Val di Susa, Stoccarda, Wall Street:scopri le differenze
di Helena Janeczek
Proteste che vanno avanti per anni, presidi e blocchi ad oltranza, cariche della polizia con centinaia di feriti, qualcuno quasi accecato dai lacrimogeni, manifestazioni a cui affluiscono in 100.000, ripercussioni elettorali, consultazioni- persino referendarie – per risolvere lo scontro tra cittadini e politica. Tutto questo è avvenuto a Stoccarda, capitale di uno dei Land tedeschi più ricchi e conservatori: per non far scavare un tunnel, abbattere un tot di alberi, spendere denaro pubblico per l’ampliamento di una stazione ferroviaria.
Il caso di “Stuttgart 21” è solo uno dei molti esempi a cui possiamo guardare per ampliare il nostro sguardo e capire cosa non va quando si cerca di riconoscere in ciò che accade qualcosa di inquadrabile in griglie già acquisite, con o senza l’ausilio di Pasolini e di una poesia dalla lunga tradizione di citazioni a casaccio.
Dipingere la mobilitazione contro la Tav come una battaglia localistica infiltrata dalle solite frange estreme – qualcosa di arcitaliano – significa non tener conto che fenomeni analoghi accadono anche laddove non ci sono né i nostri campanilismi, né continuità antagonistiche con gli anni ’70. La crisi della democrazia rappresentativa non è un problema solo nostro, benché ne incarniamo uno stato avanzatissimo, il peggiore in Europa con la Grecia.
A Stoccarda non hanno politici inquisiti, non esiste la certezza delle infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici e sopratutto non c’è ombra di crisi. La richiesta di motivare un forte investimento statale in una grande opera non deve misurarsi con tagli al welfare effettuati in un periodo di recessione. L’economia è fortissima (ci sono nei paraggi Daimler-Benz, Porsche, Bosch e una miriade di industrie superspecializzate in innovazione tecnologica), siamo al centro dell’Europa più produttiva. Gli ultimi dati di disoccupazione per il Baden-Württemberg parlano del 4,1%, il dato più basso di tutta la Germania.
Per questo, considerando le differenze e le analogie tra i due esempi, emerge con tanta chiarezza il cuore di un problema che può anche parzialmente trincerarsi dietro a retoriche verdi oltranzistiche o assumere tratti della difesa nimby (“non nel mio cortile”), ma è essenzialmente qualcos’altro: qualcosa di nuovo e irriducibile.
La crisi della democrazia rappresentativa esplode ora, proprio perché non siamo più negli anni ’70 e nella rivoluzione non spera più nessuno, nemmeno gli insurrezionalisti tanto menzionati, mentre il senso di distanza e impotenza rispetto a chi governa e decide si è fatto vertiginoso. In questo vuoto, una battaglia per un lembo di territorio può caricarsi di valenze molto più ampie, segnando il limite di esautorazione che si è disposti a accettare. Le lotte “biopolitiche” territoriali che uniscono la No Tav a Stoccarda (c’era anche una delegazione dalla capitale sveva in Val di Susa il 25 febbraio), ma anche all’esasperazione di Terzigno o di Chiaiano, rappresentano il corollario dei movimenti contro lo strapotere dell’economia e della finanza globale, da Occupy agli indignati.
Non se ne viene a capo concentrandosi su ingenuità e debolezze, così come è troppo facile bollare la presenza dei No Tav alla manifestazione della Fiom come alleanza tra incalliti nemici della modernizzazione. La questione dei diritti – dei lavoratori o degli abitanti della Val di Susa – non è stata una piattaforma comune velleitaria. In fondo è sempre a questo nocciolo che rimanda pure lo slogan del “diritto all’insolvenza” per quanto impraticabile e, a mio giudizio, sbagliato (per appianare il debito, dovrebbero pagare di più coloro che non l’hanno ancora fatto, portando anche a un mimino riequilibrio nella ridistrubuzione delle ricchezze). Forse sul piano della comunicazione può vincere una versione semplificata, ma il ricorso alla strategia mediatica, questa sì più profondamente collaudata in Italia nell’ultimo ventennio, non fa che erodere ulteriormente la fiducia nella democrazia. Chi pensa di cavarsela convincendo l’opinione pubblica anziché i cittadini nelle sedi di un confronto, ossia su quel terreno di mediazione di cui la politica dovrebbe riappropriarsi per suo stesso vitale interesse, rischia di trovarsi un domani con chissà quante Val di Susa senza capirne il nodo né come affrontarlo.
