Rompere la cornice

di Gianni Biondillo

Leggo i giornali tutte le mattine, mentre faccio colazione, al bar di Gianni. Che è cinese e chissà qual è il suo vero nome, ma tutti lo chiamano così, quando al bancone gli ordinano un caffè. Elena invece è il nome della proprietaria del ristorante cinese sotto casa mia. Poi ci sono Lia, Marco, e tutti gli altri cinesi che ho conosciuto nel quartiere multietnico dove vivo, pieno di Ahmed, Carlos, Arben, Yuri. I cinesi sono gli unici che prendono in prestito i nomi del paese che li ospitano. L’ho notato anche a Berlino o New York. Quando sento dire che sono una comunità chiusa, impenetrabile, trovo che questa sia l’ennesima scusa per giustificare i nostri mai sopiti sospetti.
È leggendo i quotidiani da Gianni che ho saputo della tragedia di Tor Pignattara. Leggevo e guardavo lui, indaffarato alla macchina dei caffè, e la sua giovane moglie che serviva ai tavoli. Potevano essere loro, ho pensato: Il barista che ogni mattina mi disegna un cuore sulla schiuma del cappuccino e la moglie che mi porge le brioche appena sfornate. Non so come si facevano chiamare a Roma le vittime della tragedia. So che la foto apparsa sul web della loro bambina, con quella espressione dolce e buffa, mi ha straziato. “Se i rapinatori fossero stati due cinesi, se avessero ucciso una famiglia di lavoratori italiani, cosa sarebbe accaduto nelle strade di Roma?” Questa è stata l’altra cosa che ho pensato. Ho poi immaginato scenari di violenza, pogrom, intolleranza. E mi sono vergognato. Non dei miei connazionali. Mi sono vergognato di me stesso. Di come vent’anni di politica urlata, di istanze securitarie sventolate ad ogni elezione amministrativa, di fuochi di fanatismo razzista fomentati per il proprio personale tornaconto carrieristico abbiano creato una cornice culturale così forte, così radicata, così opprimente, che ha pervaso il nostro modo di pensare e, conseguentemente, di agire.
Usciamo da questa cornice perversa, che etnicizza tutto, che ci fa credere, semplificando in modo gretto e disonesto, che tutti i mali vengano dal cambiamento epocale che ha investito la nostra società. Noi non sappiamo nulla. Non sappiamo ancora se, così come sembra dalle prime indagini, gli assassini siano italiani o meno. Ma perché, allora, doverci fare attenzione? Le vittime sono vittime, gli assassini assassini, a prescindere dai loro rispettivi passaporti. Molti commentatori in questi giorni hanno detto che Roma sembra ormai quella degli anni ’70, quella della banda della Magliana, quando, cioè, di stranieri non ce n’era neppure l’ombra.
Alemanno, ai tempi del delitto Reggiani, ha fatto la sua fortuna politica proclamando ai quattro venti l’inefficacia della “buonista” giunta Veltroni. Lui, l’uomo forte, che avrebbe saputo come mettere a posto la Capitale. Le bugia hanno le gambe corte, lo sappiamo. I delitti a Roma non sono diminuiti e ora il Sindaco, lo stesso che accusava di inefficienza il suo predecessore, si dimostra altrettanto inefficiente e scarica il barile delle responsabilità a qualcun altro, più in alto, più in là.
Rompiamo questa cornice che ammalia e ammala il nostro modo di vedere la realtà. Da quel poco che ho compreso leggendo i giornali non penso che ci sia necessariamente, nella tragedia di Tor Pignattara, una aggravante razzista. Non è detto che chi ha premuto il grilletto abbia pensato che un cinese morto valesse meno di un italiano morto. Credo invece che chi ha sparato sia convinto della sua impunità. Che sia cioè il frutto di una criminalità che si sente sempre più libera di agire senza limiti. Che siano balordi italiani o stranieri non fa differenza per me. Sono criminali senza scrupoli e devono essere arrestati. “Mica siamo animali” ha detto un negoziante romano che conosceva le vittime. Noi, lavoratori, persone. Non romani, italiani, cinesi. Noi, tutti noi, non siamo animali. A Tor Pignattara lo sanno. Gli abitanti del quartiere, le persone, i cittadini, lo sanno. La politica del petto in fuori, dei proclami televisivi smetta di urlare e dia le risposte che un quartiere popolare, in lacrime per la morte di un barista di 31 anni e di una bambina bellissima e innocente, merita per davvero.

