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Le elezioni in Francia, la politica marketing, la sinistra omeopatica

di Giacomo Sartori

Se c’è un vincitore defilato ma incontestabile delle elezioni presidenziali francesi, questo mi sembra essere, all’ombra dell’acclamato successo del neopresidente Hollande, la politica stessa. E nella fattispecie, ma ci tornerò sopra, la politica altamente tecnica e performante, quasi scientifica, di questa campagna elettorale. Uno dei dati salienti è infatti il grande e crescente seguito che ha avuto la lunghissima battaglia elettorale: il lento crescendo, invece di stancare ha saputo attrarre e anche sommuovere gran parte dei cittadini. Ne sono una riprova l’altissimo seguito dei dibattiti televisivi e l’alta affluenza alle urne. Anche tenendo conto delle preoccupazioni legate alla crisi economica, questo successo popolare non era affatto scontato, visto il diffuso e crescente discredito che la classe politica francese, presa nel suo complesso, gode nella società civile.

Nelle pubblicazioni specialistiche come nei documentari (per esempio il persuasivo Les nouveaux chiens de garde, di Balbastre e Kergoat) e nella satira, molto vivace e seguitissima, la classe dirigente d’oltralpe si configura e è percepita sempre di più come un’unica elite, senza più una linea di demarcazione tra destra e sinistra, formata nelle stesse scuole d’eccellenza, frequentante gli stessi giri di persone influenti, legata in modo incestuoso al mondo dei media (a loro volta di proprietà dei grandi gruppi economici e finanziari), e distante anni luce dalla gente comune. Non è un caso che Sarkozy abbia festeggiato la sua vittoria nel 2007 prima in un locale di lusso e poi sullo yacht dell’amico miliardario e proprietario di televisioni, cosa che è piaciuta pochissimo ai suoi connazionali, i quali non hanno mai davvero dimenticato la rivoluzione che hanno fatto. Come non è piaciuta la sua gestione accentratrice e assolutistica del potere, che lo ha portato ai minimi storici della popolarità. Ma come è noto il candidato socialista dato dai sondaggi per favoritissimo, Strauss-Kahn (che tra parentesi era stato imposto alla testa dell’FMI proprio da Sarkozy), si è fatto prendere con le mani nel sacco nel suo agghiacciante menage, una miscela di compulsione sessuale, lusso, maltrattamenti e abusi di potere. A dispetto dei penosi sforzi dell’interessato di ricondurre il proprio operato nell’alveo della blasonata tradizione libertina, queste pratiche niente hanno a che fare con essa, e sono anzi filosoficamente agli antipodi, come anche sono agli antipodi dei valori fondamentali della sinistra: l’eguaglianza e il rispetto della dignità dell’individuo. Ma appunto non è un caso che i due protagonisti principali della tenzone – uno ha un po’ esagerato e ci ha rimesso le penne – abbiano flirtato quasi alla luce del sole con il diavolo delle tentazioni monarchiche e assolutiste (anch’esse mai davvero estinte nel DNA politico francese).

Lo sforzo precipuo dei due principali contendenti, o meglio delle impressionanti equipe di esperti mediatici e comportamentali che li fiancheggiavano, è stato quindi quello di far dimenticare agli elettori questo baratro. Anzi, Hollande, che si è aggiudicato le primarie socialiste dopo il forzato ritiro del satiro, ne ha fatto il suo cavallo di battaglia, presentando se stesso, in aperta contraddizione con il ruolo dato al presidente dalla costituzione della quinta repubblica, e con il suo stesso modello esplicito (Mitterand), come “l’uomo normale”. Nell’altro campo ci si è messa nel suo piccolo anche la nostra Carlà, con la sua allucinante dichiarazione  – enunciata con la sua spudorata vocina e subito ripresa da tutti i media – “noi siamo gente modesta”. Dall’una e dall’altra parte la cosa ha funzionato fino a un certo punto, perché Le Pen (figlia) a destra, con i suoi ritornelli xenofobi e nazionalisti, Mélenchon a sinistra, con la sue vacue ma indubbie doti oratorie, e Bayrou al centro, hanno cavalcato i potenti venti di protesta, con un unico comune denominatore “anticasta”, diremmo noi (ma la nostra casta, antiquata e arraffona, è altra cosa). Nell’insieme quasi due elettori su cinque, al primo turno, hanno scelto la protesta radicale. Il che non è poco, se si tiene conto che moltissimi hanno appoggiato i due candidati favoriti come una volta in Italia tanti votavano democristiano, vale a dire scegliendo il meno peggio, o addirittura (nel caso di Sarkozy) tappandosi il naso.