pubblicato in versione più breve su L’Unità 13 marzo 2012
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invece che citare pasolini a casaccio potrebbero pure fare mente locale alla corazzata Potëmkin,i cui marinai non esitarono quando sentirono che la campana stava suonando per loro.Ma il nostro del resto è un paese dove i rappresentanti sindacali di cisl e uil dopo aver firmato per 10 anni qualsiasi accordo gli fosse stato sbattuto sotto il naso dal governo continuano a essere ritenuti credibili persino alla luce dello sfascio del mercato del lavoro che nemmeno i più consumati attori presenti nell’agone politico ormai riescono a negare
http://www.charlesayoub.com/music/public/uploads/music/disk2/english/2004/07-%20Cho-Chick%20it%20out%20-%20Beastie%20Boys.MP3
a proposito della vicenda no tav quale paradigma della cirsi dello stato demoliberale, lei stessa non arriva a cogliere le conseguenze ultime della sua stessa analisi: la crisi del principio di cittadinanza come status fondante la rappresentanza politica (assioma tanto della democrazia liberale che della socialdemocrazia, e forse della democrazia dell’era moderna), quale conseguenza della liquefazione dello stato nazionale come organizzazione apicale e sovrana nel più ampio contesto di impero geoeconomico. saltato quindi il principio di nazionalità, il cui spirito si riteneva espresso nelle costituzioni nazionali, divenute recessive rispetto agli organismi dell’unione (cfr. consiglio europeo di 15 gg. fa), dobbiamo immaginare che una società transnazionale aperta si riaggreghi su basi identitarie di macrointeressi (finanza, industria, professioni, ecc.) che, laddove non imbrigliati, composti e regolati, invadono sino ad espugnarlo il campo della decisione politica, oppure di specifici interessi territoriali, i quali, analogamente incomprensibili nella logica della decisione di governo nazionale, esplodono in rivolte paraluddiste (cfr. i vari “not in my backyard”, da valsusa a terzigno) interconnesse però dalla rete globale in un comune sentimento di insofferenza per un potere governativo che non sa ascoltare, né comporre, perchè è strutturalmente organizzato per decidere senza dover risponderne, salvo che marginalmente, al suo specifico interlocutore sul tema.
Apprezzo il senso che si vuole dare all’articolo, ma in mia opinione concede troppo alla vulgata ideologica (e falsa) che vuole i NoTav preda di “ingenuità e debolezze” o “parzialmente trincerati dietro a retoriche verdi oltranzistiche o assumere tratti della difesa nimby”. Vorrei capire, su che basi reali, al di là dell’opinione diffusa dal mainstream, si intende questo?
A me pare che il movimento di Stoccarda sia così tanto più maturo del movimento NoTav, e da quel che ho letto mi pare abbia tratti ben più oltranzisti (ricordo di aver letto di scontri duri e continuati tra anarchici e la polizia, e meno supporto da parte delle istituzioni locali e della “società civile” nella lotta. Ad ogni modo posso sbagliarmi, la Val Susa la conosco di persona, a Stoccarda non ci sono mai stato. Comunque, mi pare che il movimento di Stoccarda abbia espresso in molte occasioni solidarietà alla lotta NoTav). Il movimento NoTav è fatto soprattutto di “persone perbene”, ben poco ideologizzate, professionisti, piccoli imprenditori, (pochi) operai, piccoli produttori agricoli, impiegati, dipendenti pubblici. E’ supportato e composto anche da scienziati, tecnici, esperti di molti settori interessati. Alcuni di loro (360 tra scienziati e tecnici) in questi giorni hanno diffuso un appello al prof. Monti, finora rimasto senza ascolto, e di cui non si parla. E non ci vedo nulla di “campanilistico” o “NIMBY” nella lotta NoTav, tanto più che incassa ogni giorno solidarietà un po’ da tutte le parti, e sta iniziando a diffondersi come modello di protesta per battaglie simili.
