Ho due mamme

di Severino Colombo

Tutte le famiglie normali si somigliano; ogni famiglia è speciale e si vuole bene, a modo suo. Quella di Maria Silvia Fiengo e Francesca Pardi lo è – normale e speciale insieme – perché loro sono due persone dello stesso sesso. Due donne che si vogliono bene, due mamme che hanno scelto di avere e di crescere dei figli insieme, a Milano.

«In Italia l’inseminazione eterologa non si può fare, né per i gay né per gli eterosessuali – spiega Francesca –; ci abbiamo pensato a lungo prima di questo passo, almeno un anno, poi siamo andate in Olanda». Margherita, Giorgio, Raffaele e Antonio – dieci anni la prima, tre l’ultimo, sei i gemelli di mezzo – sono stati concepiti lì. «Se lo vorranno, quando saranno maggiorenni, potranno sapere con precisione chi è il loro padre biologico. Ci sembrava giusto così».

Il problema maggiore delle famiglie omogenitoriali è l’accettazione sociale: «molti etero vanno all’estero per avere figli e nessuno lo sa». Per le famiglie gay la visibilità, invece, è un’esigenza legata a diritti: «Siccome da noi non si può fare, allora come famiglie non esistiamo» aggiunge Francesca. Invece esistono eccome, qualche giorno fa le Famiglie Arcobaleno, associazione di genitori omosessuali di cui le due mamme sono fra le fondatrici, si sono ritrovate nei parchi di nove città italiane per far festa insieme con tutte le altre famiglie.

A livello giuridico la questione dei diritti resta aperta. «Un genitore non biologico non ha nessun tipo di riconoscimento. Vive una condizione psicologicamente pesante». Significa, a esempio, che per andare a prendere alla scuola d’infanzia Antonio, partorito da Francesca,Maria Silviadovrebbe avere una delega e viceversa. «Nella pratica quotidiana questo non accade, perché c’è un riconoscimento di fatto della nostra unione». Capita, però, anche alle coppie gay di smettere di amarsi e allora è un guaio: «se qualcosa va male nel rapporto e ci si separa, tutto è nelle mani del genitore biologico che non ha nessun dovere di riconoscere la relazione dell’altro genitore con i figli». A rimetterci sono spesso bambini.

Giochi sparsi per terra, tazze della colazione nel lavello, odore di risveglio, Margherita (malata) che guarda la tv: la casa di Francesca e Maria Silvia, la mattina di un giorno feriale, è come tutte le case con bambini. Solo più incasinata, con il tavolo ingombro di libri visto che l’abitazione, a due passi da Porta Romana, è anche la sede della casa editrice che hanno fondato l’anno scorso. Lo Stampatello  pubblica storie per bambini che parlano di famiglie come la loro. Storie per tutti, come “Piccolo uovo” – protagonista un uovo che prima di nascere è curioso  di sapere quali e quanti potrebbero essere i suoi possibili genitori –  che illustrato da Altan sarà premiato a fine maggio con il Premio Andersen.  Altrettanto routinaria e acrobatica la vita dei genitori fuori casa, tra riunioni scolastiche, corsi e attività pomeridiane, feste di compleanno e immancabili nonni a fare da salvagente per gli impegni di lavoro. «Li abbiamo fatti contenti. Una delle grandi paure dei genitori di figli omosessuali è di non poter avere nipoti. Per noi, come per tutti, i nonni, sono una risorsa preziosa» spiega Maria Silvia, di ritorno dall’accompagnamento del più piccolo alla materna. «Essere genitori è un percorso molto identitario. Per i gay, lo è ancora di più perché a noi non capita di fare figli per caso, dietro c’è una scelta ragionata. Quando lo diventi ti trovi a vedere e a fare le cose in maniera diversa. Ci siamo documentate, abbiamo letto molto, abbiamo parlato con psicologi e ci si siamo costruite degli strumenti per affrontare questo ruolo». Aggiunge Francesca: «L’aspetto dell’omosessualità che più turba è la relazione sessuale, ma se accompagni i bambini a scuola sei visto prima di tutto come un genitore, una mamma». In questo vivere in una grande città o altrove non fa la differenza: «magari in un paesino ci sono meno strumenti culturali – spiega Francesca – ma una volta che si esce allo scoperto c’è più umanità, i contatti sono più forti».

A proposito di scuola in quelle (pubbliche) frequentate dai figli, Francesca e Maria Silvia sono sempre andate a parlare con i presidi per illustrare il loro “stato di famiglia”, chiedendo  insegnanti che non avessero pregiudizi. Dopo in po’ hanno capito come interpretare le reazioni di chi avevano davanti: «se ci dicono: non c’è nessun problema allora il problema c’è; al contrario se ci chiedono di saperne di più e cercano un confronto significa che hanno un atteggiamento meno rigido e che mettono al primo posto il bambino e la sua serenità dentro la scuola». Con la prima figlia, alla scuola d’infanzia è capitato che un’educatrice si ponesse il problema «di come dirlo non ai bambini ma ai loro genitori!». Per fortuna la società, anche quella italiana, cambia in fretta e con i successivi figli Maria Silvia e Francesca si sono trovate con maestri che «per potere affrontare meglio il tema hanno seguito corsi di formazione sull’omogenitorialità». Così le diversità diventano non un motivo di discriminazione ma un valore e un arricchimento per gli altri. Compagni – e loro genitori –  compresi. Maria Silvia racconta di babycoppie formate per gioco in classe dove «la più bella ha snobbato i maschietti per “fidanzarsi” con una lei, e nessuno l’ha trovato strano». O di mamme che hanno superato iniziali diffidenze nei loro riguardi. Francesca confida di aver ascoltato un amichetto ospite per la notte (anche le mamme gay ascoltano di nascosto le confidenze dietro le porte) chiedere al figlio: «Ma tu non ce l’hai un papà?» e l’altro rispondere come se la cosa fosse normale «No, ho due mamme». «Perché?» «Perché si vogliono bene». Ogni famiglia è normale a modo suo; tutte le famiglie speciali, che si vogliono bene, si somigliano.

(pubblicato sullo speciale Famiglia del Corriere della sera il 30 maggio 2012)

Print Friendly, PDF & Email

2 Commenti

  1. Le persone sono spesso aperte e disponibili quando vengono messe di fronte a situazioni concrete: la compagna d’asilo di mia figlia, con due mamme e nonni affettuosi per esempio. I propri figli fungono da mediatori e fanno superare pregiudizi e chiusure. Persone che in astratto sono contro il matrimonio gay e l’adozione, sono più malleabili nel concreto delle situazioni quotidiane.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Non chiamatela Banlieue

di Gianni Biondillo
Innanzitutto: non è una banlieue. Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando. E, a ben vedere, non è neppure più una periferia. Dal Corvetto a Duomo ci vuole un quarto d'ora di metropolitana, siamo ormai nel cuore della metropoli lombarda.

Il venditore di via Broletto

di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.

Il cuore del mondo

di Luca Alerci
Vincenzo Consolo lo incontrai, viandante, nei miei paesi sui contrafforti dell’Appennino siciliano. Andava alla ricerca della Sicilia fredda, austera e progressista del Gran Lombardo, sulle tracce di quel mito rivoluzionario del Vittorini di "Conversazione in Sicilia".

Apnea

di Alessandro Gorza
Era stata una giornata particolarmente faticosa, il tribunale di Pavia l’aveva chiamata per una consulenza su un brutto caso. Non aveva più voglia di quegli incontri la dottoressa Statuto, psicologa infantile: la bambina abusata coi suoi giochi, i disegni, gli assistenti sociali e il PM, tutti assieme ad aspettare che lei confermasse quello che già si sapeva.

Spatriati

Gianni Biondillo intervista Mario Desiati
Leggevo "Spatriati" e pensavo al dittico di Boccioni: "Quelli che vanno", "Quelli che restano". Il tuo è un romanzo di stati d'animo?

La fuga di Anna

Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: