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L’inganno della crescita

[pubblico questo discorso di Luca Mercalli sul problema della crescita, perché mi pare dica e spieghi con una certa chiarezza cose che abitualmente non si sentono molto dire, a.s.]

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28 Commenti

  1. http://decrescitafelice.it/
    Ho sentito per la prima volta il nome di questo movimento durante la trasmissione radiofonica fahreneheit (qui il podcast) da Maurizio Pallante autore di alcuni libri su questo argomento. Non ho ancora avuto modo di leggerlo. Nel giro di breve avrò tra le mani “Meno è meglio”.
    Questi post, articoli, siti, libri sono l’unico rimedio al pensiero unico dell’inevitabilità delle scelte politiche incombenti.

  2. sono anni che seguo il movimento della decrescita e mi fa davvero piacere notarne la divulgazione. “decrescita” è un modo provocatorio per indicare un nuovo sistema di convivenza civile, alternativo a quello mortifero dello sviluppo. credo si stia preparando un’epoca in cui la filosofia ritrova “il corpo” (delle persone, delle cose) perchè è da lì, solo da lì che può riprendersi il suo significato rivoluzionario. Tutto il resto appartiene alla comunicazione ed alla retorica al servizio del mercato.

  3. Sarà che sono un biologo a indirizzo ambientale, e un editor di testi scolastici scientifici, ma sono sempre più convinto che è lo studio dell’ecologia la pietra angolare per cambiare il nostro modello di sviluppo.

    Luca Mercalli dice cose sacrosante.

    All’inizio, a livello di comunicazione, ha impostato il discorso in modo troppo moralistico e poco ricco di nozioni scientifiche, poi ha finalmente citato studi recenti (che io non conosco del tutto, e questo mi fa piacere) e nominato nuovi modelli di sviluppo (la “decrescita felice” non è una provocazione, peraltro), parlato di termodinamica e altro. Ha tenuto il discorso sempre solo sull’accenno delle leggi naturali che impongono di abbandonare il paradigma della crescita infinita, di fatto rinunciando a fare divulgazione scientifica vera a propria, insistendo più che altro sull’assumere nuovi stili di vita, e questo mi sembra un po’ un peccato, perché prima di essere prescrittivi sul come comportarsi occorre convincere.

    Ha insistito sulla riduzione della crescita demografica, centrando secondo me il punto essenziale.

    Ha del tutto saltato il punto della nutrizione carnivora, strano, per uno studioso di agraria come lui. E anche il punto critico dell’acqua, l’oro blu del futuro. Ha preferito concentrarsi sulle risorse energetiche rinnovabili, tema più noto. Insomma, una mezza occasione persa, questo video, che ripeto condivido al 100%, ma comunque uno squarcio di luce quasi inedito nei discorsi di questi giorni.

    Credo occorra ricordare
    – che le risorse energetiche non rinnovabili stanno per finire
    – che una economia basata sue quelle rinnovabili impone di abbandonare il modello della crescita infinita per quello di una decrescita nei paesi ricchi fino a uno stato stazionario
    – che l’acqua è la principale risorsa da salvaguardare per il futuro
    – che per salvaguardare la risorsa acqua occorre cambiare alimentazione, rinunciando a una alimentazione in gran parte carnivora (la carne dovrebbe essere considerata un bene di lusso). Alla carne occorre rinunciare anche perché impone lo sfruttamento intensivo dei suoli e l’utilizzo di quantità assurde di cereali e soia per gli allevamenti (da cui lo sviluppo degli OGM): con la carne non si può dissetare e sfamare il miliardo di persone che vive in carenza d’acqua e di cibo. Lo dice l’ecologia, che in questo caso si basa sulla fisica ossia sullo studio del trasferimento di energia nelle reti alimentari. E’ un dato di fatto.

    In definitiva, finché a elaborare nuove teorie per uscire dalla crisi del finanzcapitalismo saranno gli economisti e non un gruppo pluridisciplinare di scienziati, sociologi, filosofi, partiremo sempre col piede sbagliato.

