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L’unico scrittore buono è quello morto

di Gianni Biondillo

Marco Rossari, L’unico scrittore buono è quello morto, E/O, 214 pagine

La letteratura che parla di se stessa – che parla di libri, di scrittura e di autori – è un genere a sé stante, genere nobile e di antica tradizione. In fondo ogni scrittore passa buona parte della sua giornata a scrivere, a leggere o a ragionare di scrittura, diventa inevitabile che sia anche il centro di molta narrazione. Detto così può preoccupare l’idea di imbattersi in un libro che sembra parli esotericamente al suo ego, ma per fortuna, proprio perché l’argomento è la ragione stessa di vita dell’autore questo genere letterario – la letteratura che parla di letteratura, una sorta di letteratura al quadrato – sa anche essere affascinante, proprio come nel caso del libro di Marco Rossari, divertente già dal titolo: L’unico scrittore buono è quello morto.

Questo di Rossari non è un romanzo o una racconta di racconti e meno che mai una collezione di saggi critici. Sembra piuttosto uno zibaldone, una congerie di aforismi affilatissimi e lunghi meta-racconti paradossali, dove si possono incontrare un Tolstoj invitato a parlare delle sue opere alla radio, o uno Shakespeare accusato di plagio. Molti di questi racconti di racconti sono in prima persona. Fiction di autofiction (la ridondanza e il gioco di specchi caratterizza l’intero libro) dove i molteplici Rossari – emblemi dei molteplici scrittori, poeti, traduttori, critici che affastellano il mondo dell’editoria – si ritrovano di fronte a situazioni frustranti, assurde, umilianti.

Ma non c’è né autoindulgenza né rabbia. L’autore sa che chi scrive convive con una malattia totalizzante che si accanisce sull’esistenza dandole al contempo senso. Rossari poi, dalla sua, ha la fortuna di snocciolare nelle sue pagine una cultura, non solo nozionistica o anedottica, davvero notevole senza dotti compiacimenti di sorta. Scrive bene, cambiando spesso di tenore e registro, con autentica sapienza, regalando al lettore un libro che fa intravedere, da dentro, la macchina magica e infernale delle nostre ossessioni.

[pubblicato su Cooperazione, n. 8 del 21 febbraio 2012]

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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