CHARLES DICKENS [1812-2012] Lento, grave, silenzioso, s’accostò il fantasma.
OLIVER TWIST Fred Barnard [ 1875 ]
Per favore, Signore, posso averne un’altra pochina?
di Orsola Puecher
Da quasi due secoli, sopravvivendo a traduzioni in tutte le lingue e persino a quelle riduzioni ad usum Delphini che una volta si regalavano ai fanciulli, i personaggi dei romanzi di Charles Dickens, archetipi di qualità e difetti molto umani, infestano amabilmente il suo variegato e vastissimo pubblico di grandi e piccini, lettori semplici o raffinati esegeti che siano. In un alone di mestizia e monito etico, che nemmeno il canonico, ma sempre travagliato, lieto fine riesce a cancellare, ecco allora Oliver Twist venduto dal direttore dell’orfanatrofio all’impresario di pompe funebri Mr. Sowerberry per aver osato chiedere ancora un po’ di minestra, e messo a dormire nel sotterraneo popolato di bare scoperchiate. Ecco il piccolo David Copperfield staffilato ingiustamente dal patrigno Mr. Murdstone, ed ecco la silenziosa e tenace Amy Dorrit nata alla Marshalsea, la prigione dei debitori, mai tanto minacciosa come negli odierni tempi di crisi, nel suo accidentato percorso di riscatto sociale. E in quale epoca non c’è un qualche Mr. Merdle, nome omen, affarista truffatore che trascina tutti nella sua rovina finanziaria? O un avaro Scrooge con il suo insperato emendarsi in una notte? Insieme al fantasma lento, grave, silenzioso di Cantico di Natale, che sporge la sua mano cerea dal manto nero, sfilano come spiriti di un epoca senza tempo cattivi d’elezione e orfanelli maltrattati, comprimari tratteggiati con ironia, figurine ad acquerello di una lanterna magica, tremolanti e vive, ad accrescere e insieme esorcizzare la paura dell’abbandono, la crudeltà delle ingiustizie e i rovesci della sorte che insidiano tutti i destini. Per l’orfano di qualsiasi cosa che si nasconde in ognuno di noi, non possiamo non dirci dickensiani. Nel bene e nel male.
Quel Dickens verso cui ammette un profondo debito letterario anche un altro suo piccolo lettore:
Franz Kafka
DIARI
8 ottobre 1917 [800-840]
L’ammirazione è un termine di confronto: per Kafka è un modello inarrivabile la macchina romanzesca dickensiana, la struttura, che però quando sembra andare con il pilota automatico della convenzione, si rivela crudele dietro la maschera del sentimentalismo traboccante, e quindi è da superare. L’epigonismo, in cui Kafka si classifica con estrema chiarezza critica, deve riuscire a oltrepassare, a scardinare, a rendere diversa la struttura della trama con le luci taglienti della sua epoca. Bisogna far saltare con le mine dell’inconscio i massi di rozza caratterizzazione di Dickens. Ma insieme Kafka nota quanto la concretezza sfumi nell’uso di metafore astratte: la fervida gotica immaginazione di Charles Dickens si scontra suo malgrado continuamente con l’aspirazione a uniformarsi al realismo vittoriano e agli stilemi dell’epoca. Dei suoi romanzi la dark side è quella che resta più efficacemente impressa e le situazioni penose e oscure finiscono per avere il sopravvento su ogni soluzione di happy end.
In Kafka il processo avviene in senso inverso: il realismo delle descrizioni sconfina volontariamente nell’immaginario, reso verosimile dalla loro minuziosa esattezza che riesce a renderlo reale agli occhi del lettore. La realtà ha improvvisi scarti e il passaggio di stato è magistralmente, dickensianamente, costruito.
Nell’incipit del Il fuochista il lento avvicinarsi della nave, il delinarsi della Statua della Libertà che brandisce una spada, torreggiando minacciosa come una divinità guerriera dell’ostile metaforico Nuovo Mondo, si discosta e scarta senza alcuno sforzo dalla verità oggettiva del placido simbolo della democrazia americana, che in realtà brandisce invece una illuministica e prosaica fiaccola.
Quando il sedicenne Carlo Rossmann, mandato in America dai suoi poveri genitori dopo che una domestica lo aveva sedotto e gli aveva messo al mondo un figlio, a bordo della nave che avanzava a piccola forza entrò nel porto di New York, pensò che la statua della Libertà, già da un pezzo visibile, splendesse sotto una luce più intensa. Il braccio che brandisce la spada sembrava essersi appena alzato, intorno alla figura spiravano fresche correnti.
“Com’è alta!” fece tra sé, mentre la folla dei facchini, che passavano sempre più numerosi, sebbene lui non volesse muoversi,finiva con lo spingerlo contro il parapetto.
IL FUOCHISTA
Un frammento [ 1913 ]
In Cantico di Natale, un Natale che Dickens rivendica come momento sociale in cui lo spirito capitalista di utilitarismo si fa da parte, con l’utopia di fondare le relazioni sociali sull’etica dell’amore e non del danaro e del profitto, c’è un perfetto compendio dei motivi e dello stile dickensiano. Si possono immaginare i caseggiati londinesi giocare a nascondino in una loro fantasiosa infanzia edile, vedere seduto nella nebbia british il Genio dell’inverno assorto in una lugubre meditazione e dal momento in cui il picchiotto della porta della casa di Scrooge si trasforma nel viso del defunto socio, il mistero dilaga e la realtà non ha più pace e confini definiti. Il tutto sempre con una scrittura moderna, veloce, con frasi e paragrafi brevi, che non indugia in descrizioni prolisse, e una lingua diretta: ironica, colloquiale ma drammatica quando serve.
BENJAMIN BRITTEN A Ceremony of Carols
“In Freezing Winter Night“
Cantico di Natale [ 1843 ]
PREFACE |
PREFAZIONE |
BENJAMIN BRITTEN A Ceremony of Carols
“Wolcum Yole“
⇨ The Morgan Online Ehxibitions [ pag. 8 ]
da Stave 1: Marley’s Ghost
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da ⇨ A CHRISTMAS CAROL [1910] di J. Searle Dawley per Edison Manufacturing Company
Marley’s face. It was not in impenetrable shadow as the other objects in the yard were, but had a dismal light about it, like a bad lobster in a dark cellar. It was not angry or ferocious, but looked at Scrooge as Marley used to look: with ghostly spectacles turned up on its ghostly forehead. The hair was curiously stirred, as if by breath or hot air; and, though the eyes were wide open, they were perfectly motionless. That, and its livid colour, made it horrible; but its horror seemed to be in spite of the face and beyond its control, rather than a part or its own expression. |
Il viso di Marley. Non avvolgevasi già, come ogni altra cosa intorno, nell’ombra fitta; anzi raggiava un certo bagliore livido come un gambero andato a male in un oscuro ripostiglio. Non era crucciato o feroce; fissava Scrooge come Marley soleva fare, e lo fissava con occhiali da spettro alzati sopra una fronte da spettro. I capelli sollevavansi stranamente quasi mossi da un soffio o da un’aria calda; gli occhi, benché sbarrati, erano immobili; la faccia livida. Una cosa orrenda: se non che l’orrore era estraneo all’espressione di quel viso e in certo modo gli era imposto. |
BENJAMIN BRITTEN A Ceremony of Carols
“Interlude for Harp Solo“
Stave IV: The Last of the Spirits |
Stanza IV: L’ultimo degli Spiriti |
⇨ “Cantico di Natale” di Charles Dickens
traduzione di ⇨ Federigo Verdinois
Ulrico Hoepli, 1888
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assolutamente straordinario . . . . .