La sfida infinita: l’opera di Nobuyuki Fukumoto
di Gualtiero Bertoldi
Introduzione
L’autore di manga Nobuyuki Fukumoto nasce nella prefettura di Kanagawa (Giappone centrale) nel 1958 e vede pubblicare alcune sue opere già all’inizio degli anni ‘80. I primi manga di Fukumoto sono a tema sportivo e sentimentale, ma non ottengono un particolare riscontro né di pubblico né di critica, tanto che nel 1988 l’autore si trova costretto, in parte per caso e in parte per necessità, a creare una storia basata sul mahjong per la rivista Kindai Mahjong, un bisettimanale dedicato al gioco d’azzardo e in particolar modo al gioco del mahjong. Questo periodico è una delle tante riviste tematiche a fumetti pubblicate in Giappone: attivo fin dai primi anni ’70, Kindai Mahjong tratta esclusivamente manga dedicati al gioco d’azzardo, un genere che coniuga la tradizione dei manga sportivi e la nuova ventata estetico-artistica portata dal movimento Gekiga negli anni ‘60. Pur non trattandosi di una rivista dai grandissimi numeri, Kindai Mahjong conta comunque su dei discreti volumi di vendita (la tiratura di un singolo numero è mediamente sulle 180.000 – 200.000 copie) e una storia editoriale di una certa importanza, tanto da configurarsi come un passaggio fondamentale per la carriera di Fukumoto, il quale accetta l’apparente limitazione di una storia di genere così definito e ristretto pur di essere pubblicato dalla rivista in questione.
Dopo una prima serie di prova conclusa in pochi episodi, il mangaka crea Ten, opera grazie alla quale riesce a crearsi uno zoccolo duro di lettori che si espande in maniera lenta ma continua. A questa prima serie si affianca Akagi, un vero e proprio spin-off di Ten, che illustra le origini di uno dei personaggi apparsi nel sopracitato manga. Dopo qualche anno e alcune serie brevi (Fukumoto è solito lavorare in parallelo su più opere contemporaneamente) nel 1996 è il turno di Kaiji, serie che abbandona il genere relativamente angusto del mahjong per allargarsi più in generale alle scommesse clandestine e ad altri giochi d’azzardo. La serie viene pubblicata sulla rivista Young Magazine, edita dal colosso editoriale Kodansha. È la svolta: i manga di Fukumoto sono mano a mano apprezzati da sempre più lettori, l’autore si dedica a diverse altre opere, in alcuni casi anche solo nelle vesti di sceneggiatore, e dal 2005 in poi Kaiji e Akagi vengono trasposti anche in forma di serie a cartoni animati per la televisione (passaggio questo, dal manga all’anime, che rappresenta una sorta di vero e proprio coronamento editoriale nelle logiche produttivo-commerciali del mercato giapponese).
Negli ultimi tre anni Kaiji, che nel frattempo ha raggiunto il 42esimo tankobon pubblicato, ha goduto di un successo ancor maggior grazie a due versioni cinematografiche live action, e Fukumoto ha iniziato a pubblicare sulla storica rivista ammiraglia della Kodansha Weekly Shonen il manga ZERO, serie dedicata a lettori “shonen” (letteralmente “ragazzo”), ovvero di una fascia d’età leggermente più giovane rispetto ai precedenti lavori che invece erano indirizzati a lettori di una fascia d’età attorno ai 20 – 30 anni (e che con termine tecnico viene definita “seinen”, letteralmente “maggiorenne”).
A tutt’oggi le opere di Fukumoto sono ancora inedite in Italia, e sono in parte reperibili tramite alcuni siti che si occupano di scanlation, ovvero di scansionare i manga originali e quindi editarli; il lavoro di traduzione e adattamento offerto da questi gruppi di appassionati non è ovviamente di livello professionale, ma in diversi casi il risultato è più che accettabile per riuscire a farsi un’idea e per poter entrare in contatto con materiali altrimenti inaccessibili per il lettore comune.
Breve panoramica delle opere più importanti
Una piccola premessa: qui, come nel paragrafo successivo, si prenderanno in considerazione solo alcune delle opere di Fukumoto, tralasciando i manga pubblicati durante i primi anni ’80 (come Wani to Hatsukoi, o Shinjitsu no Otoko) perché ancora troppo immaturi, e alcune opere più o meno brevi degli anni ’90, perché considerate come non fondamentali o indicative rispetto a quelle qui trattate (in questo secondo caso è opportuno citare almeno Atsuize Pen-chan, Atsuize Tenma, Gin Yama e Gin to Kin, quest’ultima con ogni probabilità la migliore fra le serie escluse).
