Il Primus Pilus della guerra eterna
di Mauro Baldrati
Nell’esercito dell’antica Roma il Primus Pilus – o Primipili – era il centurione Prior, il comandante della prima linea e capo di tutti i centurioni. Era un ufficiale molto rispettato, aveva accesso alle riunioni strategiche coi legati, i tribuni, e la sua parola era tenuta in alta considerazione. Salvo qualche eccezione la sua nomina non era calata dall’alto, o dovuta all’appartenenza alla classe equestre, come regolarmente avveniva nella corrotta Roma, ma conquistata sul campo di battaglia. Il Primus Pilus combatteva coi suoi uomini, e se sopravviveva diventava una sorta di super guerriero che nessuno osava contraddire.
In Italia abbiamo un Primus Pilus della letteratura definita di genere, un autore di prima linea che porta avanti il suo libro da anni: Alan D. Altieri. Lo fa coi romanzi, coi racconti, e proprio come gli antichi guerrieri il suo mondo è la guerra. Non c’è altro mondo possibile, e non per scelta sua, ma perché la guerra accompagna la specie umana [nei suoi testi sempre fatta precedere da “in”, (in)umana)], fin dalla nascita. “Kogan non riusciva a ricordare nient’altro. Solo la guerra. Forse non c’era mai stato nient’altro. Da nessun’altra parte, in nessun altro tempo, in nessun altro spazio. Impossibile rallentarla. Impossibile fermarla. La guerra è eterna”. Così scrive nel racconto che apre la sua ultima raccolta, Warriors (TEA 2012).
La guerra eterna.
Su questo argomento – la guerra dei trent’anni, un conflitto globale che tra massacri, carestie dovute ai massacri e alle continue razzie, pestilenze dovute alle carestie, ha quasi estinto l’intera popolazione europea – Altieri ci ha scritto una monumentale trilogia, Magdeburg. E la lunga serie dello “sniper”, il cecchino Russel Kane, si sviluppa negli interminabili, interscambiabili scenari di guerre planetarie, piccole, grandi guerre clandestine, condotte da eserciti regolari o da agenzie specializzate nei lavori sporchi. Perché la guerra eterna non è solo causata da carri armati o da batterie di artiglieria: è anche (soprattutto?) la speculazione selvaggia, il malaffare che desertifica intere città, riducendole a lugubri zigurrat della devastazione e del fallimento.
Questo è il centro focale dell’ultimo racconto che conclude la raccolta, Los(t) Angel(e)s, in realtà un romanzo breve ambientato in una Los Angeles post apocalittica, quasi fantascientifica, città oscura dove palpita ogni violenza, ogni speculazione. Trafficanti di droga, killer professionisti, saccheggiatori edilizi pianificano la distruzione, acquistano titoli tossici emessi nel “paese dei papponi”, che manderanno in rovina migliaia di famiglie ma frutteranno una montagna di soldi facili (il caso Parmalat?). Intanto due donne “toste”, due guerriere fredde e determinate compongono il mostruoso mosaico del male assoluto, in corsa verso un finale che lascia senza parole.
Proprio le donne guerriere sono le protagoniste di tutti i racconti di Warriors. Donne forti, nate e cresciute nella guerra, in ogni epoca e latitudine. Donne spietate, perché vivono in un mondo terminale dove pietà l’è morta. Kogan è una sniper nel primo racconto, Contatto con il nemico: un testo breve, essenziale: una guerra senza tempo, in un futuro lontano, oppure in un presente terribilmente attuale, forse su un altro pianeta. C’è un ponte, relitti ovunque, e l’onnipresente vento nero che soffia in tutti i testi di Altieri. Al di là del ponte c’è la “zona neutra”, un territorio mitico dove forse la guerra si placa, si interrompe. L’uomo vuole raggiungerlo a tutti i costi. La donna “sa” che è un suicidio. Sa che la zona neutra non esiste. “Uomo. Contro la donna./La prima e l’ultima di tutte le guerre./Donna. Contro l’uomo.” Contatto con il nemico è un racconto che per la sua essenzialità, il suo ritmo, la sua lingua purificata e nera, può essere considerato il manifesto letterario del suo autore.
