Azione Kappa

Effe Kappa. Nuove poesie
di Franz Krauspenhaar
Editrice ZONA,
Una nota di effeffe

“Sporco sono, Milena, infinitamente sporco,
perciò faccio tanto chiasso per la purezza.

Nessuno canta con maggiore purezza
di coloro che stanno nell’inferno più profondo:
ciò che chiamiamo il canto degli angeli è il loro canto”.
Franz Kafka

Quando ho cominciato a leggere il nuovo libro di poesie di Franz, dai primi componimenti fino alla fine, risuonava in me questo passaggio della corrispondenza di Kafka con Milena. Lo avevo  trascritto per la mia tesi di laurea in filosofia dall’altisonante titolo “La questione della colpa in Karl Jaspers”, tesi discussa più di vent’anni fa e che, ora, leggendo effekappa, mi sono andato a riprendere in fondo a un cassetto per ritrovare la citazione, precisa e calzante. Ci sono degli autori in Italia, non tanti in verità, la cui opera non è carriera, ovvero successione di tappe che aspirano a un traguardo, ma  chiasso, vacarme, bruit, rumore. Frequento le pagine di FK da qualche anno ormai e so due cose, almeno. La prima, è che “tanto rumore” non è mai per nulla,  come non è per nulla nessuna rivolta per quanto destinata al fallimento, alla sconfitta. Perché uno scrittore che abbia a cuore la letteratura non può che sposare cause perdute, sedurle, desiderare di scoparsele e amarle al punto di farsi detestare per tanto amore, privarsene con un moto d’odio, certo, ma sempre per quello stesso amore. La seconda è che l’opera di effekappa,  dai romanzi ai racconti, dalle poesie fino alle esternazioni  nei social network sono come una infinitamente aperta correspondance . Franz  scrive a suo padre, al fratello, alla donna amata, ma soprattutto al lettore, ogni volta, facendolo sentire interlocutore imprescindibile. Le sue sono corrispondenze dal carcere, dal baratro, dal buio, perché in letteratura non si può prescindere dall’inferno, nemmeno quando le pagine più premiate bruciano ai fuochi fatui delle classifiche e  della notorietà a botte di televisione o di illuminati critici, al neon, néant. Delle lettere poetiche che compongono il libro ho scelto quella al suo Alter Ego, Ego Alter, in omaggio all’amico che sento, di tanto in tanto, Franz e a quello che mi porto dentro dalla più crudele infanzia, Kafka.

Kafka
Franz, quanta disperazione in quell’insetto
che ronzava sulla mia testa, una specie
di mosca viola, la metamorfosi di un sogno
all’apertura di un libro, giovinetto come
l’angoscia di chi non sa, di chi dietro
le curve dell’incanto spegne fuochi
polverizzati, senza un significato.

Franz, da un castello silenzioso,
guardava se stesso girare, là sotto,
cercare l’entrata al labirinto, taglio
netto nella gola; il suono d’urlo
non si emette, il silenzio è fuoco
di maglie strette, di prigione,
l’uomo è vinto al suo secolo
perenne, lento, giunto fin qui.
Franz, in quell’America di fossili
pulsanti e circhi folli e navi nere
e trionfanti come le piattaforme
di un vampiro. Nosferatu nel bianco
del sogno, ottuso, compagno
d’aliti nel viaggio continentale.
Franz al processo, milioni di anime
e danni e colpe scorse come pieghe
dagli anni, la colpa d’un’esistenza
fallita, grigia; sinfonica accettazione
del nulla, della perdita di un senso.

Tornando al cambiamento surreale,
di ritorno da un viaggio sopra pagine
che prima di morire lui voleva nere,
illeggibili nella sparizione; e appare
il mondo – un cupo, lungo risveglio,
un tenebroso abbandono alla calma
irreale. Franz ci abbandona al niente,
a questo dolente interrogarci.
Le iniziali mi fecero spavento, le mie stesse,
F e K e la Boemia terra d’origine
e il padre della lettera, così a trovare
ossa, piantate nelle terre uguali.
Non saprei chi sono se non ci fosse
Franz, a dimostrarmi che fui altro,
prima di poterlo sapere. Franz è il dono
d’un rampicante invincibile,
d’un verbo immenso che tiene ogni frase,
concetto, salto, discesa e origine.
Nei miei quindici anni leggevo i racconti
come resoconti di un fantasma. Cercavo
nelle note il diagramma, la spiegazione
di ciò che era inspiegabile. Leggevo
parole incomprensibili di filosofi attenti,
maniacali, votati per la vita all’esegesi.

 

Max Brod lo vedevo pesante, un macigno
sopra di lui e dentro di sé, grasso compresso
dal voto d’infedeltà. Non volle buttare
al vento le nervature del genio, volle invece
trasportare quell’opera già nata postuma
per i lunghi raccordi di pietra della storia.
Di fronte a quelle pagine erette e pulite,
distoniche, assurde, l’esistenza si spiega,
come nessun filosofo può ardire.
Nessuna sentenza certa, ma la fantasia
di ciò che ci è vicino, dentro, tra occhi
e lingua e tatto, di cui tutto ha l’impregno.
Franz tracciò le note oceaniche del moderno
sentire e del procedere senza ore,
bussole, né porti di qualunque attracco salvo.

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5 Commenti

  1. bellissimi
    grande franz
    grande furlen
    grandi momenti
    c.

    ps
    sembri quasi un rozewicz del colloquio interrotto

  2. sono molto belle queste poesie di Krauspenhaar, veramente belle. Ne avevo già letto alcune nel blog di marotta e sinceramente sono state una piacevole sorpresa.
    Francesco non sapevo che ti eri lureato sulla Questione della colpa in Karl Jaspers … complimenti ;-)

  3. queste sono le sole cose che fanno ritrovare il senso, il porto, la bussola persa nel viaggio, quando “l’uomo -che- é vinto al suo secolo” si ritrova premiato nella correspondance di un amico, di ciò che ne esalta il valore, quella cifra senza prezzo che è la sola apprezzabile stima riconoscibile che fa di chi anche può sentirsi solo uno zero infinitamente sporco un numero a più zeri che appaga, appagato dal segno che traccia l’uomo e la sua pura umanità, nell’incalcolabile “talento” della sua poesia, di scrivente e di persona.
    “Azioni Kappa” altissime!
    grazie a franz e francesco :)
    f.

  4. Penso che si porta in sé l’ombra di un fratello gemello,
    un fratello della poesia, doppia identità,
    con tentazione dell’ombra maggiore, dell’amore
    fratello del dolore,
    in Franz si sente/ si prova/ è poeta dei castelli della neve,
    sotto il cielo praghese di Milano/ è poeta del labirinto;

    senza scrivere, ho sempre sentito che la mia sorella
    era Virginia Woolf, la mia doppia identità
    fatta di impossibilità, di avere in segreto un altro corpo
    tra le spirale del fiume,
    sotto cielo del sud tanto amato, sia sempre il cielo londinese
    strappato dal suono metallico della malinconia;

    Ti leggero, Franz.

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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