  4. lorenzo galbiati, concordo con il tuo intervento e soprattutto sull’indole carnivora che andrebbe quanto meno moderata per le giuste ragioni che indichi. Però insisto: “decrescita” è un modo provocatorio in quanto è un ossimoro nel senso che se si vive si cresce. Altro è lo sviluppo inteso in senso economicistico e non sociale, deputato a decretare in una manciata di anni la fine del sistema terra. Un po’ come il sistema di rilevazione AUDITEL è al servizio di alcuni particolari interessi e condiziona in modo scorretto il mercato della pubblicità (tanto che la trasmissione “servizio pubblico” di Santoro, pur contando su milioni di ascolti, è stata penalizzata dalle rilevazioni auditel – http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/15/santoro-il-vecchio-sistema-non-ci-ammazzer/177607/ ) così il PIL serve una particolare visione di sviluppo economico a vantaggio di poche famiglie/industrie petrolifere a scapito della umanità

  5. Molto stimolante; da ignorante butto giù le cose che mi fa venire in mente.

    “Più in là andiamo e più ci arrogiamo che l’elenco delle cose fondamentali termina con poche DECINE di temi”. Pochi, soprattutto poco costosi (istuzione, sanità, trasporti, etc) e facilmente estendibili a tutti gli abitanti della terra.

    Mercalli dice che oggi “siamo nell’era del superfluo” (intesa come era in cui moltissime persone si possono permettere di comprare cose superflue), ma io non credo che lo saremo ancora per lungo tempo (forse tra 10 anni le cose saranno molto diverse).

    Il modello di “comprarsi tutti il suv e lo yatch” sarebbe il modello della maggioranza degli italiani? Mi sembra azzardato e sul “lavorare meno” Mercalli mi fa ridere: come se fosse il lavoratore (sia esso dipendente o para-autonomo) a decidere quante ore lavorare (qui Marx sarebbe di aiuto a Mercalli).

    Mercalli parla di “un mondo leggero in cui le relazioni avvengono via internet” per limitare il” trasporto pesante”; ma se il commercio si sposta inesorabilmente su internet avremo tantissimi camion e mezzi vari che girano in Italia consegnare pacchi e pacchetti a persone che acquistano on-line perché così risparmiano ed hanno più tempo per loro.

    Riguardo al «picco del petrolio» a cui accenna Mercalli un semplice ingegnere che ha lavorato tutta la vita all’ENI (si è occupato tutta la vita solo di petrolio e di energia, non dell’universo-mondo) ha detto 3-4 anni fa: molti studiosi (Heinberg, Shah, Leggett, Corazza, Zorzoli, Ragazzino, Rampoldi, Rifkin, Roberts, Laurent, Bardi) diffondono il pernicioso principio del «picco del petrolio» ovvero fanno previsioni relative al fatidico momento dopo il quale dovrebbe iniziare il declino più o meno drammatico della produzione mondiale di petrolio; alcuni di questi studiosi (Campbell e il geologo Deffeyers) rinnovano frequentemente le previsioni sul picco (Campbell parlò del 2003 poi del 2005 ed infine del 2010; Deffeyes parlò del 2003, poi del 2005 ed infine del 2009), altri rimangono sul vago (Magoon afferma che il picco avverrà tra il 2003 ed il 2030; Laherrere lo prevede fra il 2010 ed il 2020). Il vero grande assertore delle tesi relative al «picco di Hubbert» è il geologo Colin Campbell che già nel 1998 scrisse: «La quantità di petrolio nascosta nelle viscere della terra è ormai definita. Il mondo è stato completamente esplorato», ma nel 2003 furono scoperti ben 43 grandi giacimenti, senza contare sabbie bituminose e scisti bituminosi. Insomma come si può parlare di picco del petrolio (l’arrivo alla metà delle riserve disponibili di petrolio) se non sappiamo quanto petrolio possiamo estrarre e se grazie alle tecnologie troviamo continuamente nuovi giacimenti?