La guerra senza tempo, la guerra eterna ingloba ogni epoca, ogni conflitto. L’unico fascista buono è ambientato durante la Resistenza, un fuoco freddo antifascista che combatte tutti i revisionismi, tutte le ipocrisie. La partigiana Lidia, eroina mimetizzata nella tana delle jene fasciste e naziste, combatte la sua battaglia rischiando la propria vita, armata di una micidiale Luger Artiglieria .9 Parabellum, con la quale fa esplodere le teste degli stragisti nazi/fascisti.
Nel terzo racconto, T/Mek, la guerra eterna è combattuta sul ponte sullo Stretto di Messina, puro sterminio tra mafie: i siciliani contro i calabresi per spartirsi i miliardi del paese dei papponi. Su quel tunnel sospeso sul mare, mai terminato, un mostro meccanico, un’arma segreta del Glorioso Esercito Amerikano, scatena un inferno tra vacanzieri armati di macchine fotografiche. Il demone è guidato da un ufficiale pazzo e drogato, che la sergente Ash tenta disperatamente di fermare. Ricorda certi racconti horror di Lovecraft (autore culto di Altieri), creature dell’incubo che strisciano in mondi spettrali.
Le donne di guerra di Warriors sono nate nella morte e seminano morte. Uccidono i nemici, danno il colpo di grazia con l’ultima pallottola nella nuca, o in un occhio: “Gli sparai alla testa, punto d’impatto lobo frontale destro. Il bossolo del 223 tintinnò chissà dove nella cenere”, racconta in Bloodstar Tanner, agente SWAT che cerca di scortare uno scienziato verso un radiotelescopio per svelare il segreto di una cometa che minaccia la terra, mentre ciò che resta di un’umanità impazzita, guidata da un predicatore mostro, li insegue per bruciarli sul rogo.
Le warriors sono dure, estreme, sopravvissute loro malgrado in un mondo tracollato nella catastrofe generata dalla follia e dall’avidità. Eppure non sono morte dentro. Altieri come lettore e come editor ama i testi politicamente scorretti, dove il male è davvero il male e i cattivi fanno il loro mestiere fino in fondo, senza l’obbligo del lieto fine. Ma come scrittore non rinuncia all’etica. I suoi eroi di guerra – le eroine di Warriors – conservano un residuo puro e indistruttibile di umanità e di generosità. Il loro sguardo è sempre rivolto verso ciò che resta della vita e, forse, dell’amore. Generano storie avventurose, epiche, dove sembrano rivivere gli antichi eroi, i Primus Pilus caduti in prima linea per difendere il loro concetto di giustizia e di libertà, calpestati da tetri personaggi scoppiati, col rolex al polso e il cervello bruciato dalla metamfetamina. Storie che l’appassionato di fumetti sogna di vedere rappresentate in un bianco e nero ad alta definizione e a contrasto pieno, proprio come la scrittura di Altieri. E mentre legge questi racconti il fumettaro invasato immagina di aprire una delle cosiddette graphic novel, copertina rigida in hard cover, foriera di promesse di avventure e meraviglie, per scoprire, strabuzzando gli occhi: “Soggetto e sceneggiatura di Alan Altieri, disegni di Magnus”.
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Grazie della rassegna. Mi pare curioso che abbia scelto come protagoniste di storie di guerre le donne, quando tradizionalmente sono stati gli uomini, a farla.
La citazione di Magdeburg mi ha fatto ricordare un bel documentario della BBC (l’ho visto per la traduzione della tv catalana…) sulla distruzione della città. Assurdo come le guerre ci sono sempre state; ricordo pure una frase del film “La tigre e la neve”, di Benigni: “Lo sai perché si facciano le guerre? Perché il mondo è cominciato senza l’uomo e senza l’uomo finirà”.