Nazifascismo e omosessualità
di Gianfranco Goretti
Io sono un insegnante di sostegno, lavoro in classi in cui sono inseriti alunni con difficoltà di apprendimento. Anche in virtù di questo vorrei ricordare che il primo grande sterminio nella Germania nazista iniziò nei manicomi psichiatrici, con l’uccisione di 70.000 adulti e bambini disabili, gasati e bruciati. Quindi vorrei porre una domanda: chi è un omosessuale? Ripensate alla storia – del corpo, della sessualità, dell’amore, degli affetti, ma anche alla storia sociale in genere – e vi accorgerete che non esiste una definizione applicabile a tutte le epoche storiche. In altri termini, la persona omosessuale non è “catalogabile”, non è “spiegabile” in base a una sua astorica omosessualità.
Categorizzare significa chiudere la persona in un pregiudizio: e questo è il fondamento della persecuzione nazista. In Sessualità e nazionalismo, George L. Mosse, storico tedesco fuggito nel ’38 dalla Germania negli Stati Uniti, applica alla storia d’Europa dalla fine dell’Ottocento al nazismo un approccio storico-culturale. Il suo intento è di mostrare in che modo l’idea di rispettabilità borghese, il nascente nazionalismo, la teorizzazione degli stereotipi nazionali, il degenerazionismo, si incontrino e si incrocino. Tali idee in seguito si concretizzarono nel pensiero nazista e portarono alle colonie di confino fascista e all’uccisione degli omosessuali nei Lager nazisti.
I riferimenti antiomosessuali sono presenti in molti discorsi dei dirigenti del partito nazista, anche prima della presa del potere. Va ricordato che la Germania di Weimar si era mostrata disponibile ad accogliere alcune istanze del nascente movimento omosessuale. A Berlino operava un medico all’epoca molto noto, Magnus Hirschfeld, che nel 1899 aveva fondato un’associazione detta “Comitato scientifico umanitario”. Hirschfeld era un omosessuale ebreo e lavorava a studi sull’origine dell’omosessualità e sulla sessualità in genere. Creò in seguito anche un “Istituto per le scienze sessuali” con sede a Berlino. Questa fu un’esperienza di grande visibilità e di lotta politica per l’emancipazione delle persone omosessuali, forse la più importante, e non solo per la Germania. La nascita e il lavoro dell’Istituto furono possibili nonostante fosse in vigore in Germania una legge antiomosessuale, il “paragrafo 175”, contro la quale l’Istituto di Hirschfeld si batteva. La petizione che chiedeva l’abrogazione del paragrafo 175 – sottoscritta a livello internazionale da figure come Einstein, Hesse, Tolstoj, Zola, e sostenuta con forza da uno dei maggiori esponenti del partito socialdemocratico tedesco, August Bebel – arrivò al Reichstag nel 1922, e nel 1929 la Commissione penale del Parlamento espresse parere favorevole all’abrogazione.
All’indomani della nomina di Hitler a cancelliere, il primo “segnale” dei tempi a venire, fu proprio l’assalto all’Istituto per le scienze sessuali. Distruzione della biblioteca; distruzione dei lavori di ricerca; distruzione di tutto il materiale d’archivio; fuga di Hirschfeld dalla Germania (morirà a Parigi nel 1935), e inizio di fatto della campagna antiomosessuale.
Va ricordato che il paragrafo 175 aveva avuto scarsa applicazione nella Germania di Weimar; con Hitler invece cominciano gli arresti massicci e le condanne al carcere. La più massiccia ondata repressiva ha inizio nel giugno del 1934, in coincidenza con la liquidazione, probabilmente per motivi politici, dell’ala “sinistra” del partito nazista: saranno assassinati tutti i dirigenti delle SA, compreso Röhm, notoriamente omosessuale. Questo eccidio sarà direttamente rivendicato da Hitler come necessario per “ripulire” la Nazione tedesca dalla piaga omosessuale. Nel 1935 viene modificato, e inasprito, l’articolo 175. Nel 1936 Himmler crea (entro la Gestapo) l'”Ufficio speciale 2S”, organo centrale del Reich per la lotta contro l’aborto e l’omosessualità. Il numero di arresti aumenta vertiginosamente, con punte massime nel periodo 1936-39.