Anche la “continuità con gli anni 70” è una grossa bufala.
Forse si vuol concedere qualcosa al discorso massmediatico sitav/disinformato, per rendere più “accessibile” un discorso più ampio, evitando di sbattere in faccia l’amara verità? A mio modo di vedere le cose, questa è una strategia che non paga, non ha mai pagato. Molto meglio dire le cose come stanno, per quanto “urticanti” possano essere (che poi urticanti non sono, sono solo difficili da far passare su un medium mainstream). Il titolo pure mi sembra parecchio misleading: delle differenze (che certo ci sono!) non c’è poi traccia nell’articolo, e quelle che sembra si voglia indicare implicitamente mi paiono quelle sbagliate.
Io, riguardo alle “affinità e divergenze tra i compagni di OWS e NoTav” la penso piuttosto come @Mattpumpkin che del movimento Notav dice: “è sorto un legame narrativo forte per un paese in parte troppo vecchio e piccolo-borghese per raccogliere altre, e altrettanto profonde istanze (penso ai movimenti sorti con Genova 2001, o agli OWS). L’economia, presa di petto, rimane per molti una materia dal sapore quasi metafisico per lasciarsi percepire per quello che realmente è; l’economia legata a un territorio e al suo sfruttamento, in vista di un dubbio beneficio e a discapito di una popolazione, diviene maggiormente leggibile. Storicizzabile nelle sue dinamiche, decifrabile.
E’ il passaggio da un Inside Job (inchiesta di grande forza evocativa sulla pervasività dei meccanismi economici neocapitalisti) a un Outside Job: la merda che ti risale lo scarico di casa, travestita da progresso.”
Il tuo pezzo insomma sembra voler accalappiare chi guarda con simpatia (ma da lontano) a OWS, ma pensa che i NoTav siano dei cavernicoli retrogradi e insurrezionalisti, per poi mostrar loro che non almeno all’estero non è così. Insomma: I see what you did there, Helena. Nice try, ma penso si possa far di meglio. Certo, magari in quel caso non ti pubblicherebbero sull’Unità. It’s a hard battle!
Il senso di questo pezzo voleva essere mettere sul piatto tutto ciò che fa parte della narrazione mainstream di sinistra dei Notav, per mostrare che non coglie il centro e dunque non regge. Le “debolezze e ingenuità” che citi si riferivano (nelle mie intenzioni) a indignados e OWS, non ai Notav, e della presenza solidale di Stuttgart 21 viene detto.
Capisco che tu avresti preferito un pezzo che “grida” la sua solidarietà ai valsusini, ma a me – proprio sull’Unità – sembra più utile cercare di mettere in dubbio, con calma e ragionamento, la rappresentazione dominante.
Non è quindi per autocensura che procedo così, ma perché mi sembra l’approccio più utile.
Sì, infatti, come ho detto capisco il senso e lo apprezzo. Forse il mio commento è stato ingiusto nel tono. Comunque, non criticavo certo la mancanza di solidarietà esplicita (sarebbe assurda, credo, non soltanto sull’Unità) quanto piuttosto proprio il limitarsi a “mettere sul piatto tutto ciò che fa parte della narrazione mainstream di sinistra dei Notav” che, certamente, basta già a mostrare che “non coglie il centro e dunque non regge”, ma potrebbe essere più efficace se corredato dai dati di fatto, dai punti reali. In ogni caso apprezzo quanto hai scritto, soprattutto il paragrafo finale mi trova parecchio d’accordo. La mia “insoddisfazione” era appunto per la mancanza, anche in un pezzo come questo, che dice cose giuste e oneste, di punti reali, punti che se ci fossero renderebbero esplicito il quadro desolante della democrazia italiana, e forse appunto non troverebbero posto sull’Unità, così come non lo han trovato finora. Capisco anche che il senso del pezzo non è nemmeno quello di presentare “le ragioni di una parte e dell’altra”, però mi spiace che nessuno lo faccia mai (onestamente) un pezzo così. Insomma, mi stavo lamentando.