  6. Naturalmente sull’eccesso di popolazione nemmeno una parola…
    Sovrappopolazione: il problema più evidente di tutti e quello che nessuno vede… è come l’aria.
    Ah, già, la bassa natalità …

  7. BeR
    C’è anche chi aveva previsto nel breve periodo guerre nei paesi arabi ossia petroliferi fin dall’inizio degli anni Ottanta (Rifkin, Entropia, 1982 credo) a causa della parabola discendente dell’economia basata sul petrolio, che comunque, picco, o non picco, è già iniziata.

    E’ vero che le previsioni sul picco del petrolio sono sempre spostate più in avanti, ciò non toglie che resta una fonte non rinnovabile, ossia che consumiamo a un ritmo enormemente più veloce del tempo che occorre per produrla, e c’è da chiedersi se gli investimenti fatti per scoprire nuovi giacimenti ed estrarre petrolio valgano i risultati ottenuti, considerando che sono investimenti che potevano essere spesi per energie rinnovabili.

    Massimo, ma di che diamine stai parlando?
    Prova a sentire il video prima di commentare.

  8. Ottimo contributo. Spero siano in tanti a vederlo e tra questi il prof.Monti che, anche questa sera alla Camera, non ha perso l’occasione per ribadire che, secondo lui, ciò che manca all’Italia ed all’Europa è la crescita!

  9. Premesso che le energie rinnovabili sono tante (eolica; idraulica cioè l’idroelettrica basata sui salti d’acqua, l’energia derivante dalle maree e l’energia derivante dalle correnti marine; solare cioè termica e fotovoltaica; geotermica, biomassa di origine vegetale e di origine animale; idrogeno) bisogna ricordare la percentuale di energie rinnovabili rispetto al totale del consumo mondiale di energia: 6% nel 1955; 7% nel 1965; 5% nel 1975; 7% nel 1985; 7% nel 1995; 6% nel 2005. Il picco storico dell’utilizzo mondiale di energie rinnovabili è avvenuto intorno al 1990 con un valore superiore al 7% sul totale dell’energia consumata nel mondo; da allora l’incidenza delle fonti rinnovabili sul totale dei consumi mondiali è andata calando anche se in valore assoluto i consumi delle energie irnnovabili sono aumentate (da 515 milioni di tep nel 1985 ai 610 milioni di tep nel 2005 con un aumento di quasi il 20% in 20 anni). A partite dal 2005 la tendenza allo sviluppo delle energie rinnovabili si è invertita poiché l’alto prezzo del petrolio le ha rese più economiche; il trend indica una incidenza di circa 1750 milioni di tep nel 2030. Insomma, stiamo parlando sempre di numeri microscopici.

  10. un appunto
    non sono esperto di economia, ma l’idea che lavoriamo tanto per comprare tanto mi fa sorgere un dubbio: molti di noi lavorano molto solo per tirare avanti, specialmente nelle grandi città, perché i costi sono altissimi, a cominciare dalla casa. Se lavorassero quattro ore passerebbero il resto della giornata e anche la notte seduti su un marciapiedi.
    Mi viene da pensare che lavoriamo tanto per produrre e soprattutto vendere tanto superfluo, penso ai servizi in genere ed ai servizi commerciali in particolare, per quell’arcano principio della circolazione del denaro.
    Qualcuno più esperto può dirmi se la differenza tra lavoro per comprare e lavoro per produrre può cambiare la prospettiva delle ottime riflessioni di Luca Mercalli, o se c’è una diversa chiave di lettura?