[pubblicato su L’Unità, oggi]

Print Friendly, PDF & Email

13 Commenti

    • chi fa quelle cose non da valore alla vita umana specialmente quella di un. bimbo da nove mese he non sa nemmeno il dolore di sua matre che lo a fotto. he quelle delle gesto malvaggio e violento con mentalita di alcune bestei che. molte di loro anno°cervello piu di quanto ne avrebero loro. e tutto cio colppa.
      dei mancate controlle del.paese non controllano chi he di dascita e chi vieni.
      da fuori come lo hanno°fatto comme nel 1968 in germania ora con questo governn
      ne vedremo cose che se leporta su la conscienza comunque tanto rispetto per. chi e la su. e un incoragiamento alla signora che gli rimane il dolore la vita
      contin..con di spiacere. per i dilinguente la pena sarebe quella di un lavoro
      duro alle bon mattin al.tramonto

  1. Gianni, finalmente. Finalmente. Aspettavo come l’aria una riflessione come questa, per poter mettere assieme le visioni di chi ha le idee confuse su tutto ma ben chiare sul dovere di mandare in una caverna ben profonda gli schifosi e verognosi proclami di razzismo e superomismo utili solo all’agguantare le poltrone. Facciamo nascere tanti blog, troviamo il modo di risvegliare i nodi buoni del vivere civile, non questo scavare tane e basta. Se una volta esisteva il controllo del quartiere, del paesello, ora esiste solo il ficcanasare. Facebook potrebbe finire col diventare la suocera del villaggio globale, ma potrebbe anche essere usato come tam tam delle cose giuste. Tutto dipende dalle intenzioni, e che se ne stiano lontani i cavalcaonda.
    Chi ha altro da proporre?
    E grazie, Gianni.

  2. Bel post, davvero. Grazie. Roma è diventata in questi anni una città il cui degrado ambientale, sociale e umano si respira con l’aria inquinata dagli innumerevoli torpedoni turistici che,caso unico nel mondo, arrivano a 10 metri da piazza San Pietro. Ed è lo specchio di un degrado nazionale dove, come dice Gianni Biondillo, la cosa principale è stabilire se gli assassini siano italiani o stranieri,mentre la sola cosa che dovrebbe far tacere dal raccapriccio e far riflettere che ci governa è una pistola puntata alla testa di una bambina di pochi mesi che non c’è più.

  3. Biondillone bellissimo, non ti fa afa farti servire tutte le mattine il cappuccino col cuore da Gianni mentre la moglie ti porge le sue brioche? Ma che roba sarebbe mai? Contegno! Cambiare aria…

    Non ho ancora visto a Londra un cinese fare cappuccini, per giunta coi cuori! Guarda a cosa li avete ridotti… Una delle civilta’ piu’ antiche del mondo!

    :-)))))))))))))))