ferme restando le questioni che pone, mi sembra però che @uomoinpolvere (che seguo e apprezzo su tumblr e twitter) sottovaluti un intervento come quello di helena, proprio nel campo in cui lo fa. l’operazione che ha portato avanti è analoga a quella che sottolineava nique la police in questo articolo:
https://www.nazioneindiana.com/2012/03/03/notav-e-lo-spazio-comunicativo-delle-istituzioni/
e che davvero è uno dei tasselli mancanti (imho) di un movimento così vitale come quello notav. ovvero lo svuotamento della narrazione mainstream sul movimento notav e sulla questione tav. cosa che si fa in termini e con strumenti retorici (in senso proprio) al di là dei dati di fatto, che già ci sono, che già circolano ma che, appunto, non trovano spazio in determinati circuiti perché vengono rifiutati a priori per come, in quei circuiti, si è strutturata la narrazione sui notav, sulla tav, sul progresso, lo sviluppo etc.
Il titolo veniva fuori da una semplice citazione ironica della Settimana Enigmistica.
Il titolo sarà anche una citazione ironica ma è fuorviante, aprendo il link stavo pensando «vediamo che altra stronzata si sono inventati per smerdare i Notav ». In realtà è un bel pezzo e credo utile per il pubblico a cui si rivolge; forse i militanti come uomoinpolvere sono talmente coinvolti in prima persona (non è una critica, anzi) che hanno meno la percezione del pensiero comune nei confronti di questa lotta. Tanto per fare un esempio, ho dovuto incazzarmi e litigare con mio padre, tirargli fuori articoli e dati che non avrebbe potuto trovare da solo (non è abbia tutta sta dimestichezza con il pc…) per fargli ammettere che forse non si tratta di fanatici ambientalisti che si oppongono al Progresso (sì, lo pronuncia con la maiuscola). E non è uno che solitamente si beve tutto quello che passa in tv. Come lui ce ne sono milioni, disinformati, forse perché superficiali, forse più interessati ad altro perché non hanno colto l’importanza della cosa e la svolta che può significare per tutto il paese, non necessariamente idioti. Il mondo non si divide in stronzi e Notav, e quindi sostengo articoli come questo, forse un po’ troppo moderati e possibilisti per i miei gusti ma che proprio per questo possono raggiungere un pubblico più ampio
E se provassimo invece a vedere le cose da un punto di vista differente, se non addirittura opposto?
Consideriamo che il suffragio universale è un’acquisizione molto recente, che è sopravvenuto ben molto più tardi dei sistemi capitalistici (questione di secoli eh, mica mesi…). In questa prospettiva allora, ciò che ci appare come una crisi forse momentanea, forse legata a una crisi finanziaria che si pretende essere contingente, potrebbe invece rappresentare il ritorno alla situazione più tipica dei sistemi capitalistici, quella storicamente di lunga prevalente.
Allora, mi chiedo se la classica accoppiata tra democrazia e liberalismo sia infondata, se i principi liberali abbiano convissuto con sistemi in grado di produrre una politica con aspetti autenticamente democratici, non sia stata soltanto la casuale coincidenza di una serie di circostanze storiche, in primis la fine di una guerra estremamente distruttiva, ed ancora la presenza di un socialismo realizzato che faceva tanta paura anche ai capitalisti più incalliti.
La mia personale convinzione è che la strada della democrazia non passa dal liberalismo e dal suo individualismo sfrenato, e ciò potrebbe forse costituire un primo elemento su cui costruire nuove forme di organizzazione politica.
Solo superando l’apparente lato buono del capitalismo, la sua controparte liberale, sarà possibile praticare una politica autenticamente rispettosa dell’ambiente, allontanndo l’umanità da prospettive catastrofiche.
Solo aprendo una prospettiva politica anche sul piano teorico è possibile uscire dallo specifico delle singole lotte, in sè del tutto giustificate e da appoggiare incondizionatamente, ma che lasciate a sè stesse possono portare soltanto o a sconfitte storiche o a un ribellismo senza sbocco.
Una delle cose più sensate che ho sentito di recente sulla questione TAV è un commento off the records riportato da un giornalista in margine all’incontro che c’è stato lunedì a Torino tra Regione, Provincia e tutti i sindaci (sia Val Susa e sia pianura) dei comuni toccati dalla linea. Il sindaco di un comune dell’hinterland di Torino ha ricordato che il suo comune ha accettato la costruzione di una discarica nel suo territorio, discarica dove sono versati anche i rifiuti della Val Susa, compresi quelli che arrivano dai comuni più fieramente NO TAV. Se avessimo fatto come loro, borbottava il sindaco, avremmo potuto tranquillamente bloccare la tangenziale per dei mesi e i NO TAV i loro rifiuti dovevano spedirseli in Germania a spese loro (magari, aggiungo io, lamentandosi del fatto che a far viaggiare i rifiuti sulla linea attuale del Frejus costa un occhio della testa e quindi con costi della Tarsu alle stelle).
Il ritorno del Troll,
capitano dell’armata degli Straw Man,
untore della sindrome TINA.
Non dimenticatevi di lui.
Egli è solo un sintomo
di qualcosa ben più grande
e terribile.
@undadoaventifacce
Che cosa sarebbe questo qualcosa di così “grande & terribile”?
F.
Là, il compagno di squadra arriva in soccorso.
Sarebbe ciò che è: “questa frotta di ego troppo innamorati del proprio io critico per fermarsi un attimo a valutare ciò che gli sta con evidenza estrema sotto il naso, senza grande bisogno di finezza critica”.
O se vuole: il consenso sociale accordato ad un sistema economico e sociale palesemente insostenibile in virtù di una diffusa incapacità a scorgere alternative a questo stesso sistema o in virtù della paura che una sua eventuale morfogenesi può suscitare, data la natura imprevedibile del risultato di tale cambiamento.
Il problema è che “ciò che sta con evidenza sotto il naso” neanche lei sembra vederlo, dal momento dal suo inesausto furore retorico neppure ne emerge una sfumatissima ombra.
Invece sono plasticamente e icasticamente visibili i nimby che possono conferire alla discarica i loro rifiuti perché, per loro fortuna, trovano a 15 chilometri da casa loro gente che nimby non è, sorda com’è alle sirene del nuovo e dell’irriducibile.
Studi:
http://www.zerowaste.org/
“il consenso sociale accordato ad un sistema economico e sociale palesemente insostenibile in virtù di una diffusa incapacità a scorgere […]”
Ah ok, pensavo si riferisse ai rettiliani
Stia bene
F.
Ah, dimenticavo:
sversamento rifiuti val di susa: straw man.
rettiliani: straw man.
(Oppure, a sa sarda:
studa)
Vincenzo, è probabile che fossero alcune contingenze storiche, politiche e economiche che nel dopoguerra hanno permesso un equilibrio tra capitalismo e democrazia. Ma qui (persino qui) non si riesce a dialogare su una questione assai concreta come la Tav in Val di Susa, per cui mi pare difficile mettersi d’accordo su un altro modello di organizzazione sociale definito grosso modo nella sua interezza, prima di mettersi a sperimentare forme diverse di partecipazione civile o anche di produzione. Del resto, sono già in molti a muoversi nella direzione di più beni comuni, più cooperazione, più sviluppo sostenibile, più stato chiamato a intervenire con intelligenza. Già quest’ultima pare abbastanza utopica, sebbene in teoria non lo sia affatto.
Ai contendenti qui sopra: pensare che la protesta contro la Tav sia essenzialmente una vicenda nimby è farla davvero troppo facile. L’interesse per il bene collettivo risulta troppo contestabile, e questo non solo per gli abitanti dei comuni più toccati dalla Grande Opera, in particolare quelli cui sono stati espropriati dei terreni.
@helena
Comunque la si pensi, è evidente che non si può trattare di un puro caso di ‘nimby’, dal momento che una parte consistente di chi protesta, anche fisicamente presente, non vive in quel territorio. La questione della TAV da un punto di vista pratico è un problema di pianificazione infrastrutturale, in cui non c’è mai una posizione ‘giusta’ o ‘sbagliata’ al 100%, ma solo una risultante del rapporto costi-benefici. Da un punto di vista politico è tutta un’altra storia. Credo esista un problema di asincronia tra movimenti e realtà fattuale, nel senso che il no incondizionato di dieci anni fa, giustificato da un progetto ‘allora’ sproporzionato e da un’imposizione non democratica, non solo è rimasto tale ma sì è ingigantito e fossilizzato, assumendo nel frattempo dimensioni simboliche pesanti. In un certo senso è aradossale che una realtà “leggera” come quella del movimento dimostri tempi di reazione così lenti. Purtroppo, come ricordava l’ottimo Bruno Manni da Lerner, recuperare il dialogo in queste condizioni è molto, molto difficile (ma non impossibile!)
@undadoaventifacce
Chi di straw man ferisce, di straw man perisce
F.
Pardon, era Bruno Manghi, che ha sempre manifestato forti dubbi sull’opera, senza mai rinunciare a un punto di vista razionale. Per capire cosa significhino concretezza e buon senso, consiglio di dare un’occhiata a questa breve intervista a Manghi, dei tempi in cui era consigliere del governo Prodi II. http://www.notav.eu/modules.php?name=News&file=article&sid=414
See, solo che lei chiama straw man una discussione sul paradigma politico alla base della scelta di fare la Tav.
Lei dice che “La questione della TAV da un punto di vista pratico è un problema di pianificazione infrastrutturale, in cui non c’è mai una posizione ‘giusta’ o ‘sbagliata’ al 100%, ma solo una risultante del rapporto costi-benefici”.
Io le ho detto che il rapporto dei costi benefici cambia a seconda di quale è l’obbiettivo della organizzazione del territorio. Il Tav è concepito secondo un’idea di massimizzazione dei proftti economici immediati di alcune aziende beneficiarie della commessa e dell’infrastruttura, in un ottica che considera la crescita economica infinita e a qualunque costo come suo obbiettivo primario e vede questo cantiere come impulso teso alla crescita economica con ricadute sulla popolazione mediante la creazione di posti di lavoro (veda la posizione della CGIL), secondo una logica funzionalista superata da trent’anni che considera l’ecosistema e l’equità sociale come mere esternalità da mantenere ai margini di qualsiasi progettualità in politica economica.
Helena ha parlato di sviluppo sostenibile, concetto molto moderato, fatto proprio dall’ONU, quindi non proprio da una banda di complottisti folli: il Tav non è negli standard di uno sviluppo sostenibile, nonostante i maldestri tentativi di farlo passare come progetto teso all’abbattimento delle emissioni di gas serra, aldilà di qualsiasi altra implicazione politica presente (eccome! Ma per lei anche quello è uno straw man) nel discorso sulla Val di Susa.
>> Il Tav è concepito secondo un’idea di massimizzazione dei proftti economici immediati di alcune aziende beneficiarie della commessa e dell’infrastruttura, in un ottica che considera la crescita economica infinita e a qualunque costo come suo obbiettivo primario e vede questo cantiere come impulso teso alla crescita economica con ricadute sulla popolazione mediante la creazione di posti di lavoro
Errore, la TAV è finalizzata marginalmente, molto marginalmente alla creazione a breve termine di occasioni di lavoro associate alla costruzione dell’opera.
Il vero lavoro associato a opere logistiche come la TAV è quello a lungo termine legato alle 90 milioni di tonnellate di merce che viaggiano ogni anno tra Italia e Francia, traffico da cui dipende in modo permanente, anche se magari in modo non esclusivo, il lavoro di decine di migliaia se non di centinaia di migliaia di persone dalle due parti delle Alpi. Se il futuro di questo traffico dipenderà in futuro da infrastutture costose e via via obsolescenti come la linea attuale, allora molto di questo lavoro sarà a rischio.
Continuo puoi a chiedere a chi avesse una idea chiara di cosa sia lo sviluppo sostenibile se in una economia basata su questo modello ci sia posto per le industrie metalmeccaniche della Bassa Val Susa e del torinese i cui operai iscritti alla FIOM entrano in sciopero per solidarietà con il movimento NO TAV.
In un ottica di sviluppo sostenibile un progetto come quello del Tav non dovrebbe esistere, nè per come è stato concepito, nè per come viene portato avanti.
http://www.cmbvallesusa.it/doc/21_pal.pdf
Il traffico di cui lei parla è già supportato dalle linee esistenti, le quali, essendo esistenti, non pongono i problemi sociali e ambientali che pone la costruzione di una nuova linea, aldilà dei modi con cui questa viene costruita e del merito dei progetti, d’impatto ambientale e sociale comunque estremamente rilevante.
L’unico barlume di utilità che poteva avere il Tav nasceva da previsioni di aumento di traffico esagerate e fondate, appunto, su un’idea di sviluppo economico obsoleta, oltre che su proiezioni deterministiche della crescita economica futura rivelatesi (come ogni proiezione basata su modelli riduzionisti) fallaci.
D’altronde, a rigore di impostazione economica liberista, ciò che importa non è aumentare i volumi di traffico, ma il valore complessivo di ciò che viene scambiato; non produzione quantitativa, quindi, ma qualitativa (il famoso “alto valore aggiunto”).
Anche il futuro delle aziende metalmeccaniche italiane è legato in parte minima (tendenzialmente inesistente, visto che se chiudono, è per ben altri motivi, come le ricadute sull’indotto delle scelte di politica industriale della FIAT, determinata ad andarsene dall’Italia non certo perchè manchino infrastrutture fatte ad hoc per lei) ad una infrastruttura come il Tav e assai di più alla capacità di innovazione e organizzazione interna che il famoso (e, nei discorsi di certa gente di area confindustriale, fumoso) sistema paese saprà dispiegare.
Tutto il resto è fuffa.
Oltre che palate di entrate a breve e medio termine per solite cricche di affari parassite, e in quanto tali votate, loro sì, a un’eterna obsolescenza culturale e tecnologica.
Ripero a oltranza che la linea storica, per i noti problemi di pendenza, tre locomitive per un treno merci eccetera, è destinata all’estinzione come linea di traffico internazionale.
Noto poi che il documento da lei proposto non è recentissimo (2006), indicando come presidente della Comunità Ferrentino, che non ricopre più questo ruolo da almeno 3-4 anni e che ora è su posizioni perlomeno possibiliste circa la TAV. I riferimenti alla TAV sono quindi relativi al progetto che prevedeva il passaggio sulla sponda sinistra orografica della Dora e non al progetto attuale. Comunque non vedo riferimenti alle realtà industriali della bassa Val Susa.
Infine l’inefficienza logistica sarebbe un ulteriore handicap che le aziende del nord dovrebbero affrontare, punto questo chiaro ai paesi del nord e centro Europa, che stanno investendo in una nuova rete ferroviaria per collegare i maggiori nodi logistici e produttivi. In Italia abbiamo tra i piedi il problema aggiuntivo delle Alpi, dovute a una discutibile ispirazione della tettonica a zolle a partire dal Cenozoico e non perfidamente collocate lì dalle solite cricche parassitarie.
Ad oggi è l’unico documento di un’Agenda 21 che riguardi la Torino-Lione, e d’altronde molte delle obiezioni ivi riportate sono ancora in piedi. Se Ferrentino ha cambiato posizione poco importa, non è un documento che per sua natura possa dirsi legato alle vicende di una singola persona, inbvece è un documento legato a doppio filo con il paradigma politico dello sviluppo sostenibile così come espresso dall’ONU alla conferenza di Rio del 1992, i cui programmi sono stati sottoscritti dallo stato italiano, giova ricordarlo. Insomma, lei non capisce o finge di non capire i contesti in cui le si propongono i documenti e gli esempi.
In Europa stanno investendo in un mucchio di altre cose (ricerca e innovazione), il Nord Italia è tutto meno che isolato (guardi i dati di traffico assoluti, se le paiono da regione isolata), se vuole vedere cos’è l’isolamento vada in Basilicata o venga in Sardegna (l’equità sociale è il terzo pilastro dello sviluppo sostenibile, lo sa?). Lei parla delle Alpi come di un problema, un ostacolo fisico ai liberi commerci. Peccato che le Alpi siano anche ambienti dotati di ecosistemi e comunità umane, non un semplice inerte incidente causato dalla tettonica a zolle (sul suo ostacolo c’è vita, non è un inerte suolo lunare, lo sa?). La sua visione della geografia è tremendamente lacunosa, se lo lasci ripetere: studi.