  11. BeR
    Non so di cosa tu stia parlando.
    A me risulta che le energie rinnovabili coprivano già nel 2002 oltre il 13% dell’energia totale prodotta
    http://www.greencrossitalia.it/ita/educazione/energie_di_pace/energie_rinnovabili/energie_rinnovabili.htm
    e nel 2008 abbiano superato il 16% dell’energia totale; inoltre producono circa il 20% dell’energia elettrica totale.
    http://translate.google.it/translate?hl=it&langpair=en|it&u=http://en.wikipedia.org/wiki/World_energy_consumption
    In Germania le rinnovabili sono al 16% e si prevede di arrivare al 60% nel 2050.
    http://www.ambbaku.esteri.it/Ambasciata_Berlino/Menu/I_rapporti_bilaterali/Cooperazione_economica/Settori_merceologici/Energia/

    Negli ultimi 20 anni la produzione di energia da fonti rinnovabili è aumentata moltissimo, solo che in percentuale rispetto all’energia totale prodotta questo si vede poco dato che è aumentato moltissimo il consumo dell’energia totale: come vuole il paradigma della crescita illimitata che stiamo qui cercando di contestare.
    Inutile dire che grazie al continuo abuso delle fonti non rinnovabili ossia di carbone e petrolio l’aumento dell’effetto serra sta arrivando sempre più vicino a punti che segneranno eventi climatici catastrofici.
    Si legga per esempio qui
    http://it.peacereporter.net/articolo/32023/Morire+di+sete%3F+Da+Durban+a+Forl%26igrave%3B+avanza+il+deserto
    Poi, da Berlino 2004 si è deciso che nell’UE entro il 2020 l’energia rinnovabile dovrà coprire il 20% di quella totale. Non credo verrà rispettato questo obiettivo, e del resto non viene mai rispettato nessun impegno preso di tipo ambientalista, basti pensare al protocollo di Kyoto. E infatti siamo in una situazione sempre più disastrosa.

  12. @ mario rossi

    Nemmeno io capisco di economia, ma mi viene in mente, per aggiungere qualcosa alle tue opinioni, la frase di Emile Zola che forse indica quanto è problematico (purtroppo, vorrei chiarire che io spero che le ricette di Mercalli siano giuste e percorribili) il concetto della decrescita: “È l’eccesso che genera il necessario”. A questa frase si può aggiungere la Regina Rossa di Lewis Carroll: “Now, here, you see, it takes all the running you can do, to keep in the same place”. Forse l’eliminazione di quello che consideriamo “eccesso” avrà un grosso effetto su quello che consideriamo “necessario” (anche perché, come dice Mercalli la dimensione del necessario è costituita da “POCHE DECINE DI TEMI”).

    Speriamo in bene, cioè per la decrescita felice.

  13. Lorenzo, hai scritto:

    A me risulta che le energie rinnovabili […] nel 2008 abbiano superato il 16% dell’energia totale;

    A dire il vero il link di Wikipedia che riporti tu mostra chiaramente che nel 2008 le energie rinnovabili hanno fornito il 12.8% dell’offerta di energia totale (le righe Hydro=2.2% + Other RE=10.6% della tabella “Energy by power source 2008”), in linea con la fonte per la tabella riportata da Wikipedia.

    Al di là della curiosità di sapere dov’era sulla pagina di Wikipedia il valore del 16% riportato da te, la differenza tra 13% o 16% non è poi così fondamentale nel contesto di questo discorso: di strada ne dobbiamo ancora fare molta.

    Più interessanti e rilevanti per un discorso sulla decrescita sono i dati sul consumo, ad esempio quelli riportati nel documento dell’ambasciata tedesca linkato da te. Li riporto in percentuale anziché in terawatt-ora:

    Industria 39.87%
    Abitazioni private 25.21%
    Commercio e artigianato 13.37%
    Impianti pubblici 8.05%
    Trasporti 2.95%
    Esportazioni 10.55%
    Totale 100.00%

    Da notare come un quarto dei consumi energetici in Germania sono attribuibili alle abitazioni private (riscaldamento, illuminazione, elettrodomestici), mentre meno del 3% è attribuibile ai trasporti.

  14. Ancora una cosa, Lorenzo, non confondere il tema delle energie rinnovabili con quello dei gas serra: alcune forme di energia non rinnovabile non contribuiscono a gas serra (nucleare) ed alcune forme di energia rinnovabile contribuiscono ai gas serra (biomasse).