E’ estremamente difficile fare una stima precisa dei deportati per omosessualità a Sachsenhausen, Mauthausen, Buchenwald e Dachau. Il professor Lautmann – che ha potuto consultare il materiale d’archivio delle vittime del nazismo conservato presso l’International Tracing Service di Arolsen (Hessen, Germania) – spiega che si tratta di materiale frammentario perché i conteggi degli arrivi non sempre venivano svolti con regolarità. Inoltre la ricostruzione della storia degli omosessuali è complicata sia dal fatto che al momento della liberazione alcuni dei deportati continuarono a scontare la pena in carcere (visto che erano stati condannati per la violazione di un articolo del codice penale, appunto il paragrafo 175), sia – soprattutto – dalla difficoltà di reperire testimoni diretti della deportazione (visto che l’articolo 175 rimase in vigore nella Germania occidentale fino al 1967). Testimoniare dopo la liberazione dai campi o all’uscita dalla prigione significava anche autodenunciarsi. Si capirà inoltre che fu impossibile per le persone omosessuali, a differenza delle altre vittime del nazismo, chiedere risarcimenti per le pene subite dai nazisti, come previsto dalla legge tedesca: i pochi che provarono ebbero come risposta che la loro condanna e il conseguente internamento erano avvenuti in base ad una legge in vigore già prima del 1933. Quindi non potevano essere considerati vittime del nazismo.
In base ai dati a disposizione e alle testimonianze raccolte, Lautmann ritiene realistico parlare di circa centomila arresti, cinquantamila condanne, trentamila deportati e quindicimila vittime nei campi.
Per le dure condizioni di vita comuni a tutti i deportati, ma soprattutto perché triangoli rosa, gli internati omosessuali nei campi di concentramento perirono in una percentuale variante – secondo Lautmann – dal 60 al 90%. La vita nei campi era dura per tutti, ma in genere le testimonianze sono concordi nell’affermare che le persone omosessuali erano vittime del pregiudizio anche da parte degli altri internati. Tra le “sperimentazioni” che dovettero subire ne ricordo una, avvenuta nel campo di Buchenwald. Siamo alla fine degli anni Trenta, e un medico danese, il dottor Karl Vernaet, ottiene il permesso di avviare una sperimentazione sulle persone omosessuali. Si tratta di inserire nell’addome una ghiandola artificiale che rilascia ormoni maschili. L’esperimento viene ripetuto più volte su diversi soggetti: fallisce, per la morte dei soggetti stessi, e viene abbandonato. L’idea era di “correggere” l’omosessualità attraverso la cura con ormoni maschili.
Per quanto riguarda l’Italia, la storia è stata in parte ricostruita in base ai documenti raccolti nell’Archivio Centrale di Stato. Nel progetto preliminare del nuovo Codice penale del 1927, quello che diventerà nel 1931 il Codice Rocco, si previde l’inserimento di un articolo antiomosessuale. In seguito però l’articolo venne cassato. Nella motivazione dell’esclusione si rimanda – in caso di necessità di intervento – ai sistemi di repressione contenuti nel Testo unico di Pubblica sicurezza: il confino, l’ammonizione, la diffida. Questi strumenti saranno di fatto utilizzati, soprattutto a partire dal 1938. Quante le persone coinvolte? Siamo sicuri di trecento casi di confino per omosessualità dal 1938 al 1943; potrebbero essere di più. Non conosciamo il numero dei casi di diffida e ammonizione. In alcune sentenze complete che ho trovato, il numero delle persone ammonite e diffidate era in genere superiore rispetto a quello dei confinati. Le province coinvolte in questa ondata repressiva iniziata nel 1938 sono 59 su 90.