Per sembrare più vicini, o comunque più appetibili, per la gente comune (quella vera), entrambi i candidati hanno cambiato radicalmente la loro apparenza e la loro gestualità. I coach di Sarkozy sono riusciti non si sa come a fargli passare i frenetici tic e scossoni delle spalle e della testa che lo facevano sembrare a ogni intervento pubblico un cavallo imbizzarrito e potenzialmente pericoloso. E quelli di Hollande lo hanno dimagrito di trenta chili, gli hanno lobotomizzato il senso dell’umorismo (sviluppatissimo), gli hanno reso seriosi e compunti (presidenziabili) l’eloquio e l’espressione del viso, e hanno educato al galateo della telegenia le sue mani. Perché la vera lotta, i due campi lo hanno capito bene, era basata sull’aspetto del candidato, sulla sua capacità di apparire convincente, sul suo (costruito) profilo psicologico.

Proprio per non provocare reazioni o idiosincrasie, i programmi sono stati invece presentati con il contagocce. Era evidente che ogni proposta era messa lì come un potente marchio commerciale introduce sul mercato un nuovo prodotto, certo con alle spalle solidissime ricerche di marketing, ma pronto a aggiustare il tiro sul gusto o sul colore della confezione, o al limite anche a ritirare la novità. Nel caso di Sarkozy, sceso in campo ufficialmente solo poche settimane prima del voto, questa ritenzione aveva dell’avarizia di Arpagone. E comunque sia da una parte che dall’altra la forma, era sempre più importante del timido contenuto. Il quale più che verosimile – spesso i commentatori lo bollavano unanimemente come velleitario – doveva rivelarsi ben digesto e sondaggio-genico.

Il dato paradossale è che in questa guerra che in entrambi i campi adopera la stessa prudenza e le stesse tecniche commerciali, e nella quale le idee e i programmi sono diventati pura decorazione, a differenza di quanto poteva ancora accadere nell’ormai lontanissimo 2007, non si potrebbe dire che ci sia un completo appiattimento tra destra e sinistra. Nel programma di Hollande ci sono due elementi che si possono definire senza ambiguità di sinistra: una politica fiscale concentrata sulle grandi ricchezze piuttosto che sui meno abbienti, e la proposta, quasi uno scampolo di welfare, anche se il termine nel frattempo è diventato tabù, di un aumento degli effettivi nella scuola. Ai quali si aggiunge la volontà dichiarata del nuovo presidente di rinunciare alla facoltà di nominare personalmente molte importanti cariche (per esempio della televisione di stato), di voler rendere più autonoma la magistratura, e di perseguire in tutti i campi una maggiore giustizia. Una sinistra insomma ormai adattata alle leggi dell’era dello spettacolo, e nella quale quindi lo stile e la faccia del candidato sono altrettanto importanti delle omeopatiche proposte concrete, ma pur sempre una sinistra.

Ma appunto le non sostanziali differenze tra destra e sinistra, entrambe sottomesse ai dettami della crisi economica e degli obblighi internazionali, non devono nascondere secondo me il dato più importante. Con le sue nuove tecniche mediate dal marketing la politica francese è riuscita nel complesso, seppure in extremis, a venircene fuori bene, è riuscita a rinsaldare, almeno per il momento, il suo legame con il paese. Resta da vedere come fronteggerà la crisi economica, che tutti i candidati, compreso quello vincente, e proprio per non spiacere a nessuno, hanno minimizzato.

(pezzo pubblicato sul quotidiano “Trentino” del 07.05.2012)

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6 Commenti

  1. mi pare che anche l’idea di far votare alle amministrative i cittadini extra-comunitari sia di sinistra, come pure la questione dell’eutanasia, anche se ci credo poco…

  2. Mi ha fatto piacere ascoltare ieri parole come “umanismo”. Era una parola dimenticata. Anche “il sogno francese” ha luccicato nel mio cuore. Ho ritrovato
    il senso filisofico della parola “felicità”. Anche Sarkosy ha fatto un discorso sulla felicità ( per me il suo più bello discorso). Vorrei credere in uno squarcio di luce, qualcosa che si vede come cielo blu crescente. Oggi non voglio ascoltare chi annuncia catastrofe. Per una mattina credere che qualcosa stia cambiato e forse con luce negli occhi, le cose si fanno.

  3. A me pare, e spero che Sartori non se l’abbia a male, che questo articolo ci dica più sul suo estensore che sulla Francia.
    Sartori crede che la politica risorge quando diventa tecnica, quando i coach riescono a “pulire” i candidati delle loro peculiarità, ove queste possano apparire poco gradevoli. Poco importa se di contenuti politici si è detto ben poco durante la campagna elettorale, determinando una sostanziale prossimità tra i candidati, la politica ha avuto successo perchè ha rinsaldato il suo rapporto con il paese.
    A me invece pare tutto l’opposto, che questo riconoscere l’atttività politica come un mestiere come qualsiasi altro, in cui ciò che più conta è la professionalità, il sapere gesticolare in maniera appropriata, stia portando alla morte della politica, stia sostituendo la politica con un suo simulacro, in cui la purga necessaria a renderla “gradevole” richiede la fine degli stessi obiettivi politici: non conta a quali risultati si vuole giungere, perchè il fine diventa l’attività politica in quanto tale, trova in sè stessa il suo fine, la giustificazione della sua esistenza.
    Sarà allora un caso se la reazione della politica, e di quella europea in particolare, alla crisi economica sia stata inadeguata, se si è permesso alle banche di ricattarci, se i governi appaiano ormai come un’appendice della grande finanza?
    Io direi piuttosto che tutto ciò è stata proprio la conseguenza di una politica che ha rinunciato a sedere sul trono più alto, dando per scontate tante cose, ed in primis cedendo la supremazia all’economia.
    Finchè insomma la politica non tornerà a sporcarsi con la vita delle persone, finchè non smetterà di seguire quel modello USA che fino agli anni ottanta consideravamo ancora come una caricatura della democrazia, finchè non riuscirà a svincolarsi da lobbies e mafie di tutti i generi, non v’è alcuna speranza che i sistemi politici si salvino, la crisi economica si tradurrà necessariamente in una crisi politica in un processo sulla cui direzione sarebbe arduo fare previsioni, ma sulla cui fortissima intensità non si possono nutrire più dubbi.

    • cercavo piuttosto di descrivere alcune caratteristiche molto peculiari di questa campagna elettorale, il che mi sembra fondamentale per calare le singole proposte di Hollande(anche quelle in campo europeo, delle quali non ho parlato) nel loro particolarissimo contesto;
      nell’euforia di ieri sera, e nei commenti a caldo di oggi, in Francia e fuori, prevale mi pare l’emozione, come è forse normale che sia;

    • senz’altro Hollande ha molta più sostanza di quanta ne avesse la ex-moglie nella campagna del 2007 (ora sembra averne lei stessa di più, come in realtà tutto il PS, che nel 2007, dopo il dribbling di Ségolène nei confronti degli “elefanti”, era allo sbando); e per quel che se ne dice e si capisce è anche sincero: sembra avere dei solidi principi “di sinistra” (appunto l’eguaglianza, l’aspirazione a una maggiore giustizia …); resta il fatto che il programma è nello stesso tempo molto magro e nello stesso tempo, nelle condizioni attuali del paese, molto velleitario, sia sul piano interno (le maggiori spese delle poche misure sembrano difficilmente “copribili”)sia su quello internazionale (il peso nell’Europa e il peso nei rapporti con la Germania); e resta da capire fino a che punto il suo elettorato lo ha trovato più nella violenta e comprensibile reazione al sarkosismo (che fin dall’inizio aveva indisposto larghe fasce di cittadini, e che a partire dal 2010 ha per la prima volta messo in discussione alcuni sacrosanti principi della repubblica, in particolare aprendo all’estrema destra xenofoba e razzista), che in una vera adesione alla sua persona e al suo programma;

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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