Il giorno del miracolo

di Manuela De Quarto

-Immagina cosa potrebbe succedere se per un giorno, uno solo, nessuno sulla Terra morisse. Proprio nessuno.
-In che senso?
-Un giorno in cui ciascuno di noi ha la possibilità di vivere ancora. Anche i condannati a morte, anche i malati terminali, tutti insomma. Se per un giorno intero nessuno morisse.
-Forse potrebbe succedere il caos, la fine del mondo.
-Forse…

Il treno fischiava mentre la stazione di Torino salutava un nuovo giorno. Anna era sul treno, ancora sulla porta del vagone numero 8. Lorenzo era giù, il suo volto verso l’alto a guardarla, come si guardano le persone che hai paura di non rivedere mai più. Lei gli accarezzava il viso e lui le teneva stretto un fianco con la mano destra. Anna sapeva che non sarebbe stato facile spiegare a Lorenzo che il loro non era un addio. Così non provò neanche a farlo.
Il capostazione fischiò di nuovo guardando Anna.
– Vado, Lorenzo…
– Anna.
– Mi raccomando, stai vicino alla mamma, ora che non ci sono io. D’accordo?
Lorenzo annuì, staccando la mano grande e forte dall’esile fianco di Anna. Indietreggiò di qualche passo e iniziò a guardarsi intorno. C’era una donna alla sua sinistra. Una donna robusta con lunghi capelli grigi che le scivolavano sulla schiena. Mentre Anna scompariva all’interno del vagone, Lorenzo allungò un braccio verso la donna. Lei era intenta a scrutare uno dei finestrini opachi. C’era un uomo lì, con un berretto di lana, che le diceva chissà quali parole con il labiale. Lei sorrideva, aveva gli occhi lucidi e sorrideva.
Lorenzo continuava a guardare il treno, ma non riusciva a trovare il finestrino da cui sperava di vedere Anna.
La mano di Lorenzo arrivò a un centimetro dai capelli della donna e con le dita prese a sfiorarle una ciocca. Sentire quei capelli soffici sotto le mani gli ricordava di quando Anna e lui erano stati a quello spettacolo circense. Dove un clown si innamorava di una trapezista, che però non riusciva a raggiungere mai. Così si limitava a sfiorarle i capelli non appena il suo agile corpo, sospeso al contrario, si avvicinava a terra. Un secondo e poi tornava su veloce. Il treno partì a fatica, la donna fece un respiro profondo, Lorenzo si bloccò. Poi la donna iniziò a salutare l’uomo con la mano, e lui ricambiò mandandole un bacio. Lorenzo allora ricominciò a sfiorarle i capelli. Ricordava che Anna aveva gli occhi lucidi alla fine dello spettacolo, ma lui non aveva capito mai il perché. Ora, però, anche i suoi occhi erano lucidi. A quella signora davanti al treno forse sembrava fosse il vento che l’accarezzava e a Lorenzo piacque quel pensiero. Di Anna, su quel lato del treno, non c’era traccia. Il treno si allontanò e la donna, girandosi veloce, guardò Lorenzo. Lui con uno scatto aveva fatto finta di allungare le braccia per stirarle un po’. La donna lo guardò seria un secondo e poi con un sorriso lo riprese,
– Non si fa giovanotto, non si fa.

Durante la settimana, Lorenzo stava la maggior parte del tempo seduto in poltrona ad aspettare che Anna tornasse a casa. La madre cercava di farlo uscire, ma Lorenzo non le rispondeva nemmeno, non si muoveva. Neanche quando lei andava da lui decisa e si attaccava disperata al suo braccio. Tirava, tirava con tutta la sua forza, ma lui non batteva ciglio, non si spostava, non le parlava. Aveva la bocca cucita e ogni espressione del volto era vuota. Mangiava solo quando capiva di non poterne proprio fare a meno. Quando, però, Anna ricompariva dalle lezioni, dai suoi viaggi e dalle tournée, Lorenzo tornava quello di prima.
Un giorno di quelli, mentre sua madre stirava alle sue spalle, la televisione mandò in onda delle immagini che nessuno aveva mai visto. Lei posò il ferro sull’asse, non curandosi del vestito a fiori che sarebbe bruciato, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, Lorenzo invece iniziò a ridere. Rideva senza potersi fermare, rideva di gusto. Capì prima degli altri che c’è un punto in cui tutto diventa ridicolo. Rideva come si trattasse di un film di ‘Stanlio e Ollio’, uno di quelli che gli facevano vedere sua madre o Anna, prima di andare a dormire. Così, mentre la madre di Lorenzo si portava una mano alla bocca e piangeva come poche volte aveva fatto nella sua vita, gridando per essere ascoltata anche da chi non era in quella stanza, lui rideva sulla poltrona piegandosi sugli addominali contratti. Non si sarebbe capito, entrando in quell’istante a casa loro, chi stesse piangendo e chi invece rideva.

– Hai mai ascoltato il rumore del vento, Lorenzo?
– No.
– Ci proviamo ora, okay?
– Anche tu?
– Sì, ora ti spiego come devi fare.
Anna portò le mani all’orecchio destro e inclinò un po’ il capo. Chiuse le mani come fossero un cerchio intorno all’orecchio. Poi guardò Lorenzo e, sorridendo, gli disse di fare lo stesso.
Lorenzo la imitò e a un tratto lo sentì: il vento iniziò a parlargli.
– Che ti dice a te?
– Prima tu.
– A me dice che non devi partire, che devi stare con la mamma e con Lorenzo.
Lei sorrise, si piegò in avanti e si portò le mani al petto. Aveva le gambe incrociate. In quella zona del parco la luce era così strana che faceva diventare tutto color porpora, anche Anna e Lorenzo erano color porpora. Lorenzo le prese una mano, lei divenne seria e lo guardò mentre lui portava quella mano sulle sua labbra. Iniziò a parlare senza emettere suono; Anna schiuse le labbra e si guardò intorno, come se la terrorizzasse il pensiero che qualcun altro potesse prender parte a quel momento della loro vita.
Lorenzo era un enigma, lo era sempre stato per tutti. I medici dicevano che sarebbe rimasto per sempre un ragazzo di tredici anni, ma alle volte per Anna era più grande. Solo a volte, quando nessuno lo vedeva tranne lei, Lorenzo diventava l’uomo di trent’anni che era. E solo Anna conosceva quell’uomo. Solo Anna sapeva che, in quei brevi istanti, poteva permettersi di essere se stessa con lui.
– Ti ha detto questo?
Lorenzo annuì e Anna veloce gli afferrò il mento con una mano e lo guardò con gli occhi sbarrati e arrabbiati, gli occhi di chi sta sfidando il suo avversario in duello.
– Perché lo fai?
– Che cosa?
Anna non continuò. Si alzò sulle ginocchia, lasciando cadere il proprio corpo su quello di Lorenzo. Poi lo baciò sulle labbra. Lo baciava come si bacia chi ami, o almeno Lorenzo la pensava così. Muoveva la lingua dentro la bocca di Lorenzo come per cercare quella verità che era convinta lui nascondesse a tutti da sempre. Lui teneva gli occhi aperti e d’istinto le afferrò i fianchi. Li stringeva così forte che Anna non riconosceva in quella stretta un ragazzino di tredici anni. E poi la spinse con forza contro di lui. Solo in quel momento, solo nel momento in cui Anna sentì che Lorenzo sarebbe stato capace di amarla proprio come un uomo, aprì gli occhi e si staccò da lui. Ci mise un po’, perché Lorenzo non voleva lasciarla, lo picchiò sulle mani e sulla faccia, finché lui non lasciò la presa.
La luna aveva compiuto mezzo giro e l’aria era fresca. Camminavano fianco a fianco e lui reggeva la bici di lei. La bici li divideva a metà.
– Non devi raccontare niente alla mamma.
– Cosa?
– Di oggi, non devi raccontarle niente!
– Che cosa è successo oggi?
I vuoti di memoria non facevano parte del suo ritardo mentale, erano parte di quel lato della mente di Lorenzo che nessuno conosceva veramente. Di quel buon senso che sua madre pensava che Lorenzo non avesse con sé, sua madre come tutti in fondo. Eppure quell’uomo bambino aveva capito che il silenzio è l’unica arma per non far cambiare le cose. Arrivati a casa, la madre gli fece fare la doccia, aspettandolo come sempre seduta sul gabinetto, con l’asciugamano aperto sulle gambe molli.
– Lorenzo, non giocare col bagnoschiuma. Forza sciacquati!
Era quello che gli ripeteva ogni sera e Lorenzo sembrava aspettare quella frase per sciacquarsi. A volte non aveva voglia di giocare con le bottiglie dei bagnoschiuma, ma lo faceva lo stesso, così sua madre avrebbe potuto dire quella frase.
Non ami veramente finché non ci stai dentro, pensava Anna, mentre il suo insegnante le mostrava la nuova coreografia. Lo pensava mentre con lui ripassava quel movimento che non le veniva bene. Lo pensava mentre, con un gesto che lei non poteva prevedere, lui l’afferrava e la spingeva contro lo specchio. Lo pensava mentre lui le levava la tuta di dosso e mentre le entrava dentro con la prepotenza di chi sa di essere desiderato.

La danza era tutto per Anna, ma sapeva anche che lei era tutto per Lorenzo. Quel giorno, rientrando, non poté guardarlo negli occhi. Era seduto sulla poltrona davanti al televisore e dietro sua madre stirava il vestito a fiori, il più bello che avesse. L’indomani avrebbero accompagnato Anna alla stazione, per spedirla verso la capitale. Verso il futuro, diceva lei.
Anna andò a fare una doccia e, scivolando sotto l’acqua calda, ebbe quasi un momento di sollievo. Durò troppo poco per poter trarne piacere. Subito le risate di Lorenzo la fecero tornare in quel box doccia coi vetri appannati. Si concentrò meglio per sentire le voci che arrivavano dal salotto.
– La terza guerra mondiale, mio Dio! Questa è la terza guerra mondiale.
Anna uscì veloce dalla doccia. I segni di quell’uomo sul suo collo erano evidenti, color porpora. Non se ne curò. Prese un asciugamano e lo avvolse, agganciandolo sul bordo.
Bagnata e preoccupata, camminava scalza per il corridoio. Con una mano reggeva l’asciugamano sul petto, mentre i capelli zuppi lasciavano cadere sulla moquette gocce di una rotondità perfetta. Arrivata davanti alla porta del salotto, si affacciò solamente, senza entrare del tutto. Vide Lorenzo ridere piegato sulle ginocchia per terra. Rideva e piangeva per lo sforzo, come non gli aveva mai visto fare. E sua madre stava lì accovacciata sul divano a guardare la televisione, tenendo stretto un cuscino come fosse un figlio appena nato.
Anna capì che doveva essere successo qualcosa di più grande di Lorenzo e quindi di tutto. Per la prima volta dopo trent’anni, sua madre non badava al figlio ritardato. Anna aveva il cuore che le esplodeva nel petto. Si avvicinò piano al divano, a pochi centimetri da Lorenzo e ancora più avanti. Le arrivavano chiare e concitate le voci della televisione.
“Quello che sta succedendo non può essere raccontato dalle parole. Per la prima volta, in vent’anni di carriera, io non so cosa dire…”
Quella notte nessuno riuscì a prendere sonno. La madre di Lorenzo stava seduta in salotto a guardare la televisione: gli ultimi aggiornamenti dagli Stati Uniti. Non avrebbe più accompagnato sua figlia alla stazione, convinta com’era che quello che succedeva nel mondo fosse un buon motivo per distogliere Anna dall’andare via. Anna era seduta sul letto, davanti a sé aveva due enormi valigie marroni e anche lei pensava che forse quello non era un buon momento per partire. Lorenzo stava seduto sul davanzale della finestra di camera sua, come faceva sempre, guardava la luna e pensava che quella era una buona serata per guardarla ancora più intensamente.
– Lorenzo..
– Ciao.
– Hai capito cos’è successo oggi?
Lorenzo non si girò a guardarla, continuò a dondolare nel vuoto i piedi nudi e a guardare il cielo.
– Sì, certo!
– Cos’è successo?
– Sono morte un sacco di persone.
– Hai capito perché?
Lorenzo smise di dondolare i piedi e si girò per tre quarti verso la stanza, in modo da poterla vedere. Lei era avvolta quasi del tutto dall’ombra della camera.
– Perché, tu l’hai capito?
Anna fece una smorfia e abbassò lo sguardo.
– Tu non sei un bambino. E devi essere ancora più grande ora che io me ne vado. Questo è un periodo strano.
– Io non lo scordo quello che abbiamo fatto.
– Cosa abbiamo fatto, Lorenzo?
Sorrise. Allora Lorenzo con uno scatto saltò in camera e la raggiunse nell’ombra, afferrandole un braccio.
– Abbiamo fatto quello che fanno le persone quando si vogliono troppo bene, è vero?
Anna aveva la bocca aperta.
– Lorenzo, lasciami andare, ti prego!
Poi iniziò a piangere. Non aveva paura di Lorenzo, ma aveva paura che Lorenzo capisse che non era stato un gioco, che quelle notti passate nel letto di sua sorella non erano state solo coccole. Aveva paura che quel mostro che aveva nascosto bene sotto le coperte dell’infanzia riemergesse per divorare tutti.
– Sì… sì, è vero.
Lorenzo l’abbracciò così stretta che a lei mancò per un attimo il respiro. Quel corpo, che così tante volte l’aveva abbracciata allo stesso modo, ora la spaventava.
– Immagina cosa potrebbe succedere se un giorno, uno solo, nessuno sulla Terra morisse. Proprio nessuno.
– In che senso?

