Cronache di Mesagne
di Antonio Sparzani
Ulivi e ulivi e ulivi senza fine corrono sul finestrino del treno che mi porta via da Mesagne e da Brindisi. Sole e ancora sole, benefico e implacabile, che ci schiaccia un po’ tutti verso il basso. Finita è la terza festa indiana, tenuta all’ISBEM di Mesagne e ricca, se non di sterminate masse partecipanti, di contributi di grande livello, di relatrici e relatori, indiani e non. Occasioni preziose, sguardi imprevisti su nuovi orizzonti, sorprese gradite e inaspettate.
Ma la prima sorpresa gradita è la cittadina di Mesagne, terra di Messapi, come discretamente ma con fermezza ci informa Nuccio, uno studioso del luogo, ex dirigente della locale USL, ora in pensione, ma attento conoscitore e accurato raccontatore delle tradizioni e dei monumenti locali: chiese, capitelli con leggende celtiche di improbabili sirene che si sforzano di affogare degli spaventati Adamo ed Eva, piazze, minuscole vie del centro storico, che sembrano salotti, dove le persone che si azzardano a uscire dal fresco delle proprie case, si difendono dal caldo, sedute all’ombra con grandi bevande ghiacciate, cercando soprattutto di non agitarsi.
Salotti sì, perché la pavimentazione di queste vie e di questi slarghi del centro storico, molto lontana dalle brutture dell’asfalto, è fatta di belle pietre squadrate chiare che trasmettono un’idea da palazzotto signorile, di una pacata agiatezza. Ed è su una di queste piazze che si affaccia la libreria Lettera 22, coraggiosamente gestita da Domenico Pinto, germanista e indiano doc, raffinato traduttore di Robert Walser e di Arno Schmidt.
A Mesagne ci sono tutti gli ingredienti di una cittadina del sud, e forse ormai anche del nord, gli studiosi di storia locale che potrebbero intrattenerti per ore con storie inverosimili, i piccoli potentati che stanno nell’ombra ma che quando serve fanno sentire il loro piccolo, e spesso miserevole, potere, e naturalmente l’innominata, la mafia, alla cui ragnatela si strappa ogni tanto qualche filo, ma che ancora conserva quella pervasività che nessuno ormai riesce a negare.
Anche la nostra festa ha probabilmente mosso qualche minimo fremito nell’ordito delle relazioni locali. Ma questo va da sé, nel bene e nel male, e non ci preoccupa più che tanto.
Meglio in verità lasciarsi emozionare dall’intensa voce di Daniele Ventre che legge la morte di Ettore nella sua straordinaria traduzione in esametri ritmici dell’Iliade (Mesogea 2010). Tutti noi che a scuola tenevamo per Ettore, ascoltiamo con il fiato sospeso, nella speranza impossibile e insensata che all’ennesima rilettura l’iroso Achille soccomba finalmente. Come quando io da ragazzetto, all’ennesima rilettura dei Ragazzi della via Pal continuavo a sperare contro ogni buon senso che Nemecsek non morisse ma venisse alla fine provvidenzialmente guarito.
Alla conclusione della lettura di Daniele, che in verità ha avuto l’accortezza di fermarsi prima dell’attimo estremo, ci consolavamo forse ricordando gli ultimi versi dei foscoliani Sepolcri. L’immortalità di Ettore è stata ancora una volta assicurata.
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Nei prossimi giorni cercheremo di pubblicare, un po’ più seriamente di queste poche righe a caldo, qui sul nostro sito tutti gli interventi della festa di cui avremo un testo scritto.
Aggiornamento: qualche foto dalla festa:
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un saluto speciale a domenico pinto.
è stato anche simpatico, seppur accaloroso, viaggiare nelle campagne, arrivato da Matera, a rintracciare l’ex Convento. ché m’ero un poco perso…
ma l’avventura m’ha ripagato.
saluti a tutte e tutti.
b!
Nunzio Festa
caro nunzio,
un saluto, e mi ha fatto piacere conoscerti: quanto è bello mettere faccia e corpo su una firma telematica!
Ho aggiunto qualche foto, tranne le più compromettenti!
Per non parlare del Pinto sorridente in libreria, accanto a un libricino con la faccia parallela e parallelamente sorridente di Ersilio Tonini :D
Colpo basso!
E’ il barocco locale. Mica c’era Vespa :-)
(Scena, quest’ultima, più immaginata che vista).
sì ma la prossima centro-Italia, che diamine, di questo passo me le perdo tutte quante.
Trovaci il posto e noi ci veniamo!
Touché
Una giornata che non dimenticherò facilmente. Peccato essermi male organizzato per la domenica. Un grosso saluto a tutti gli indiani che ho incontrato.