una poesia di Rosaria Lo Russo
per i terremotati dell’Emilia
Le cose di casa sono trappole di dolore.
Se ci resta impigliata una mano subito
si gonfia una porzione di cuore e una
finestra si spalanca su una mattina afosa
che galleggia gialla di ricordi. La mano
sudata sostiene una presina fatta all’unci-
netto, mentre si sfilano contorcendosi come
un lombrico al sole i suoi colori accozzati
malamente, avanzi di filo certo, ma anche
segnali di serate malinconiche in cui muo-
vere due dita accavallate come per scrivere
fu per una donna vecchia l’unico modo inte-
nerito di sfidare il ritmo mortale del mondo.
E gli asciughini si comportano, con le loro ma-
cchie indelebili, da sipari bucati aperti sul
tetro teatro dei sensi di colpa. Non buttare,
accarezza, piegando e riponendo con cura
queste cose di casa che sopravvivono alle
donne morte. Loro, non sapendo ancora
se se ne possono andare e, eventualmente,
dove, sono la polvere composta dalla cenere
delle tue sigarette mentre fai le faccende,
sono diventate la polvere che si annida
negli angoli dove l’aspirapolvere non arriva
e coabitano volentieri, pur di abitare ancora,
con esoscheletri croccanti e trasparenti d’insetti.
Sono le nostre parche domestiche, le nostre
Aracni arcane, il nostro vero sistema d’allarme:
cacciarle non vale. Proteggono, proteggile, du-
reranno comunque ancora poco. Lávale, ogni
tanto, profumale di spigo. Non fanno rumore, ti
aiutano a dormire, ti fanno compagnia di giorno
e di notte, quando la casa vuota sarebbe solo silenzio,
queste tue eredità sovrabbondanti e persecutorie, salvale
dalle rovine, occupano poco spazio quegli spazi
inermi di vite che sorridono da foto in bianco e
nero ingiallite. Ma le foto rovesciale in un casse-
tto e ripensale giovani, colorate, operose e vive.
*
[Foto: Irpinia, 2008]
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grazie!
è un periodo molto elegiaco da queste parti
prende
che bella entrata, così, senza timori nel buio della costernazione di fronte alla natura che, finalmente, riconosciamo inesorabilmente matrigna e patrigna fino alle microbiche cose di casa: sapendo che il conte giacomo ha sempre ragione e da lì, rassegnamoci lietamente, ricomincia la letteratura
quella tenda stava pure a casa di mia nonna.
b!
Nunzio Festa
“Wherever I Lay My Hat (That’s My Home)”
4° grado della scala Richter
Voglio bene alle cazzate
di questa fertile miseria,
sono solidale con loro,
questa è la vita,
la vita fatta a pezzi
e vivere con i pezzi
coattiva pazzia
.. e la parete
di solito pigramente rigida
ha rivelato
un attimo di elastica vitalità,
che non ho affatto gradito,
un attimo beffardo e aggressivo,
un atto di guerra,
senza macerie,
senza argomenti.
Bisogna conoscerle quelle trappole di dolore, perché, come le fotografie, così assurde nella loro bidimensionalità, tornino più vive dei vivi, più vitali. E Rosaria le conosce a tal punto da poterle guardare senza alcun compiacimento, attraverso la poesia. Un abbraccio a Rosy e Renata (buon lavoro su NI!).
La poesia è molto bella. Gli affetti ci fanno vedere cose: le individuano e al tempo stesso ne attivano echi ampi. Rosaria mi sembra viaggiare verso la compiutezza di sé. Grazie e complimenti. Aspetto il suo nuovo libro.
Grazie a tutti. E a Paolo Febbraro, e con lui a chi fosse interessato, confermo che il mio prossimo libro, Crolli, uscirá per la casa editrice Le Lettere di Firenze in ottobre.
Un saluto a tutti!
[…] https://www.nazioneindiana.com/2012/07/05/una-poesia-rosaria-lo-russo/ […]
a natale, le presine diventano splendenti
sono come stelline intreccianti
storie di donne
ciliegie, cipolle, pianti, spazzature, timore, pudore, dolore.
brava.