Nuntio Vobis
Avevo giurato a Nunzio che gli avrei fatto un bel ritratto per Nazione Indiana. Perché Nunzio Festa, nomen omen, ha una energia letteraria davvero notevole. Quando è il suo turno, per un reading o un intervento, non trascina i passi insieme alle idee, alla maniera dei mentecatti blasés che popolano le strade di Litteratur Village. Lui corre, lasciando che i capelli lunghi disegnino un’onda nell’aria, contagiosa e gagliarda. Ho camminato a lungo con lui tra i Sassi di Matera, pietre secolari abitate dal fumo di terribili incendi e con lui mi sono ubriacato a botte di amaro ai piedi del Barisano. Essere uno spirito libero non è, probabilmente, condizione di riuscita di un’opera, ma sicuramente un effetto. effeffe
da “Farina di Sole”
(Senzapatria Editore)
di
Nunzio Festa
Prima richiesta da ricordare: soffiargli il naso.
Mio figlio ha avuto due volte la morte.
Seconda richiesta da esaudire: massaggiargli il petto.
Due volte, è morto. Il pianto è fine fine. Sottilissimo dico. Quello che avrebbe voluto dare lui, ho concesso. Riconosco di avere fatto tutto il possibile. Gli sono stata vicino giorno e notte.
Il memoriale me lo stava dettando. In mente. Me lo passava con quella facilità che ci permetteva di comunicare. Ho preso un pezzo di quelle storie di politica e affari. Ma non ho avuto il coraggio di scrivere. Non sapevo allontanarmi dalla sedia. Non ho avuto il coraggio e la forza di scriverne. Non ero pronta per alzarmi e andare a prendere carta e penna.
Alla fine lui non mi ha chiesto esplicitamente di trascrivere, né di prendere la carta e la penna. Mi aveva richiesto invece di ricordare. Passando nella mia testa tutto quello che per mesi lo aveva frastornato. Da ora in poi sono disponibile a raccontare alla magistratura. Non mi crederanno o non saranno inclini a esserlo.
Ma da ora in poi tutto quanto mio figlio mi ha detto con i pensieri posso riferirlo alla giustizia di questa terra. Prometto che nel mio racconto ci saranno nomi cognomi e il resto del male.
Alle elementari mi hanno insegnato a mantenere i segreti. A tenere fede alle promesse. A giurare.
Avevo giurato a Nunzio di riferire soltanto alla Giustizia. La sua verità raccolta negli anni più cupi e condizionati dalle prove di altri ancora. Gli altri. Il prossimo che gli ha fatto bene e il male. A quello che è stato il mio unico figlio. Il maschio della nostra famiglia sconsacrata dagli abbandoni definitivi. Lui era il figlio che rispondeva alle colpe. Lui è stato il capro espiatorio. Ha patito più di sua sorella. E più di suo padre. Nunzio. Fino a doversi liberare dal suo ingombrante nome da civile. Spazzando via gli errori e le giustezze dei luoghi grandi e di quelli piccoli. Terza richiesta, ricordare. Per farlo devo raccontare a voce alta. Negli anni più bui.
Ora tutti mi state guardando e puntante il dito indice. Ma tentate voi l’impresa di leggere un figlio attraverso i codici di un computer. Il linguaggio del macchinario è facile da decifrare.
Certo. Escono parole in italiano direte e dico. Dallo strumento sboccano parolacce in lingua italiana. Che sono i suoi pensieri segreti. I gioielli custoditi a malavoglia. Certo, lo sappiamo. Però il computer non crea aria come i polmoni. Il computer non emette sangue come tutti i corpi umani. Le sue vene sono vacanti e pulitissime. Non ammette santi e miracoli.
Il computer, il calcolatore – diceva Nunzio quando era un ragazzino misterioso e bassissimo – , è una bella invenzione che sa leggere le menti. E comunque non è una mente. E non sa soffiare.
Mantiene in vita fino a quando i dottori e la ragione lo impongono. Nulla di altro capisce. Eppure la macchina soffre al pari degli umani. Il computer è più perfetto dell’umano, ma è quella perfezione limitata.
E’ necessario cacci tutto fuori.
Ora che tutti state puntando il dito fatevi coraggio… e ragionate meglio del calcolatore. Spazzolate il pavimento del presente di questa stanza triste invivibile immobile. Reggetemi il viso e cominciate a sentirvi quello che ho da raccontarvi della mia famiglia. Tutte le generazioni ci saranno. Le ultime. Quelle martoriate dalla sfortuna. La mia.
La mia famiglia preziosa sto per farvi scoprire. Saranno i primi nomi che vi confesso. Confiderò questi primi nomi alle vostre orecchie pulite e sante.
Nota di effeffe
A proposito del libro vorrei segnalare tre cose. La prima sulla validità del progetto immaginato da Carlo Cannella per Senzapatria. La seconda, la bella cover di Mario Bianco. La terza l’intervista che il mio amico contrabbandiere Marino Magliani ha pubblicato su “La poesia e lo spirito”. effeffe
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La prima cosa che viene in mente leggendo questo romanzo è una domanda: da che sacco esce questa farina? La risposta è che esce dal sacco della letteratura, e vien su dal fondo, come la voce dei perdenti e dei banditi.
grazie françois, e sono contentissimo tu abbia detto
soprattutto del mio piccolo inno alla libertà.
e grazie immensamente a marino.
e grazie a tutte e tutti.
abbraccio immenso.
b!
p.s. a me, come sapete bene, le vostre belle parole, le vostre carezze di vita,
mi fan più che mille copie a vender.
Nunzio Festa
[…] per l’attenzione dimostrata nei confronti di Nunzio Festa e del suo romanzo Farina di sole. Qui l’estratto apparso sul blog Nazione […]
“..Il computer non emette sangue come tutti i corpi umani….Non ammette santi e miracoli…E non sa soffiare.”
Ho avuto il piacere di leggere un bellissimo e folgorante libro di poesie di Nunzio Festa “Quello che non vedo”, un poemetto che mi ha colpito per la veemenza dei versi, l’espressività dei testi ed il ritmo incalzante. Trovo molto stimolante questo assaggio di lettura che rivela una prosa vibrante e anticonformista, un’empatia manifesta verso chi legge. Assolutamente da non perdere!
Grazie a effeffe per la segnalazione di questo romanzo.
Monica