Saranno citati i titoli delle opere, raggruppate in ordine tematico, e, fra parentesi, i loro anni di pubblicazione, seguiti da una breve sinossi e alcune considerazioni.
Ten (1989 – 2002) // Akagi (1992 – in corso di pubblicazione) // Kaiji (1996 – in corso di pubblicazione)
Sono i tre manga principali di Fukumoto, tre opere fondamentali non solo per il successo, ma anche per comprendere al meglio il mondo costruito dall’autore.
Ten è la prima serie di un certo successo di Fukumoto, e segue principalmente le vicende del protagonista eponimo, un ottimo giocatore di mahjong che decide di mettere il proprio talento a servizio degli yakuza in partite la cui posta è molto elevata. Il manga parte con forti elementi di commedia quotidiana, nella quale le partite di mahjong occupano un ruolo limitato; con il procedere della storia il lato comico si attenua fino a scomparire, lasciando il posto unicamente alle diverse partite di mahjong. Il punto di svolta del manga consiste nell’entrata in scena di Akagi Shigeru, personaggio che da subito diventa il favorito dei lettori, tanto che nel giro di poco tempo Fukumoto gli dedica una serie tutta sua, Akagi appunto, un prequel nel quale si segue la vita di Akagi dalla prima giovinezza (quando, dopo aver rischiato la vita in una gara di macchine alla Gioventù Bruciata, Akagi si ripara in una sala da gioco clandestina e vince contro degli yakuza imparando le regole del mahjong nel momento stesso in cui lo sta giocando) in avanti.
Eccezion fatta per la presenza di Akagi i due manga non si intrecciano mai, ma mentre Akagi è ancora in corso di pubblicazione (al momento la serie ha raggiunto il venticinquesimo volumetto), Ten si è concluso in maniera del tutto peculiare nel 2002. “Peculiare” perché ben tre volumetti, sui diciotto totali che costituiscono l’opera, sono dedicati alla morte di Akagi, il quale, colpito dal morbo di Alzheimer, decide di darsi la morte tramite un’iniezione letale, non prima di aver parlato un’ultima volta con tutti gli avversari più importanti con i quali si è scontrato durante le storie narrate in Ten. Si tratta di una conclusione fuori dagli schemi perché la sfida presentata non è più una partita di mahjong, ma è una sfida dialettica, uno scontro di voleri fra Akagi e gli avversari che vogliono impedirgli di morire, al tempo stesso apologia dell’eutanasia e riflessione esistenziale su cosa sia la volontà di vivere. Non intimorisca il fatto che il mahjong sia l’asse portante di questi due manga: pur non conoscendone le regole, in entrambe le serie è molto facile comprendere cosa stia accadendo e come stia avanzando il gioco, grazie sia ai commenti dei personaggi, sia alla presenza di una voce narrante che sottolinea inesaustamente la situazione.
Per quanto riguarda Kaiji (suddiviso in quattro parti, corrispondenti a quattro diversi macro-archi narrativi: Tobaku Mokushiroku Kaiji (Kaiji, l’apocalisse del gioco d’azzardo), Tobaku Hakairoku Kaiji (Kaiji, l’anticonformista del gioco d’azzardo), Tobaku Datenroku Kaiji (Kaiji, la cronaca dell’avvento del gioco d’azzardo) e l’attuale Tobaku Datenroku Kaiji: Kazuya-hen (Kaiji, la cronaca dell’avvento del gioco d’azzardo: l’arco narrativo di Kazuya)), si tratta del manga grazie al quale Fukumoto è riuscito a sfondare oltre la nicchia di appassionati del mahjong e a ottenere premi e riconoscimenti vari. Kaiji Itō è un ventenne disoccupato che viene messo nei guai con la yakuza da un ex-coinquilino, il quale gli aveva fatto firmare la garanzia di un prestito a una banda di usurai assicurandogli che l’avrebbe poi ripagato interamente di tasca propria. Per ripianare il debito, Kaiji è costretto a partecipare a una serata di giochi d’azzardo effettuata su di una nave da crociera, avventura che segnerà solo l’inizio di una lunga serie di sfide sempre più difficili e impegnative. A differenza di Ten e di Akagi, personaggi che nei rispettivi titoli sono dei geni del gioco stimati e temuti, Kaiji è un perdente, uno sfaccendato che non riesce a trovare un