L’art. 528 del progetto di codice penale inserito nel Titolo VIII, “Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”, così recitava: “Relazioni omosessuali. Chiunque (…) compie atti di libidine su persona dello stesso sesso, è punito, se dal fatto derivi pubblico scandalo, con la reclusione da sei mesi a tre anni. La pena è della reclusione da uno a cinque anni: 1) se il colpevole, essendo maggiore degli anni ventuno, commetta il fatto su persona di anni diciotto; 2) se il fatto sia commesso abitualmente o a fine di lucro.”
Questo articolo riscosse molto successo. I giudizi dei magistrati e dei professori universitari dell’Azione cattolica furono quasi tutti favorevoli. Ma nella discussione finale della commissione incaricata l’articolo venne cassato. E’ interessante la motivazione che la commissione dà per il non inserimento dell’articolo 528 : “La commissione ne propose ad unanimità, senza alcuna esitazione, la soppressione per questi due fondamentali riflessi: a) La previsione di questo reato non e’ affatto necessaria, perché, per fortuna ed orgoglio dell’Italia, il vizio abominevole che vi darebbe vita, non è così diffuso tra noi, da giustificare l’intervento del legislatore. b) Nei congrui casi, può ricorrere l’applicazione delle più severe sanzioni relative ai delitti di violenza carnale, corruzioni di minorenni e offesa al pudore. E’ noto che per gli abituali e i professionisti del vizio, per verità assai rari, e di importazione o di sfruttamento straniero, la polizia provvede fin d’ora, con assai maggiore efficacia, con l’applicazione immediata delle sue misure di sicurezza, anche detentive.”
A parte la retorica nazionalista sulla purezza morale degli italiani, il retroterra di questa motivazione è in realtà indicativo di una ben precisa scelta politica. Qualcosa di simile si era già verificato in Italia con la discussione del Codice Zanardelli: un articolo analogo era stato prima inserito nel progetto di Codice e poi cassato. L’esclusione era stata motivata da una parte con l’opportunità che il legislatore non invadesse il campo della morale, e dall’altra con l’idea che tacere sui “delitti di libidine contro natura” sia più utile nella lotta per la repressione del vizio stesso, in quanto il silenzio non permette la conoscenza dell’omosessualità.
L’esperienza dei paesi europei nei quali vigevano leggi antiomosessuali era già, e sarebbe rimasta, sotto gli occhi di tutti: Oscar Wilde in Inghilterra, e Hirschfeld in Germania, solo per citare i casi più eclatanti. L’Italia scelse, dapprima col codice Zanardelli e poi con il codice Rocco, la strada della negazione della differenza, del massimo silenzio possibile. Giovanni Dall’Orto, in un suo saggio, parla di “tolleranza repressiva”: non si parli dell’omosessualità, per far sì che intorno alla persona omosessuale si creino solitudine, isolamento e nessun sentimento di solidarietà. Strategia che ha ridotto (e in parte questo è visibile ancora oggi) gli omosessuali italiani al parziale silenzio.
Ma in epoca fascista si intervenne anche in maniera diretta, con la repressione attiva, attraverso l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dal Testo unico di polizia del 1926 e del 1931. Il confino, come la diffida e l’ammonizione, venivano assegnati su proposta del questore da una Commissione provinciale presieduta dal prefetto. I motivi delle assegnazioni erano contemplati dagli articoli 164-189 del Testo unico, ma erano piuttosto vaghi e grazie a questa vaghezza fu possibile utilizzare tali strumenti non solo per i delinquenti abituali usciti assolti da processi per insufficienza di prove, o per gli “oziosi e vagabondi”, ma anche come strumento di repressione delle opposizioni politiche e, appunto, per la repressione della “pederastia” (questo in genere il termine che ho trovato nei documenti relativi ai confinati). Gli articoli del Testo unico non menzionano affatto la distinzione tra confino politico e comune, ma di fatto i due diversi istituti nascono e sono di competenza di due diverse sezioni del Ministero degli interni. Esistono quindi nell’Archivio Centrale di Stato due differenti fondi, uno contenente i fascicoli dei confinati politici, l’altro che raccoglie i fascicoli dei confinati comuni: sappiamo che i materiali di archivio non possono essere consultati se non a distanza di settanta anni dai fatti, ma l’ANPPIA (Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti) ha ottenuto il permesso, per ricostruire la storia della repressione politica durante il fascismo, di consultare il materiale relativo ai confinati comuni. Grazie all’ANPPIA siamo riusciti a consultare almeno i fascicoli degli omosessuali confinati come politici. L’amministrazione centrale infatti presentò ambiguità nel classificare i “pederasti” arrestati: alcuni furono spediti nelle colonie come confinati politici, altri (la maggioranza) come comuni.
Nel fondo dei politici sono stati trovati circa 90 fascicoli personali di persone confinate per omosessualità: di questi, 10 furono confinati prima del 1938, e il motivo per cui si mosse la questura è legato a fatti diciamo così “collaterali” all’omosessualità (denunce di terzi legati a casi di ricatto, truffe, sacerdoti denunciati dalla popolazione, e così via). Fra questi si trova l’unico caso (in assoluto) di arresto per lesbismo: riguarda una donna denunciata appunto dal marito di una sua amica, in una difficile causa di separazione.
Gli arresti aumentano a partire dal 1938: solo a Catania da gennaio a maggio del 1939 vengono confinati 44 uomini. Il documento che segue è del questore di Catania: si tratta di una serie di considerazioni che precedevano il profilo di ciascun candidato al confino per pederastia. Propongo questo testo perché è indicativo del nuovo clima che si respira in Italia. Siamo nel 1939, le leggi razziali sono entrate in vigore nell’ottobre del ’38.
“Oggetto: proposta per il confino di polizia a carico di ……
La piaga della pederastia in questo capoluogo tende ad aggravarsi e generalizzarsi perché giovani finora insospettati, ora risultano presi da tale forma di degenerazione sessuale sia passiva che attiva che molto spesso procura loro anche mali venerei. In passato molto raramente si notava che un pederasta frequentasse caffè e sale da ballo o andasse in giro per le vie più affollate; più raro ancora che lo accompagnassero pubblicamente giovani amanti e avventori. Il pederasta ed il suo ammiratore preferivano allora le vie solitarie per sottrarsi ai frizzi ed ai commenti salaci; erano in ogni caso generalmente disprezzati non solo dai più timidi, ma anche da quelli che passavano per audaci e senza scrupoli, ma che in fondo erano di sana moralità. Oggi si nota che anche molto spontanee e naturali ripugnanze sono superate e si deve constatare con tristezza che vari caffè, sale da ballo, ritrovi balneari o di montagna, secondo le epoche accolgono tali ammalati, e che giovani di tutte le classi sociali ricercano pubblicamente la loro compagnia e preferiscono i loro amori snervandosi e abbrutendosi. Questo dilagare di degenerazione in questa Città ha richiamato l’attenzione della locale questura che è intervenuta a stroncare o per lo meno ad arginare tale grave aberrazione sessuale che offende la morale e che è esiziale alla sanità e al miglioramento della razza, ma purtroppo i mezzi adoperati si sono mostrati insufficienti.
I fermi per misure, le visite sanitarie, la maggiore sorveglianza esercitata negli esercizi pubblici e nelle pubbliche vie, non rispondono più alla bisogna. Perché infatti i pederasti fatti più cauti per eludere la vigilanza della Pubblica Sicurezza ricorrono ad una infinità di ripieghi.
I più abbienti mettono su quartini con gusto civettuolo ed invitante, ricorrono ai più disparati espedienti non escluso il furto, per procurarsi i mezzi e mettere anch’essi una casa ospitale. Tutti poi per vanità, per piccole gelosie, menano vanto delle conquiste fatte che tentano mantenere a prezzo di qualsiasi sacrificio.
I giovani dall’altro (quando non espressamente invitati) sono sospinti in quelle case, alcuni dalla curiosità, altri dall’insidioso desiderio di fumarvi gratuitamente una sigaretta, e tutti, dopo aver visto, hanno voluto poi provare sicché vi sono sempre ritornati.
E’ tale presa di contatto, anche quando non sfugge alla polizia, che non può in ogni caso essere impedita, pur prevedendosene gli sviluppi e le ultime conseguenze.
Ritengo pertanto indispensabile dell’interesse del buon costume e della sanità della razza, intervenire con provvedimenti più energici, perché il male venga aggredito e cauterizzato nei suoi focolai. A ciò soccorre, nel silenzio della legge, il provvedimento del Confino di polizia da adottarsi nei confronti dei più ostinati fra cui segnalo l’individuo in oggetto segnato….”
Lo stesso stile e tono, sicuramente con minore fantasia e con minore ricchezza di particolari relativi alla vita dei pederasti (il questore di Catania sembra essere un profondo conoscitore della vita omosessuale catanese), si ha nei rapporti dei questori di Salerno, Palermo e Sondrio (che complessivamente inviano al confino 8 persone).
Il riferimento alla mutata politica razziale sembra essere la chiave per la comprensione del fenomeno in questione, la motivazione a rafforzare la repressione delle persone omosessuali.
Altri arresti, con conseguente sanzione di confino politico, si hanno a Firenze, a Vercelli e in altre città. Questi confinati sconteranno la pena (da 2 a 5 anni) in genere su un’isola, a S. Domino delle Tremiti. Il dramma che questi uomini hanno vissuto, oltre alla perdita della libertà personale, è essenzialmente legato all’arresto, all’aver subito la visita medica (all’ano, per “stabilire” se fossero pederasti o meno…), all’aver vissuto lo sradicamento e la vergogna davanti ai loro famigliari e concittadini. A distanza di quarant’anni ho rintracciato due dei catanesi arrestati: uno confinato, l’altro arrestato e rilasciato perché minorenne. Alcuni dei reduci dal confino si sposarono per ricostruirsi una vivibilità sociale a Catania.
Continuando a cercare documenti nell’Archivio Centrale di Stato, ho scoperto che nel 1943 sono ancora al confino per pederastia, a Ustica e Lampedusa, 192 persone classificate come confinati comuni. Non è possibile vedere i loro fascicoli personali (per i fascicoli dei comuni viene rigidamente rispettato il termine dei settanta anni dai fatti). Per poter ricostruire con esattezza la loro storia dovemmo aspettare almeno fino al 2013…. Sappiamo che arrivavano da 50 province italiane, segno, come dicevo prima, che la repressione coinvolse la maggior parte del paese: fra le città con il maggior numero di arresti abbiamo Roma, Vercelli, Venezia, Verona, Napoli, e ancora Catania e Palermo.
A parte il nuovo clima razzista che spiega l’aumento degli arresti, devo dire che a tutt’oggi non ho trovato direttive che autorizzino a livello centrale l’ondata repressiva. Si trattò forse di iniziative dei questori e dei prefetti, sicuramente non ostacolate a livello centrale (il Ministero stabiliva le destinazioni di confino), anzi considerate logiche in quanto rientravano nella retorica della lotta per “la purezza e la sanità della razza”.
QUESTE NON SONO COSE BELLE
I bisogni, quando sono maligni.
La coazione a ripetere.
I divieti di sosta, la dissuasione prevista
non è in base al reddito.
I giudizi affrettati a proposito
dei bastardi, dei froci e delle puttane.
Le pari opportunità.
La vita così com’è.
Gli artisti, i detenuti
e gli utenti del sesso a pagamento
che non sanno ballare.
Mangiare male,
dormire male,
scopare male,
dover dire:
Dio che fallimento,
che merda la vita!
rispondi\clicca per modificare\richiedi eliminazione=Carineria Gigantesca.
“(il questore di Catania sembra essere un profondo conoscitore della vita omosessuale catanese)” già !.. ahaahhahhahahhaha