  15. Pensieri Oziosi,
    nel link di wikipedia tradotto, puoi trovare:
    “A partire dal 2010, circa il 16% del consumo finale di energia mondiale proviene da fonti rinnovabili, con il 10% provenienti da tradizionali biomassa , che viene utilizzato principalmente per il riscaldamento , e del 3,4% da energia idroelettrica “.

    Per quanto riguarda i gas serra, ho specificato: “fonti non rinnovabili ossia carbone e petrolio”.
    Per quanto riguarda la produzione di diossido di carbonio dalle biomasse, i combustibili derivati dalle biomasse,ossia i biocombustibili, non comprendono i combustibili fossili (petrolio, carbone, metano) poiché, nonostante siano anch’essi prodotti dalle attività biologiche su materia prima derivata dalla biomassa, questi immettono in atmosfera diossido di carbonio che in parte non torna più nel ciclo del carbonio, impoverendo così le riserve terrestre di composti fossili del carbonio. I biocombustibili sono invece fonti rinnovabili in quanto il diossido di carbonio emesso per la produzione di bioenergia è sostanzialmente lo stesso che tornerebbe in atmosfera con la decomposizione naturale della biomassa. In pratica, la produzione di bioenergia non altera il ciclo del carbonio.

  16. Visto che mi occupo professionalmente e per ricerca di sostenibilità e dematerializzazione dei cicli produttivi e di consumo provo a dare alcune note:
    1. sulla decrescita dei consumi: si deve passare prima per un cambiamento dei processi di produzione e di distribuzione che utilizzino meno energia e materiali che permangano nel sistema più a lungo. E’ possibile studiare quanto materiale sia inserito in un prodotto e servizio considerando tutto quello che viene estratto o
    2. le fonti di energia rinnovabile sono tante, ma occorre vedere non solo gli impatti in fase di esercizio dell’impianto, ma anche nella fasi precedenti considerando la vita utile dell’impianto, come è stato prodotto e per il combustibile rinnovabile come questo deve essere trattato al fine di produrre energia. Inoltre si valutano anche gli shift intra sistema economico. Ad esempio la biomassa da scarti agricoli che in origine veniva usata per gli allevamenti come cibo o veniva sparso nei campi come emendante viene spostato nella filiera di produzione energetica (più termica che elettrica) con depauperamento delle coltivazioni che devono ricorrere ad elementi chimici e per gli allevamenti che vanno verso mangimi acquistati.
    Considerando questi shift il potenziale di biomassa disponibile realmente è molto inferiore a quanto inserito in letteratura o stimato a livello europeo.
    3. Tutte le attività umane hanno un impatto sull’ambiente e richiedono energia per funzionare compresi i cicli di recupero dei rifiuti, le industrie che producono pali eolici, gassificatori per biomassa.
    4. sui processi individuali di consumo partiamo dal domandarci se abbiamo bisogno della funzione dell’oggetto che abbiamo di fronte e che stiamo per acquistare, se sappiamo i costi in termini ambientali, se ci sono modalità di condivisione con altri dell’oggetto se lo useremo saltuariamente, se possiamo soddisfare le nostre necessità con attività meno impattanti.

  17. Non sapevo la professione di Maria Luisa e mi auguro voglia dedicare in futuro spazi su NI sul problema del consumo energetico.
    Alcune domande o osservazioni.
    1 La decrescita dei consumi. Perché aspettare i cambiamenti del sistema produttivo? Si possono già fare delle scelte responsabili nel senso di minore consumo e minore spreco fin da oggi.
    2 Non so quanto dica la letteratura scientifica circa il potenziale di biomassa disponibile, so che il problema del rendimento energetico della biomassa è molto discusso, specie per i primi biocombustibili. Pare che Maria Luisa sia molto scettica sul beneficio di questo tipo di energia rinnovabile. Su cosa puntare allora?
    4 Questo punto pare dire che non occorre aspettare il cambio di assetto produttivo per fare decrescere i consumi. Le scelte individuali peraltro possono anche essere favorite da normative legislative. Credo che un concetto che occorre divulgare il più possibile sia quello di impronta ecologica, che ne pensa Maria Luisa?