D’altronde questa sua è la stessa visione che si è già espressa per l’appennino del Mugello, anch’esso visto come mero ostacolo, con risultati disastrosi (a voler essere moderati) dal punto di vista del dissesto idrogeologico.
Gliel’ho già detto in tutte le salse: la visione dei territori di cui lei è portatore è una visione priva di qualsiasi credibilità scientifica da almeno 30 anni. I danni prodotti da questa visione continuiamo a pagarli sotto forma di disastri che ci ostiniamo a chiamare naturali, nonostante in genere siano disastri annunciati e più che prevedibili dettati appunto da una cattiva gestione del territorio (e quanto ci costano questi disastri, lo sa?).
Inoltre, se non vede riferimenti alla realtà industriale della Bassa Val di Susa è perchè, ancora una volta, non sa leggere. Quando si scrive che:
“questo territorio, attraversato ogni giorno da 4500 mila TIR, 110 treni, 15/20 mila veicoli, svolge già pienamente
un ruolo di raccordo tra Italia e Francia”
si sta dicendo che l’area della Val di Susa è già sede di fitti traffici, in questi traffici è ovviamente compreso anche il complesso produttivo. D’altronde per le aziende della bassa Val di Susa è molto più interessante un decongestionamento del nodo di Torino (ma ricordo dalla scorsa discussione che lei immagina che ai e dai nodi dei grandi centri dell’alta velocità le merci ci si teletrasportino).
Poi certo, quel dato sui traffici è precedente la crisi, quindi va rivisto al ribasso. Ma la crisi non è italiana, è globale, e le sue cause sono sistemiche, non infrastrutturali.
Insomma, lei può ripetere a oltranza quello che vuole, nessuno glielo impedisce, ma non pretenda di passare per sensate le sue affermazioni, che sono semplici rimasticazioni della propaganda corrente dettate da un’ottusità che posso spiegare solo con il classico narcisismo del sinistroide che vuole saperla più lunga degli altri mostrandosi più realista del re, senza accorgersi del fatto che il re è nudo.
E poi i re di un Troll, creda a me, non sanno che farsene.
Helena, come sai, misurare il tasso utopico di una determinata tesi non è un’operazione che si possa considerare obiettiva, e quindi non mi perito a definire se e quanto la mia proposta lo sia.
Tuttavia, non posso tacere sul fatto di trovare molto più utopica la pretesa di creare dentro la nostra società casematte di vita alternativa. In sostanza, non ponendosi nell’ottica di affrontare il problema del potere, probabilmente sulla base del non ritenersi all’altezza per difetto di consenso, si preferisce ritagliarsi spazi dove fingere di avere organizzato microsocietà a propria misura.
Ovviamente, credo che ciascuno di noi tenti nelle proprie scelte più personali di garantirsi un suo micromondo a propria misura, ma ciò che mi preoccupa è quando tale comportamento assume un aspetto collettivo, quando cioè il motivo dell’organizzazione non è pensarsi come portatori di un progetto per tutti, ma al contrario come progetto di separazione, di vivere l’organizzarsi con spirito settario.
Vincenzo hai ragione e infatti non intendevo proporre nessun modello di separate “isole felici” come alternativa sufficiente di cui bearsi con spirito settario. Secondo me è bene pensare sia in prospettiva ampia che misurarsi sulle cose possibili da fare sin da subito: vuoi per mostrare concretamente qualche esempio funzionante in altro modo, vuoi per comprendere la difficoltà di realizzare persino le correzioni più moderate alla rotta (come sottolinea Dado). E’ proprio per rimarcare tale difficoltà che mi sono soffermata su questo tipo di proposte.
La crisi complica le cose e di parecchio. La posizione della Cgil ne è un sintomo evidente. Il bisogno di lavoro e di reditto con cui sostenere i consumi che siano più o meno quelli minimi, esiste (la spesa, l’affitto, la luce e il gas – non la nuova auto o il nuovo telefonino), sebbene i profitti non saranno certo quelli dei lavoratori. Se vogliamo tenere il punto che nemmeno con il coltello alla gola va bene tutto, bisogna fare uno sforzo per pensare insieme le esigenze delle persone e quelle dell’ambiente. Ed è uno dei nodi che rende così difficile affrontare l’odierna siutazione.