carta st[r]ampa[la]ta n.47
Gentile Signorina/Signora Mariarosa Mancuso,
come vedrà dai miei commenti qui sotto la Sua tesina “Addio al radical chic”, consegnatami domenica 18 marzo attraverso il suppemento “La lettura” del Corriere della sera, è piuttosto carente. Dallo svolgimento mi sembra di intuire che la materia era per lei interessante ma che la mancanza di abitudine a scrivere in modo preciso (mi riferisco tanto alla lingua quanto ai contenuti) ha lasciato il segno, rendendo l’elaborato sciatto e superficiale.
Comincerò dall’uso dei dati che Lei ha inserito a sostegno delle Sue argomentazioni. Con riferimento alle dimissioni dell’on. Silvio Berlusconi, Lei scrive: “Le trasmissioni televisive «contro», sempre a rischio di chiusura e di censura, dovrebbero godersi la vittoria. E invece no: gli spettatori calano, lo share diminuisce (o comunque non decolla).” gli spettatori calano? Dal grafico sembrerebbe piuttosto il contrario: “Invasioni barbariche” passa da 904.000 spettatori nel 2010-2011 a 923.000 nel 2011-2012, un aumento piccolo ma pur sempre un aumento.
Sempre nell’appendice statistica, Lei mette insieme due trasmissioni di Serena Dandini, “Parla con me” e “The show must go off”, trasmesse da due reti diverse (Rai e La sette) in orari diversi e in giorni diversi. Le sembra una procedura di comparazione scientificamente accettabile? Quanto aveva preso all’esame di Metodologia?
Proseguiamo: la tesina è priva di coerenza nella dimensione temporale. Mi limiterò a citare uno dei molti strafalcioni: nella seconda colonna si parla di “un party in casa del compositore Leonard Bernstein, ospiti d’onore le Black Panthers” che sarebbe avvenuto nel 1966. Le Black Panthers? Stiamo parlando di un gruppo musicale femminile dell’epoca, come le Supremes? Forse Lei intendeva riferirsi ad alcuni militanti di sesso maschile del Black Panther Party, che difficilmente avrebbero potuto essere a New York nel 1966, visto che il Black Panther Party for Self-Defense fu fondato solo nell’ottobre di quell’anno a Oakland, in California. Il party a cui Lei fa riferimento fu tenuto in realtà nel 1970, precisamente il 14 gennaio, e diede spunto a Tom Wolfe per scrivere l’articolo oggetto della Sua tesina. Articolo sulla rivista New York dell’8 giugno 1970 che palesemente Lei non ha letto in originale.
Coerenza e omogeneità della materia trattata: Lei mescola disinvoltamente il 1970 con il 2012, Leonard Bernstein con Umberto Eco, Giorgio Faletti con Sabina Guzzanti, e addirittura Maurizio Viroli con Bernard de Mandeville: non Le sembra che il lettore, in questo minestrone, possa faticare a raccapezzarsi?
Criticando il libro di Maurizio Viroli L’intransigente, Lei definisce Il legno storto dell’umanità di Isaiah Berlin e La favola delle api di Bernard de Mandeville “due realistici resoconti del mondo in cui viviamo”. Sorvolando sul fatto che Mandeville pubblicò il suo testo nel 1714, cioè 298 anni prima del “mondo in cui viviamo”, Le sembra che due opere filosofiche possano essere definite “resoconti”? Secondo il Nuovo Dizionario Enciclopedico Sansoni un resoconto è una “relazione particolareggiata di un fatto”: i libri che Lei cita si riferiscono a fatti precisi, di cui illustrano lo svolgimento?
Spiegando le tesi di Il legno storto dell’umanità, Lei scrive che “prende spunto da una frase di Kant per mettere in guardia dalle teorie che intendono risanare l’umanità raddrizzandone a forza le storture”. Un po’ scolastico, non le pare? Da una tesina ambiziosa come la Sua ci si sarebbe aspettato una discussione critica un po’ approfondita. Per esempio, avebbe potuto ricordare che non esiste alcun “libro” con questo titolo scritto da Isaiah Berlin: fu il curatore Henry Hardy a scegliere come titolo di un volume che contiene otto saggi di argomento non omogeneo la citazione di Kant. L’edizione inglese, tradotta da Adelphi nel 1994, ha come sottotitolo “Capitoli della storia delle idee” e soltanto il primo saggio, La ricerca dell’ideale ha a che fare con il “legno storto dell’umanità”. Il saggio, che occupa appena 24 pagine, è in realtà il testo di una conferenza tenuta a Torino in occasione di un premio della Fondazione Agnelli attribuito al filosofo inglese.
Ora, Lei potrebbe sostenere che queste precisazioni sono superflue ma purtroppo non è così: la precisione filologica è una dote di cui un critico non può fare a meno (e Lei si presenta come un critico particolarmente ambizioso e severo nel Suo elaborato!). Vorrei poi aggiungere che il contesto in cui Lei inserisce la citazione mi sembra inappropriato (un errore frequente da parte degli studenti frettolosi) poiché Berlin mette in guardia “dalle teorie che intendono risanare l’umanità raddrizzandone a forza le storture”. Raddrizzandone a forza le storture è il passo chiave: nell’originale il riferimento è palesemente al nazismo e al comunismo sovietico (la conferenza fu tenuta nel 1988) e difficilmente esso può essere esteso alle teorie di Viroli, a meno che Lei non voglia sostenere che mettere in galera i ladri e i corrotti costituisce un “raddrizzare a forza” l’umanità. Posizione libertaria interessante per un seminario, ma che Lei non argomenta in alcun modo nell’elaborato.