    • Provo a dare una risposta puntuale e poi ne parleremo in modo più ampio e dedicato. Anzi grazie Lorenzo che mi fornisci questi punti di riflessione.
      1. Parlerei di riduzione dei consumi e di decrescita dei materiali/energia utilizzati per soddisfare una necessità di funzione. Mi spiego. A livello individuale il consumatore può agire attraverso questi passi: a) rendendosi consapevole dell’impatto del servizio/prodotto che acquista e del bisogno che questi vanno a soddisfare b) chiedendo e ragionando sulle possibili alternative al suo comportamento c)agendo attraverso una richiesta al mercato per avere un prodotto/servizio con meno impatto diretto e indiretto. Fatto questo – considerando anche quanto gli costa in termini monetari e di tempo cambiare i propri consumi – poi non può agire oltre. La dematerializzazione delle produzioni invece è il punto nodale. Si riducono i consumi, ma non si riducono le funzioni (alimentari, abitative, di mobilità, istruzione etc) espresse da una popolazione che cresce costantemente. Dunque occorre ripensare i processi produttivi in modo da ridurre al minimo i costi ambientali. Qui si può parlare di decrescita di quanto viene prelevato in termini di risorse naturali (materiali ed energetiche) per creare prodotti e servizi.
      2) Il modello di produzione/consumo energetico per il futuro passa per un abbandono di uno scenario tradizionale con un unico combustibile (petrolio) che copre tutti i fabbisogni in qualsiasi area e per qualsiasi utilizzo (mobilità, uso residenziale, industriale/agricolo) per lasciare spazio a modelli d’area locale, con valutazioni circa il combustibile rinnovabile più a disposizione nell’area e con valutazioni circa il costo ambientale ed economico dell’utilizzo che si inserisce nell’area rispetto a quella risorsa naturale (sole, biomassa, vento). La biomassa non è IL nuovo combustibile, ma uno dei possibili che però richiedono politiche ben precise e di tutela delle aree in modo che non si vada verso un depauperamento locale o peggio verso il prelievo di risorse in altre aree più vulnerabili (l’impianto di Sellero in Lombardia con combustibile che proviene ora dai paesi dell’Est Europa è un ottimo caso di errore circa dimensioni impiantistiche e disponibilità delle fonti locali di biomassa legnosa.

      • L’impronta ecologica è uno degli artifizi di misura che si utilizzano per poter comparare in modo sintetico diversi stili di vita, oppure differenti situazioni su differenti scale (scelte individuali, aziendali, territoriali locali, di nazione).
        L’impronta ecologica in questo senso coglie e cerca di risolvere una questione aperta: come mettere in relazione il singolo gesto individuale con gli effetti ambientali che sono misurati su scala globale.
        http://footprintnetwork.org/en/index.php/GFN/

  18. Maria Luisa mette a fuoco un punto fondamentale dell’ambientalismo, il fatto che si tratta di questioni maledettamente complicate, e che richiede pertanto competenze a volte anche sofisticate, tanto sofisticate che può facilmente capitare di commettere errori madornali nello scegliere determinati comportamenti rispetto ad altre alternative.
    Ciò pone un problema politico molto rilevante, come preservare la partecipazione di tutti alle decisioni collettive. A me pare, come del resto proponevo già nel mio libro, che bisogna andare a un grande processo di delegiferazione, una nuova forma di ripartizione tra aspetti più squisitamente politici, da affidare alle leggi e quindi all’attività parlamentare, e gli aspetti preminentemente tecnici, da demandare appunto ad organismi tecnici. In sostanza, le leggi dovrebbero riguardare prevalentemente le finalità delle scelte più che le concrete modalità attuative. Naturalmente, mi rendo conto che la ripartizione di cui parlo non è essa stessa una questione banale, ma la direzione mi pare dovrebbe essere questa.
    Sul problema energetico (che però si interseca nel settore produttivo con quello delle risorse in termini dei materiali), volevo sottolineare come sia del tutto vano tentare di affidare tutto allo sviluppo di procedure alternative di produzione. Certamente, lo sviluppo delle conoscenze scientifiche ha già dato preziosi contributi allo sviluppo di tecnologie alternative, ma la via maestra rimane sempre quella del contenimento nei consumi energetici.
    Qui, si pone probabilmente il punto cruciale di natura politica, come affermare l’assurdità di qualsiasi assetto economico che necessiti obbligatoriamente della continua crescita dell’attività produttiva, quella crescita che ancora ai nostri giorni, e non in un lontano passato, viene invocata praticamente dall’intero schieramento politico come panacea di tutti i mali.
    La parola “decrescita” non mi piace, lo dico chiaramente, perchè mi pare in qualche misura confermare una subordinazione della politica all’economia, seppure in senso opposto a quello prevalente. Il punto non è decrescere, ma è negare che la crescita economica possa costituire un fine in sè senza specificare in cosa si cresce, e quindi anche in cosa si debba decrescere.
    Sulla mia personale visione in riferimento alle teorie esistenti in materia, vi rinvio ad alcuni miei post sul mio blog:

    http://ideologiaverde.blogspot.com/2010/07/decrescita-e-politica.html
    http://ideologiaverde.blogspot.com/2010/07/decrescita-un-chiarimento-in-senso.html
    http://ideologiaverde.blogspot.com/2011/05/le-ingiustificate-certezze-delleconomia.html

    Infine, riguardo allo specifico tema energetico, credo di essere in buona compagnia considerando la fonte biomassa come insoddisfacente a partire dal fatto che i terreni coltivabili sono limitati e quindi si pone subito la competizione tra utilizzi energetici ed alimentari.
    Non vorrei che si vada verso processi di deforestazione che potrebbero avere un duro impatto sull’effetto serra, magari per evitare quello che si genera dall’utilizzo dei combustibili fossili. A tuttooggi, non è del tuto vero che tale risorsa sia in esaurimento, non almeno per quanto riguarda il carbone, che a mio parere potrebbe essere usato purchè non si superi un certo livello quantitativo, malgrado proprio per il carbone l’effetto serra sia massimo per unità energetica prodotta.

    • Concordo pienamente sull’aspetto politico della questione.
      E’ vero che non sappiamo ad oggi quanto petrolio avremo a disposizione nel futuro. E’ divertente vedere come i fondi per la ricerca e sviluppo nel settore delle energie rinnovabili abbiano un andamento inversamente proporzionale all’andamento del prezzo del barile di greggio battuto sui mercati.

  19. Quando sento “Convivialità” io intendo amore. Amore come comprensione, ascolto, rispetto, aiuto, fiducia, perdono, sostegno e molto altro.
    Sono convinto che questa sia la strada. In effetti, sfido chiunque a contraddire, navighiamo nel superfluo, ci vediamo poveri, in certi casi, quando siamo tra i più ricchi del mondo.
    Se imparassimo davvero a utilizzare le cose davvero necessarie e fare posto al rapporto con gli altri, alla cura di noi stessi 8che non è il centro benessere!), alla cultura, all’amore per la natura, vivremmo tutti in un mondo migliore.
    I soldi sono un mezzo, ma ne abbiamo fatto un fine.
    Io credo che dovremmo cominciare dal piccolo, cambiando il nostro stile di vita e diffondendo la nostra esperienza.
    Se la casa è di proprietà possiamo arrivare a vivere con 5-600 euro (a persona) al mese senza problemi, forse anche meno. Così davvero avremo bisogno di lavorare meno, e potremo vivere di più

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, dopo un ottimo liceo classico, una laurea in fisica a Pavia e successivo diploma di perfezionamento in fisica teorica, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Negli ultimi anni il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, raggiunta l’età della pensione, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia (Mimesis 2012). Ha quindi curato il voluminoso carteggio tra Wolfgang Pauli e Carl Gustav Jung (Moretti & Vitali 2016). È anche redattore del blog La poesia e lo spirito. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.
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