proprio posto in una società in crisi, che vive di espedienti e spera in un colpo di fortuna che lo sistemi a vita. Se Akagi è monolotico, un personaggio chiuso e perfetto in sè che mette continuamente alla prova le proprie capacità mentali senza mai pensare in termini di vittoria o di sconfitta, Kaiji è l’eterno insoddisfatto, l’insicuro che riesce a salvarsi con un disperato colpo di genio solo quando si trova in un vicolo cieco, dal quale esce pagando sempre un qualche tipo di pegno più o meno elevato (e non solo in termini di denaro: a volte si tratta anche di mutilazioni fisiche). Kaiji e Akagi costituiscono i due poli opposti di un unico spettro: mentre Kaiji è un uomo sconfitto ma non ancora perduto, e che nel corso della propria storia cambia, matura, avanza, cade, sbaglia, si ravvede, e cerca di uscire da una solitudine improduttiva legandosi ad altre persone, Akagi è un diamante che viene fatto risplendere tramite le vicende nelle quali viene coinvolto, una forza della natura che si disvela agli occhi del lettore pagina dopo pagina, partita dopo partita (è interessante notare come in Akagi il lettore non abbia mai accesso diretto ai pensieri del protagonista, i quali sono sempre interpretati e mostrati al lettore per traslata persona dai personaggi che stanno attorno al tavolo di gioco; in Kaiji, al contrario, i pensieri del protagonista occupano un ruolo centrale nel procedere narrativo).
Kokuhaku: Confession (1999) // Seizon –LifE- (2000) // Buraiden Gai (2001 – 2002)
Kokuhaku: Confession e Seizon –LifE- sono due manga scritti da Fukumoto e disegnati da Kaiji Kawaguchi, uno dei mostri sacri del fumetto giapponese. In Kokuhaku: Confession, Asai e Ishikura, due amici scalatori, rimangono intrappolati in un rifugio ad alta quota nel mezzo di una tempesta di neve. Ishikura, che dopo essere scivolato si è rotto una gamba e crede di essere in fin di vita, per liberarsi la coscienza confessa all’amico un crimine commesso in passato. La confessione innescherà però un progressivo allontanamento fra i due, i quali, in attesa dei soccorsi, daranno il via a uno scontro prima psicologico e poi fisico.
In Seizon –LifE- al dirigente d’azienda Takeda viene diagnosticato un cancro incurabile, uguale a quello che gli ha portato via la moglie in passato, e, senza speranza, decide di suicidarsi. Quando sta per impiccarsi, squilla il telefono: la polizia ha appena rinvenuto il cadavere della figlia Sawako, scomparsa più di 14 anni prima. A Takeda restano sei mesi di vita, periodo di tempo che coincide con il tempo che rimane prima che l’omicidio della figlia cada in prescrizione. Il protagonista decide così di ripercorrere i passi che la figlia ha compiuto 14 anni addietro, in una indagine che lo porterà a scoprire diverse cose del proprio passato e l’identità dell’assassino della figlia.
In Buraiden Gai (Gai, la storia di un reietto), scritto e disegnato da Fukumoto, il protagonista Kudo Gai, un orfano di 13 anni, viene incastrato per un crimine che non ha commesso, e viene confinato in un riformatorio sperimentale, chiamato “Human Institute”. Inutile a dirsi, il riformatorio è una sorta di campo di concentramento per giovani problematici, che vengono sottoposti a turni di lavoro massacranti e ad altre angherie.
I tre manga in questione si possono raggruppare assieme per la brevità delle storie (Kokuhaku: Confession consta di un volume, Seizon –LifE- di tre, Buraiden Gai di cinque) e per il fatto che tutti e tre sono variazioni sul tema della sfida testa a testa fra due persone che mettono in gioco la propria vita. Il più interessante risulta essere Seizon –LifE-, unico caso di opera nella quale Fukumoto mostra il percorso di redenzione tardiva dell’anziano Takeda, in lotta contro il proprio passato e un assassino sconosciuto, mentre il meno riuscito è Buraiden Gai, opera che cerca di essere contemporaneamente una classica storia di fuga carceraria e di critica al sistema giudiziario minorile nipponico, senza però riuscirvi con la necessaria efficacia.
