Gli alluvionali
Viene poi l’alluvione. Al mio paese i fenomeni atmosferici fuori norma sono rari e vengono sempre ricordati. Qualcuno dice che così come si ricorda il gelo dell’85, così verrà ricordata questa alluvione. Qualcun altro si chiede, con una nota quasi di disappunto, come mai non sia stata sommersa anche Firenze.
Piove così tanto che non solo l’Arno, ma anche i borri, come quello che passa poco sotto casa mia, straboccano e la loro acqua gialla si porta via pezzi di steccato, alberi, cassonetti, le Ape Piaggio dei vecchini e pure qualche utilitaria. Casa mia è stata collocata dal buon senso di mio nonno su un’altura e quindi possiamo permetterci di stare lì in fondo, dove la nostra strada si unisce con via Po e guardare gli averi altrui passare per la via come se fosse effettivamente il Po. L’acqua tuttavia non smette di scendere e anche casa nostra si trova col giardino allagato. Da lì poi penetra nei fondi. Sento mia madre che mi chiama perché dia una mano con i secchi. Allora, dopo essermi goduto il passaggio di una 500 che oltre a procedere su quel fiume di limaccia verso il centro di Montevarchi effettua anche rotazioni sul proprio asse, mi smuovo e raggiungo il giardino.
C’è sempre un mistero più profondo, una verità che solo la natura può decidere di svelare. Nell’angolo tra il secondo e il terzo scalino del mio pianerottolo, al riparo dall’acqua e a poca distanza da un finestrino basso che dà sui fondi, un ragno formidabile. Ne ho visti di più formidabili, certo, ma in foto. L’anno prima mi è stato infatti regalato un libro che documenta ragni di ogni genere, con un occhio di riguardo per quelli velenosi come la placida e mortale vedova nera o il ragno eremita, scattante flagello texano in grado di necrotizzare i tessuti umani, oppure giganti come la tarantola e la migale. Lo sfoglio ogni volta con un brivido, guardando e non guardando quelle foto terribili; lo centellino, lo succhiello, immagino come possa essere venire morsi dal ragno eremita oppure scoprire sul muro di casa una migale. La risposta è davanti a me, poiché questo ragno, che è qui e adesso, ha in comune con le migali del libro le dimensioni. Ma è un ragno di qui: è marrone, ha le zampe affusolate. Non ha screziature, o le forme bombate, muscolose quasi, delle tarantole. È una tegenaria, un ragno di Montevarchi, ed è grosso come la mia mano. È qui e si protegge dall’acqua, questo sovrano dei fondi sfuggito facilmente alle trappole di mio padre e agli avvistamenti degli avventurieri della domenica sera, e non gli piace essere qui, quasi mostra una sua saggezza, una consapevolezza della possibilità di essere schiacciato dagli uomini – di essere schiacciato da me – e si difende con quello che ha: con l’orrore. In realtà sta lì ad asciugarsi, valuto: aspetta una botta di sole o almeno di caldo che lo rimetta in sesto, ma il pensiero non attecchisce. Colto da brividi, non oso superarlo; entro dal portone di mia nonna e raggiungo mia madre da sotto, attraverso il dungeon.
[da Tutti i ragni / Vanni Santoni. – :duepunti edizioni, 2012]
I commenti a questo post sono chiusi
(il perché del termine ‘dungeon’ in chiusura si capisce nel capitolo precedente, ma quando ho estratto il brano non me ne ero accorto – chiedo venia ^^’)
di cosa parla il libro? e’ forse un racconto?
è un racconto lungo (o romanzo brevissimo)
[…] su Nazione Indiana un brano da Tutti i ragni (@duepuntiedi) – nazioneindiana.com/2012/06/04/gli… – grazie @bgmole […]
un ottimo racconto lungo.
*inchino*