di buono nei miei interventi c’e’. Basta ‘capire’ che cosa ho cercato di fare qui e poi ci sono anche messaggi espliciti. Ma ti ringrazio e mi scuso ancora.

    Holden, attenzione!, mi pare d’aver detto non che il suo paragone e’ sbagliato, ma che e’ tutta un’altra storia. E’ un’altra storia, da Dorian Gray ed e’ un’altra storia dalle altre. Lo stereotipo del voodoo viene impiegato per dire qualcosa sulla condizione dei bamboccioni e viene riscritto in modo abbastanza originale attraverso un ribalmento (sempre che non mi sbagli e in una qualche puntata ai Confini della Realta’o simili) un uomo viene impiegato per distruggere un bamboccio e non viceversa. Una volta ho mandato un racconto a Follelfo (racconto incluso in questa raccolta) e loro me lo hanno rifiutato intanto perche’ dicevano che la prosa fosse involuta e poi che non fosse originale, perche’ parla di un patto col diavolo. Ma io ho ribattuto, piu’ o meno come faccio con lei, che quello e’ solo uno stereotipo e che un stereotipo serve per costrurci una storia sopra. Ma loro non ne hanno voluto sapere (e io li ho mandati al diavolo… ma solo per il doppio senso!).
    Ora il problema e’ che io queste cose non so a chi le sto dicendo. Lei e’ un semplice lettore oppure e’ un esperto, uno scrittore, un editore, questo e’ un problema vero dell’anonimato. E’ reale.

    Mi scuso ovviamente, Nazione Indiana e’ un sito molto importante ed e’ bello che ci sia e grazie della tolleranza.

  20. Gianni, dopo l’ultimo commento di Candida (ore 4:50) mi auguro che finalmente tu possa staccare la spina a questo delirio, a questro offensivo stolto e ripugnante monologo che si trascina da troppo tempo.

      • Se una persona e’ “fuori di testa” o “scrive dei testi disgustosi”, questo non significa che glielo dobbiamo dire offendendolo. Ma qui, in terra d’intellettuali, la cosa ormai sembra automatica. A voi sembra un fatto naturale. A me no. E’ un atteggiamento cafone e basta. Altra cosa e’ una stroncatura – ovviamente. O un intervento ragionato. Forse per farvelo capire, per farvi considerare la cosa, ho pensato che venticinque commenti di seguito sarebbero serviti. E poi nei miei commenti c’e’ molto contenuto. Non sono un semplice delirio.

  21. questo autore sembra la sara tommasi dell’editoria. un consiglio: chieda scusa per le sue parole campate in aria. saluti.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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