All’alba la luce salì radente, accarezzando ogni cosa. Anna aprì gli occhi, seduta per terra, la testa appoggiata al letto di Lorenzo. La luce entrava dalla finestra aperta e un leggero vento rinfrescava la stanza bianca. Anna stava lì, vicino a Lorenzo che rimaneva disteso in mezzo a quella luce, nudo. Anna non era più niente o almeno a lei sembrò di non essere più niente. Alzò lo sguardo verso Lorenzo. Ora le sembrava un vecchio; si accorse di quei capelli bianchi e anche della barba incolta.
La tournée l’avrebbe allontanata per sempre da lui e questo la sollevava e insieme la uccideva.
– Anna…
– Lorenzo, ciao.
– Stavo pensando una cosa.
Lo disse mentre Anna si stendeva vicino a lui, pronta ad amarlo ancora, una droga da cui non poteva disintossicarsi.
– Immagina questo: se ieri, anziché morire tutta quella gente, ci fosse stata una seconda occasione per tutti. Se tutto il mondo l’avesse avuta. Se nessuno ieri fosse morto.
– Me l’hai già detto. Sarebbe stato bellissimo.
Anna salì sopra il corpo di Lorenzo. Era solido come la pietra e quelle mani che le presero i fianchi la fecero sentire vittima e carnefice.
– Come l’avresti chiamato quel giorno, Anna… come?
La sua voce divenne sottile e il suo respiro accelerò. Anna strinse forte il volto di Lorenzo tra le mani. Si allungò leggera sopra di lui e con le labbra gli si avvicinò all’orecchio.
– Io lo chiamerei… il giorno del miracolo.
Lorenzo sorrise guardando il soffitto, iniziò a sfiorarle la punta dei capelli, immaginando di essere un clown innamorato della sua acrobata.
Non era un ragazzino di tredici anni, quello che vedeva Anna, era un uomo. Non era suo fratello, era Lorenzo.

– Le cose accadono.
– Perché, Anna?
– E che ne so, accadono e basta. Perché ridevi in quel modo poco fa? La mamma si è preoccupata per la tua reazione.
– Io, io ridevo perché la mamma piangeva, ma non stava piangendo per me.
Anna lo guardò stupita, schiuse le labbra e si fece vincere da quella stretta.
– Non devi raccontare nulla alla mamma.
– Raccontare cosa?

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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