L’altro autore citato, Mandeville, a suo avviso “mostra i pericoli e la miseria di una società totalmente virtuosa”. Sintesi ardita, non c’è che dire. Personalmente avrei scelto una frase dell’autore per sintetizzarne il lavoro: “I vizi privati, attraverso l’accorta amministrazione di un abile politico, possono divenire pubblici benefici” (p. 267 dell’edizione Laterza del 1987). Le parole chiave di questa conclusione di Mandeville sono accorto, abile e possono.
Sarebbe stato interessante affrontare il tema di come una società fondata sui vizi privati possa produrre politici abili, i quali amministrano accortamente, presumibilmente nell’interesse generale, cioè secondo un’idea di virtù pubblica. Se dobbiamo credere alla tesi di fondo dell’autore, sembra più realistico pensare che i “politici abili” usino la loro accortezza per soddisfare i loro vizi privati, ovvero mangiare spaghetti al caviale, intrattenersi con minorenni in “cene eleganti” ad Arcore o simili. Possiamo dire che questi comportamenti abbiano prodotto “pubblici benefici” all’Italia? (naturalmente, spaziare in una dimensione spaziotemporale di tre secoli è operazione intellettualmente assai ardita, che Lei avrebbe dovuto giustificare adeguatamente).
In ogni caso Mandeville sembrava meno sicuro nelle sue conclusioni (“possono divenire pubblici benefici”) di quanto Lei non appaia essere nel Suo elaborato, scrivendo nel modo tranchant che Le è consueto: le parole d’ordine di Occupy Wall Street sono “banali e generiche”, gli “anti-moderni hanno ormai dalla loro soltanto Beppe Grillo”.
Infine, sono rimasto estremamente deluso dal piccolo, e inutile, plagio, da Lei commesso dove scrive “Ha vinto l’Italia che piace ai radical chic: (…) se tira tardi la notte è per leggere Kant”. L’immagine appartiene a Giuliano Ferrara, che il 12 febbraio 2012, sul Giornale (p.1) aveva scritto che Viroli “è schierato con il demi-monde che legge Kant la sera”.
Peccato, devo purtroppo concludere che la Sua tesina non è sufficiente. Si ripresenti all’appello di giugno.
Molto cordialmente,
Fabrizio Tonello
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Tonello non delude mai, stavolta è perfino più brillante del solito nel fare a pezzi lo scombiccherato castello di carte costruito sul nulla dal “Corriere”. Possibile che in via Solferino non abbiano di meglio da fare che rispolverare un articolo di Tom Wolfe del 1970? E se vogliono prendersela con gli intellettuali di sinistra hanno pensato con chi sostituirli? Il povero Marcello Veneziani mica può fare tutto da solo!
Questa carta strampalata, se possibile, è addirittura superiore a tutte le altre che leggo e rileggo su ni; complimenti immensi, ovviamente: a Toniolo (e – non – a Mancuso, che già m’aveva fatto storcer naso bocca e capelli domenica), appunto.
b!
Nunzio Festa
Bello il pezzo di Toniolo ma quello della Mancuso è molto meglio e mi pare che abbia anche colpito nel segno, visti gli sforzi di puntualizzazione che Tonello ha dovuto affrontare per poter scrivere a sua volta un pezzo (peccato non sul Corriere ma su questo onesto Blog). A me il pezzo della Mancuso è piaciuto soprattutto nelle parti che riguardavano Sabina Guzzanti. Lo sforzo di Tonello va apprezzato: continui così, non potrà che migliorare.
egr. Prof. Tonello
A nome di tutti i giovani radical chic (o aspiranti tali) la ringrazio per aver così chiaramente espresso per esteso e in modo argomentato i rilievi e la perplessità che noi tutti avevamo, ma che abbiamo saputo esternare solo in forma faceta
https://dariodemarco.wordpress.com/2012/03/19/radical-shock/
Veramente il riferimento a quelli che leggono Kant non è Ferrara, ma Eco che a un evento di Libertà e Giustizia a Milano, nel 2011, che si chiamava Dimettiti!, disse: “Vado a letto tardi, ma perché leggo Kant”. La frase fu oggetto di critiche e sberleffi, era proprio la frase tipica di un radical chic.
Precisazione alla precisazione su Kant: Giuliano Ferrara aveva usato la battuta il 12 febbraio sul “Giornale”, quindi la Mancuso, riutilizzandola due settimane dopo, ha come minimo peccato di mancanza di originalità (del resto rispolverare un articolo di Tom Wolfe di 42 anni fa dice tutto). Se poi lei e Ferrara preferiscono le cenette di Arcore alle letture di qualsiasi genere affari loro.
Da incorniciare ,anche se i radical chic esistono davvero e l’infelice frase di umberto eco ne è la lampante dimostrazione perché supponente, presuntuosa e inutilmente elitaria.
io la sera leggo Maimonide.
ma io dico: ancora comprate i giornali? bah
Io a notte leggo NI.. e ora?
Io la notte sogno.