  4. Gianni, capisco l’amarezza per un pluriomicidio (che se il movente fosse razzista sarebbe ancora più inconcepibile e ripugnante) di tale freddezza ed assurdità, capisco e condivido; non condivido però la piega di questo pezzo che tende con una certa dose di acredine o severità a segnare una linea di gesso molto netta tra i meritevoli e i miserabili (allargo il discorso dal fatto in sé), tra gli onesti e i virtuosi da una parte e chi vive fuori dalla legge dall’altra, magari (anzi spessissimo) perché costretti (e questo non lo dici) a delinquere dalla necessità, e dalla vessazione che la stessa autorità che poi li punirà ha esercitato su di loro impunemente difendendo di fatto quella fetta di onesti che poi tanto onesti non sono e a cui i miserabili fanno comodo.
    Con ciò non voglio giustificare chi commette un delitto, men che meno se la matrice fosse-spero non sia- razzista,(anche se dovremmo avere l’onestà di dire che se è giusto che ad un reato corrisponda una pena, è anche giusto che questa pena non venga scontata in lager come quelli italiani, bensì in strutture adeguate) ma non mi piace come questo pezzo invochi delle misure urgenti, misure sentite che scagionino un quartiere che meriterebbe rispettabilità, ed in qualche modo in un tono di simpatizzante poliziesco. Mi riferisco in particolare alle ultime righe del tuo articolo.
    Il brutto di questi episodi è (oltre al dramma umano) che rimescalano nella gente quel senso di giustizia speciale, giustizia oltre il codice, che (fosse anche solo nelle chiacchiere domestiche o da circolino del tressette col morto) scivolano e scadono inevitabilmente in una difesa a bocca armata dell’idea di un ritorno alla pena di morte o di una detenzione invivibile, distruttiva per la persona e annichilente. Lo dico perché mi è capitato in questi giorni di sentire difendere la “buona vecchia pena di morte” in relazione al fatto di sangue accaduto a Roma…
    Con questo non voglio, Gianni, sostenere che tu vuoi la pena di morte o che spalleggi il degrado totale delle carcerci, ci mancherebbe so che non è così, ma bisogna quando si scrive essere anche furbi da non farsi risucchiare dai succhi avvelenati della pancia e servivere le prime stampelle a queste argomentazioni cui si arriva in un attimo; bisogna esser lucidi e mettere tanti metri di pensiero tra il proprio discorso e il discorso di chi spacca in due metà di mela la società, gli onesti e i delinquenti (perché questa spaccatura è l’anticamera del dire che la metà marcia della mela può e deve essere buttata nel cesso, andare in malora, essere espulsa e dimenticata in gattabuia), non lasciare cioè spazii, virgole, frasi all’attracco di queste code.

  5. detesto l’autoreferenzialità, ma ritengo che oltre 30 anni trascorsi (e che ancora trascorro) a occuparmi di cronaca nera e giudiziaria, soprattutto a Roma, mi offrano un angolo di visuale abbastanza completo oltre che “storico”. Le considerazioni di Biondillo sono molto pertinenti. Emotive, direi, ma tipiche di chi sa “leggere” i fatti separando la realtà dalla fuffa mediatica e propagandistica. Biondillo, è probabile che ci siano argomenti che nella propaganda elettorale non dovrebbero entrare. Soprattutto se si tratta della sicurezza delle persone. Ma la propaganda è marcia di suo. Le promesse di sicurezza di Alemanno non sono dissimili da quelle di Rutelli che aveva promesso di inaugurare la Metro C della quale, ancora oggi, esistono solo alcuni buchi con dentro operai ormai sepolti e dimenticati come l’abate Faria.
    Venendo al punto, dire “i cinesi sono chiusi” è come dire “gli idraulici sono ladri”. Frasi fatte, generiche, prive di senso. E’ però vero che nella comunità cinese c’è un forte senso della riservatezza e del pudore. Sentimenti che, spesso, sfociano nell’omertà. Ma, ovemai, si tratta di vedere se tale omertà derivi dalla malafede o meno.
    L’episodio di Torpignattara (lo dico a naso perché la situazione è tutta da chiarire) potrebbe essere un mix di tante situazioni, anche personali. Questo non ha nulla a che vedere con l’orrore che si prova a vedere un uomo e la sua bambina ammazzati a revolverate.
    Ci si riempie la bocca, poi, con la banda della Magliana. Purtroppo (o per fortuna, non so) molta gente identifica la banda della Magliana con Romanzo Criminale. Romanzo Criminale ha a che vedere con la banda della Magliana quanto Shakespeare ha a che vedere con Sorkella.
    La banda investiva i soldi con lo spaccio pressoché monopolistico della droga. Sul resto campo libero a tutte le altre forme di criminalità, compresa quella straniera che c’era, e come!. Questa è una situazione che esiste da decenni. La media degli omicidi a Roma è sempre stata tra i 35 e i 45 all’anno. Lo dico per gli amanti delle statistiche e per chi adora la propaganda. Ma dare i numeri ha senso solo quando si gioca a tombola. Bisogna vedere di che tipo di omicidi parliamo. La vita umana ovviamente ha sempre il suo valore, ma chi si riempie la bocca nei vertici sulla sicurezza o nelle trasmissioni televisive avrebbe il dovere di distinguere la criminalità organizzata (se c’è) dalle rivalità di quartiere o dalle vendette tra clan. E poi prendere le contromisure. Se si conoscono, naturalmente.

  6. Dinamo Seligneri, hai tutto il diritto di porre i tuoi dubbi, che condivido. Se tu avessi avuto l’opportunità (non era obbligatorio, ben inteso) di leggere ciò che scrivo da anni sui miei libri o in giro – su carceri, pena, periferie, degrado, solidarietà, etc. – sapresti che tutto sono tranne che uno sbirresco giustizialista.

  7. So, avendoti letto altre volte, che non sei del partito della forca. E’ per questo che ho sollevato dei dubbi (l’avessero scritto Travaglio o Montanelli non avrei perso tempo a chiedere lumi), e li ho sollevati mi pare sul testo che se da una parte inquadra felicemente un mondo che conosco, dall’altra mi pare essere scritto un tantino col fegato in mano… e su temi di sicurezza pubblica e similia è sempre pericoloso, perché di falsi tiratori di giacchette ne giran parecchi. Era per chiarire.

    saluti

  8. una lucida riflessione, perché è il tempo del parlo, dico, prometto, mi cospargo il capo di cenere, delle visite alle famiglie delle vittime, della costernazione del dolore, ma non è mai il tempo del fare: Alemanno ha promesso, ma da quando è lui ad aver preso in mano la città, la città gli sta sfuggendo dalle mani, non sa controllarla, non sa ascoltare e dunque fare, fare per chi in periferia vive ed è in balia della violenza e dei violenti; si uccide alle 9.30 del mattino in prati, quando la gente è per strada, si uccide alle 10 di sera in un quartiere che chiamare periferico è eccessivo, si uccide un padre, con una bambina in braccio, che è sua figlia ma anche nostra figlia, non ci sono distinzioni di colori, razze, estrazioni sociali, linguaggi; il linguaggio della vita è universale, come del resto e purtroppo quello della morte.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Non chiamatela Banlieue

di Gianni Biondillo
Innanzitutto: non è una banlieue. Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando. E, a ben vedere, non è neppure più una periferia. Dal Corvetto a Duomo ci vuole un quarto d'ora di metropolitana, siamo ormai nel cuore della metropoli lombarda.

Il venditore di via Broletto

di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.

Il cuore del mondo

di Luca Alerci
Vincenzo Consolo lo incontrai, viandante, nei miei paesi sui contrafforti dell’Appennino siciliano. Andava alla ricerca della Sicilia fredda, austera e progressista del Gran Lombardo, sulle tracce di quel mito rivoluzionario del Vittorini di "Conversazione in Sicilia".

Apnea

di Alessandro Gorza
Era stata una giornata particolarmente faticosa, il tribunale di Pavia l’aveva chiamata per una consulenza su un brutto caso. Non aveva più voglia di quegli incontri la dottoressa Statuto, psicologa infantile: la bambina abusata coi suoi giochi, i disegni, gli assistenti sociali e il PM, tutti assieme ad aspettare che lei confermasse quello che già si sapeva.

Spatriati

Gianni Biondillo intervista Mario Desiati
Leggevo "Spatriati" e pensavo al dittico di Boccioni: "Quelli che vanno", "Quelli che restano". Il tuo è un romanzo di stati d'animo?

La fuga di Anna

Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: