è nata una stella: Francesca English
di
Francesco Forlani
Martedì sera io e il mio socio Marco Fedele siamo stati invitati a far parte della giuria di un contest organizzato dal Canevel Music Lab, al Jazz Club di Torino. Siamo stati invitati, ovviamente, come conduttori del fortunato programma radiofonico di Cocina Clandestina che trasmettiamo ogni lunedì sera su Radio Veronica One.. Presidente della giuria il mitico Edoardo “Catfish” Fassio. Vi confesserò che non amo i Contest né tanto meno dare dei voti, come ben sanno i miei studenti, ma con altrettanta sincerità devo dirvi che nessuna gioia è comparabile a quella di una scoperta. Che si tratti di un giovane autore, ma anche dell’esordio di un pre-postumo scrittore, di un piatto mai mangiato o uno speciale cocktail mai bevuto, la sensazione che si ha, dal principio, è sempre la stessa ovvero un mix di gioia fisica e consapevolezza di avere avuto fortuna di trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
Quando Francesca English è salita sul palco, accompagnata dai suoi musicisti ( Egidio Perduca – chitarra, Eros Cristiani – hammond, Mauro Isetti – basso, Folco Fedele – batteria) così piccola, fragile, e la musica è partita con dei volumi, importanti, avrebbe detto Carmelo Bene, la prima cosa che ho pensato è stata: come cazzo farà mo a farsi sentire. Il miracolo, perché vi assicuro che di miracolo si è trattato, è successo quando le prime note della canzone scritta da lei, Notes and words, sono esplose e in molti, presenti in sala, abbiamo fatto davvero fatica a trattenere le lacrime.
Le braccia lungo il corpo, la “mise” semplice che sembrava dirti “ehi io sono qui per sputarvi addosso l’anima mica per fare la velina!” Francesca ha liberato un mondo popolato, una dopo l’altra dalle icone della Jazz, Blues, Soul music, regine consegnate all’eternità e di cui ti riecheggia dentro il suono verità, “Glad to be Unhappy” ogni qualvolta le si incontri. Così le ho scritto la sera stessa e non appena mi ha risposto siamo riusciti a incontrarci, appunto. Quella che segue è una conversazione che abbiamo avuto al Café des Arts, di Torino, cucina anarchica a conduzione familiare e scena underground tra le più interessanti della città.
Francesca, partiamo da te. Anni?
Ventidue
Nata a Torino?
No, a New York.
I tuoi genitori?
Papà giamaicano di Kingston e madre italiana, di Vercelli. Quando avevo tre anni ci siamo trasferiti da New York a Torino.
Alla musica non ci arrivi attraverso i canali tradizionali. Hai studiato prima al liceo artistico e poi scultura all’Accademia delle Belle Arti, come hai trovato la tua vocazione?
Grazie ai miei e alla loro sensibilità verso la musica. Mio padre suonava la chitarra, da autodidatta, ed è stato lui a introdurmi alla musica
Però non suoni dal vivo.
Non ho una sicurezza tale da poter fare su scena le due cose
La prima esperienza?
Tempo fa in un locale, un pub, con amici musicisti e mi sono accorta che avevo qualcosa dentro che voleva uscire, un’energia che non mi chiedeva altro che di esplodere. Così ho registrato quelle cover che hai visto anche tu su youtube. Un’amica di mia madre che aveva sentito i pezzi se n’era innamorata e poiché conosceva dei produttori a Tortona, che poi sono i musicisti che mi accompagnano, gliene ha parlato e siamo partiti con un nuovo progetto.
Le canzoni che hai presentato al Contest, a proposito ti auguro di vincere martedì prossimo a Verona!, le hai scritte tu?
Sì, la prima in assoluto che ho scritto per il nuovo progetto, ma che non ho presentato al contest è stata Holding your breath (trattenendo il tuo respiro) parla di questo approccio al canto, a questa esperienza per me nuova e sconvolgente. Sai, per me è stato come un vento di cambiamento nella mia vita.
La tua energia è incredibile.
Sì, soprattutto quando canto, quando mi sento in una situazione intima tranquilla, all’improvviso sento una cosa che mi travolge, una cosa molto fisica. Mi hanno detto che canto alla Janis Joplin, magari avessi quella stessa energia, ma una volta, non ricordo chi mi ha pure detto che ero una Joe Cocker al femminile, per via della postura che ho quando canto, con le braccia lungo il corpo.
E la seconda della serata?
Climbing step by step, arrampicarsi passo dopo passo, che sta per il principio del viaggio che sto compiendo
La scena torinese?
A Torino c’è una bella scena con tanti gruppi, molti soprattutto di elettronica e rock.
Ne hai scritte altre? Sai come si intitolerà l’album?
Non so ancora, quando magari avrò finito mi verrà sicuramente il titolo giusto
In italiano canterai?
Questo è un grosso dilemma. (sorride) In italiano non mi viene naturale cantare, come se fossi divisa nel sangue, non so come spiegarti. Ho provato a cantare in italiano ma non mi viene naturale come in inglese. Quando sono in famiglia parliamo in inglese, siamo anglosassoni, che dico anglofoni,(ride) forse ho detto così per via del cognome che ho e che non c’entra nulla! Comunque istintivamente mi viene da cantare in inglese.
Delle cantanti di oggi chi consideri come tuoi modelli?
Mi ha colpito tantissimo Rachel Ferrel che è molto virtuosa, però ha un’energia sconvolgente. E Lauryn Hill, il mio idolo in assoluto.
Cucina. Giamaicana o italiana?
Cucino italiano, e non è la sola cosa italiana che vince. Il mio modo di vivere le cose, per esempio è assolutamente italiano.
Resterai a Torino?
Ho sempre pensato di vivere a Torino però un tentativo di andare a vivere fuori lo farei volentieri
In quale città, paese?
In Giamaica, naturalmente.
I commenti a questo post sono chiusi
ricorderò questo nome, è già molto brava adesso
Gigi, quando ascolterai il brano di cui parliamo nell’intervista, resterai senza parole ! effeffe
Francesca è SUPER!! ;-)
Ma.. date certe? Luoghi virtuali e non dove ascoltare i suoi lavori? Un periodo approssimativo sull’uscita dell’album c’è già?
http://www.sonicfactory.it/etichetta-discografica/francesca-english/
qui puoi trovare le infos che cerchi
altrimenti ho caricato poco fa il brano di cui si parla nell’intervista e che ti consiglio di ascoltare
effeffe
Il pezzo l’ho appena ascoltato, molto bello. Non sono riuscito a trovare effeffe purtroppo. ok, mi terrò aggiornato, grazie!
Ti chiedo scusa, non avevo preso in considerazione il fatto che effeffe non fosse il titolo di un brano bensì le tue iniziali.. -.- Grazie ancora per la dritta.
però anche io non avevo considerato che scritta così pareva proprio così . mi hai fatto ridere di gusto e di effeffe
“…e quando Elmo iniziò a suonare, capii subito perchè lo chiamavano il sax di Dio. Quel suono grave, che poteva diventare dolcissimo, mi entrò nell’anima dalla porta segreta.Mi vennero i brividi, gli scrimlizzi nella schiena, ansimai, tremai, ruttai, mi si bloccò la mandibola, piansi come un bambino, risi selvaggiamente, smisi di ridere ( o mi cacciavano fuori)e di nuovo piansi, digrignai i denti, svenni.Era come sentire insieme i rumori della giungla e quelli del metrò il sabato sera, il ruggito del leone e un gospel in una chiesa deserta, un vecchio disco gracchiante e Iggy Pop in cuffia, un carillon e un coyote, una scarica di mitra alle spalle nel vicolo e i passi dell’amata lungo le scale di casa tua, era l’inferno e il paradiso con ghiaccio limone seltz e giarrettiere e un gol in rovesciata e tornare bambini e sentirsi immensamente vecchi e sangue, rugiada sudore, garage, isole e raggi di sole dalla finestra di una galera…
[…]
Perchè Sweet Baby era bella in modo indicibile. E la sua voce era nata per duettare col sax di Elmo.Si cercavano, si riconoscevano, si trovavano, la voce di Sweet si incamminava e il sax la seguiva, la perdeva e la ritrovava, si arrampicavano in cielo insieme e insieme precipitavano, litigavano, si azzuffavano, lei lo provocava, lui le correva dietro, lei si lasciava prendere e baciare e poi lo graffiava, scappava, e lui esplodeva in orgasmo per lei e gridava d’amore e lei riappariva in cima a un ritornello e lui si avvicinava, e lei si allontanava ridendo e lui la inseguiva su per le ottave, fino al diesis più alto, e ballavano in bilico su due crome. Quando lei era triste lui la cullava, quando lui era stanco la voce di lei gli andava vicino e lo carezzava, lo spronava, pregavano insieme e insieme bestemmiavano, si raccontavano la loro infanzia crudele, il presente magico, la paura del domani.”
Stefano Benni, Bar sport 2000