Saikyō Densetsu Kurosawa (2003 – 2006) (La leggenda del fortissimo Kurosawa)
In quello che forse è il manga migliore di Fukumoto, oltre che il più atipico e personale, non fosse altro per il fatto che il gioco d’azzardo non è presente in nessuna forma, il personaggio principale, Kurosawa, è un operaio edile di mezza età che cerca costantemente di rendersi popolare e di farsi rispettare e benvolere dai propri colleghi di lavoro, con esiti spesso imprevisti e paradossali.
Come accennato, Saikyō Densetsu Kurosawa rappresenta un caso particolare nella produzione dell’autore: la storia è una commedia a volte grottesca e a volte a tinte fosche, che dipinge la vita di un uomo tagliato fuori da qualsiasi relazione sociale e affettiva (il protagonista abita da solo in una stanza in affitto, e sembra non avere alcun tipo di legame famigliare), alla disperata ricerca di un modo per inserirsi e sentirsi parte della comunità. Kurosawa, per fascia d’età, si situa a mezza strada fra le due generazioni che negli altri manga di Fukumoto si contendono la ribalta: a 44 anni non è più un giovane che lottando cerca di emergere, ma non è ancora (e non lo sarà mai, vista l’umiltà del suo lavoro) un adulto temuto e rispettato per il proprio potere. Kurosawa è una persona al di fuori del proprio tempo, un samurai fantozziano che non riesce a comprendere, e di conseguenza neppure ad accettare o combattere, la società nella quale vive, impegolandosi tutt’al più in situazioni strampalate e assurde come una serie di risse con degli studenti delle scuole medie. Fino a che non trova una grande impresa a cui dedicarsi anima e corpo: difendere, a costo della propria vita, un gruppo di senzatetto che stanno per essere cacciati dal parco in cui vivono da una banda di motociclisti.
ZERO (2007 – in corso di pubblicazione)
Diviso in due parti, Tobaku Haōden ZERO (Zero, l’imperatore del gioco d’azzardo) e Tobaku Haōden ZERO Gyanki-Hen (Zero, l’imperatore del gioco d’azzardo – arco narrativo di Gyanki), il manga segue le vicende di Zero, un giovane genio che, dopo aver incastrato con alcuni stratagemmi una banda di yakuza, viene coinvolto in una sorta di gara di intelligenza, organizzata da un anziano e sadico magnate, che servirà a determinare addirittura il futuro della nazione giapponese.
Zero è fondamentalmente una versione leggera e fantasiosa di Kaiji, rivolta a un pubblico di età più giovane. I puzzle e i giochi d’azzardo che Zero si trova ad affrontare sono più vari e creativi rispetto alle sfide di Kaiji, e il tono generale dell’opera è quello di uno shonen con alcuni momenti tetri e macabri (sono diverse le prove in cui fallire la risoluzione comporterebbe la morte cruenta del personaggio). Laddove in Kaiji l’attenzione è sullo stato d’animo dei personaggi, in Zero ciò che conta maggiormente sono le risoluzioni dei rompicapo presentati.
Stile e tematiche
Parlando di Fukumoto, la prima cosa che salta agli occhi a chiunque prenda in mano uno qualsiasi dei suoi manga è: quanto disegna male. E non sembrerebbe esserci altra maniera per dirlo. La reazione immediata alla componente visiva dei manga di Fukumoto, infatti, non può essere che di rigetto, o come minimo di perplessità, di fronte alla disarmonia e all’asprezza del tratto fukumotiano, tanto che si può pensare che uno dei maggiori ostacoli al successo dell’autore sia proprio stata questa sua inevitabilmente palese caratteristica. Se gli sfondi, di solito a carattere urbano o raffiguranti degli interni più o meno spogli (solo in Saikyō Densetsu Kurosawa e Zero è presente, data l’organizzazione delle storie, una maggiore varietà di ambienti), sono in ogni caso ben organizzati e rappresentati con buon realismo prospettivo e geometrico, lo stesso non si può dire personaggi: anatomie sballate, teste troppo grosse o troppo piccole rispetto ai corpi, nasi esageratamente a punta oppure a tubero bidimensionale, mandibole che, di profilo, giungono quasi a toccare lo sterno dei personaggi – queste sono solo alcune delle più evidenti osticità del disegno di Fukumoto. Bisogna però fare attenzione, dal momento che il tratto, sgraziato e grezzo, non è grossolano come appare a prima vista, e proprio quello che sembra essere il punto dolente del mangaka si rivela uno dei suoi elementi fondamentali. L’organizzazione e la successione delle vignette nelle tavole è abbastanza canonica, anche per un lettore occidentale a digiuno di manga, con una successione di dettagli, primi piani e controcampi che generalmente seguono la maggiore importanza di un elemento all’interno della storia.
Come detto, il disegno di Fukumoto sembra essere rozzo e sgradevole; con il procedere della lettura, però, è facile accorgersi come alcuni elementi base vengano utilizzati dall’autore in maniera meticolosa. In sostanza Fukumoto gioca con degli elementi fissi e poco raffinati, rimescolandoli al fine di creare una galleria di tipi e di effetti precisi. L’alternanza fra le linee dritte e quelle sinusoidali sta a indicare il momento di passaggio da una situazione di tranquillità a una estrema, con improvvise deformazioni e chiaroscuri progressivamente calcati che servono a sottolineare particolari momenti della narrazione; ogni personaggio è fortemente caratterizzato, con tratti anatomici ben distinti e puntigliosamente distribuiti fra gli eroi e gli antagonisti – ovvero ogni tipo ha un proprio tratto e delle proprie caratteristiche (gli eroi sono sempre contraddistinti da dei tratti somatici aguzzi e spigolosi; gli antagonisti, al contrario, sfoggiano dei volumi facciali cubici o sferoidali; l’innocenza è rappresentata con forme acerbamente rotonde, mentre la malizia e la malignità sono accompagnate da contorni flosci e ipertrofici); e se Fukumoto non imbrocca un’anatomia, e spesso manca del tutto le proporzioni o i posizionamenti, ogni sbaglio risulta essere intenzionalmente espressivo, in un’alternanza di complessità e semplicità dal fascino del tutto particolare.
Dal lato narrativo, Fukumoto sceglie solitamente di privilegiare il punto di vista di un personaggio in particolare, e di seguirlo quindi affiancandogli una voce narrante roboante e declamatoria che serve a raddoppiare nella maniera più enfatica possibile quanto si vede sulla pagina. La narrazione è spiattellata, in ogni vignetta ci viene detto esattamente come si sentono i vari personaggi che vi compaiono, e, come se non bastasse, ogni metafora scritta viene subito seguita dalla rappresentazione visiva della stessa, nella maniera più letterale e trasparente possibile (per fare un breve esempio: durante una partita a carte, Kaiji deve decidere se chiamare o meno un bluff, sentendosi sulla soglia di un burrone oltre il quale scegliere di balzare o meno, non sapendo se cadrà nel vuoto o atterrerà sulla sponda opposta. Puntualmente, la successiva vignetta a piena pagina mostra Kaiji esitante sulle soglie di un burrone del quale non si vede il fondo, per reinquadrare quindi il tavolo da gioco con la partita in corso). Si tratta di un didascalismo spiazzante quanto la crudezza dei disegni, e sembra spesso di assistere a un melodramma ottocentesco, nel quale i pensieri e i sentimenti dei personaggi sono cantati e ricantati a piena gola; Fukumoto stesso, durante un’intervista, ha ammesso che ciò che gli interessa principalmente fare è di gettare in faccia al lettore più emozioni possibile.
L’apparente semplicità della narrazione si pone in aperto contrasto con le sfumature e le sottigliezze del gioco d’azzardo, il tema principale di quasi tutti i manga dell’autore. Mettere il gioco d’azzardo al centro della storia e delle relazioni fra i personaggi, di fatto configurando la struttura del gioco stesso come relazione umana di base, permette a Fukumoto di commentare in vario modo la vita e la società giapponese, e anche in quei manga che non fanno perno sul gioco d’azzardo, il procedere narrativo si basa sempre su sfide, scommesse e informazioni che, per vincere, devono essere in vario grado ottenute o celate all’avversario (è questo il caso di Kokuhaku: Confession nel quale due diverse confessioni riguardanti un omicidio ribaltano in maniera sistematica le azioni e le motivazioni dei due unici personaggi presenti sulla scena). La situazioni che vengono messe in scena sono sempre limitate e confinate nelle regole, nel tempo e nello spazio, come se fossero inserite all’interno di un laboratorio, e solo quei personaggi che riescono a gestire al meglio le informazioni in loro possesso, coprendole e scoprendole, processandole e aggreggandole in maniera opportuna, risultano alla fine vittoriosi. Per Fukumoto il gioco d’azzardo è un campo di battaglia dove i personaggi ridecidono la propria vita ogni nuovo istante, evitando di affidarsi alla fortuna, e ostinatamente analizzando tutti quegli oscuri dettagli che vanno a formare l’evolversi apparentemente casuale quanto necessario degli accadimenti: è così che una frase, una parola, un dettaglio nell’insieme generale, assumono il ruolo di una chiave che, se ricordata, contestualizzata e decifrata in maniera corretta, porterà il personaggio alla vittoria.
La sfida può essere un testa a testa, oppure può trattarsi di una gara collettiva, poco importa: quasi tutti i personaggi di Fukumoto vincono solo quando imparano a contare prima di tutto sulle proprie capacità (uno dei grandi capisaldi della letteratura popolare giapponese) e quindi a coinvolgere altri a loro sostegno, creando dei rapporti di fiducia alla cui base ci sarà sempre la spartizione dell’eventuale vincita, senza affidarsi ad agenti esterni come la fortuna o l’invocazione alla divinità. L’avanzamento non è però lineare – per istituire un parallelo con il campo dei videogiochi, non ci troviamo di fronte a un arcade, ma a un rpg, ovvero a una struttura nella quale i personaggi esplorano il campo di gioco fino a quando credono di avere accumulato l’esperienza necessaria per sconfiggere il boss finale (e spesso, soprattutto in Kaiji, non è detto che sia così).
Una situazione ricorrente nelle opere più lunghe e strutturate di Fukumoto è quella che rappresenta lo scontro generazionale fra vecchi e nuovi giapponesi in una determinata condizione economico-sociale. Sia in Akagi, ambientato negli anni della ricostruzione del secondo dopoguerra, sia in Kaiji, ambientato durante la grave crisi economica degli anni ‘90, che in Zero, di ambientazione contemporanea non certo più rosea di quella di Kaiji, il ruolo del villain principale, dell’avversario supremo da sconfiggere, è incarnato da un vecchio riccone, un potente magnate industriale con oscure connessioni politiche, che per passare il proprio tempo si diletta tramite vari giochi d’azzardo nei quali la posta è quasi sempre costituita dalla libertà o dalla vita stessa dei personaggi che vi partecipano. L’insistenza di Fukumoto sulla senilità, sulla sgradevolezza e sul potere illimitato di cui dispongono questi gerontocrati, che bloccano e ostacolano non solo gli avversari ma anche i propri sottoposti (congelando quindi qualsiasi meccanismo di ricambio, sia esso meritocratico o fortuito), e al tempo stesso sull’indigenza degli altri personaggi che si trovano costretti a giocare perché senza altra scelta, è un tema che non suonerà di certo estraneo al lettore italiano, ovvero la persistenza nefasta in posizioni di potere di una generazione anziana e viziata, distaccata dai bisogni e dalle necessità degli strati più giovani della popolazione.
L’insistenza sul gioco d’azzardo ricorderà agli occhi dei lettori occidentali se non altro Il giocatore di Fëdor Dostoevskij, e con il libro dell’autore russo l’opera di Fukumoto condivide la forte caratterizzazione, la tipizzazione dei personaggi presenti, ma non del tutto l’atteggiamento e la considerazione nei confronti del gioco. Questo, in Fukumoto, non è una dipendenza, non è una tossicità che si infiltra nelle pieghe interiori dell’uomo e lo rende schiavo del gioco stesso, dimentico del resto, ma è sempre e comunque un mezzo che all’autore serve per parlare della società e della psicologia dei personaggi. Il gioco d’azzardo fornisce prima di tutto una possibilità di strutture narrative forti e al tempo stesso poliformi, da seguire e decifrare ogni volta in maniera inaspettata e differente, e che vanno a ricalcare in scala ridotta diversi elementi della società e delle dinamiche sociali giapponesi; fra queste, la costante presenza di bande appartenenti alla Yakuza rappresenta al tempo stesso una nota di realismo (dal momento che la maggior parte dei giochi e delle scommesse illegali in Giappone è gestita proprio da questa organizzazione criminale), un efficace mezzo per far avanzare la storia, e una ulteriore allegoria delle meccaniche di scontro generazionale sopracitate (nelle opere di Fukumoto infatti gli yakuza sono quasi sempre servi di scena, api operaie al servizio di un capo anziano che sognano di scalzare senza mai averne la capacità o il coraggio).
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Davvero complimenti per l’articolo!
Fukumoto è un autore che meriterebbe di ricevere più attenzioni da parte del pubblico occidentale..