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Baci Scagliati Altrove

di DaniMat
Sandro Veronesi, Baci Scagliati Altrove, pagine 184, Fandango.

“All’età di undici anni, Mete barattò un pallone di cuoio regolamentare, nuovo di zecca e completo di ago, con la carabina Flobert di un compagno di scuola”– questo inizio, folgorante, apre il racconto La furia dell’agnello, settimo dei 14 messi insieme nella raccolta Baci Scagliati Altrove appena edita da Fandango. Un inizio folgorante che ho riconosciuto subito: apriva La tartaruga, racconto selezionato tra i molti di autori vari che composero nel 1990 il primo numero, dedicato al tema La Paura, della rivista Panta, ideata e fondata, con Elisabetta Sgarbi, da Pier Vittorio Tondelli che la diresse per i primi quattro numeri prima di morire di AIDS. Un racconto che ha conservato la sua semplice potenza e ora in quel titolo, allo stesso tempo simbolico e ossimorico, trova la sigla ideale, centrata, buona a fare il paio immediato con quell’incipit che, contro ogni previsione, ci introduce subito a una stranezza: un ragazzino, geloso possessore di un vero pallone di cuoio, rinuncia ad esso in un attimo, risucchiato nella promessa di eccezionale, inappellabile ferocia agitata da un fucile.
Proprio questo è il punto. Anzi, due.
Questo racconto in particolare ci trascina in una escalation di furore che, come altrove nel libro, ma qui un bel po’ di più, ci fa affacciare sul baratro del rovesciamento di fronte, tenendoci desti e vigili sempre con un brivido che sta lì a segnalarci paura, senso del pericolo, inerme inadeguatezza di chi è solo come chiunque di noi a fronteggiare caso e destino. Che dire del resto del pauroso buco nero da cui ‘il ventre della macchina’ del racconto omonimo (titolo ricalcato sulla raccolta di saggi, Nel ventre della balena di George Orwell, caro al ‘nostro’) occhieggia fin dentro l’abitacolo di un’automobile a quel che percepiamo spartana, disadorna? Non si tratta solo di un pozzo senza fondo, reso orrendo dal buio misterioso con cui e’ identificato e dalla sua incontenibile vastità, ma in sovrappiù di un agente di orrore imprevedibile che riesce a invadere il ristretto abitacolo, come un diavolo in agguato che riesce a venire fin dentro la vita intima di chi abita quella macchina. E fa il paio con la scarpa di donna che dall’esterno ammara al centro del soggiorno, da fuori fin dentro casa, e rovescia, riaprendolo al secolo, il ménage monastico, tutto casa figli scuola e lavoro, condotto per anni dal protagonista.
Ora, poiché non contano solo i termini costitutivi di un sistema ma soprattutto in che modo e secondo quali dinamiche essi si rapportano l’un l’altro, ciò che conta qui non e’ solo il risultato (l’agente esterno che si presenta a dire che fuori c’è il mondo con le sue ingerenze potenziali e le sue temibili minacce, come in certe pièces di Harold Pinter per esempio, cioè come nel Teatro dell’Assurdo, della Crudeltà, della Rabbia e della Violenza): conta ancor più il percorso a ritroso che si attiva e sussiste a partire dall’irruzione di quello stesso agente, e ci fa inquadrare piuttosto, e meglio, chi ne e’ snidato, ce lo fa mettere bene a fuoco, ce lo svela limpidamente proprio mentre quello lavora a mimetizzarsi.
Decisamente illuminante a tal riguardo un passaggio di Profezia, piccolo miracolo di volteggio sul trapezio con tripli salti mortali e piroette aeree carpiate senza rete sotto: “… poiché so chi sei e conosco le tue opere, dico che ti riconoscerai nel goffo sforzo di esser sincero mentre stai mentendo”, utile a confermare l’inclinazione irresistibile dell’Autore a contraddire immediatamente un’affermazione nell’atto stesso di produrla, come dire che l’ambiguità e’ congenita e ineludibile, e anche a ricordarci che la letteratura è una questione di salti mortali, come argomenta una raccolta di saggi di Raffaele La Capria.
Venendo al secondo punto, nonostante tutti questi racconti in forma sparsa siano già stati pubblicati nel corso degli ultimi vent’anni (su Linea D’Ombra, su Nuovi Argomenti, nei librini estivi del Corriere, o nell’Antologia dei Nuovi Narratori Italiani – un Oscar Mondadori del 1993), rileggerli non solo non suscita (come personalmente ho temuto) la noia del già letto e noto, ma permette di rinvenire in questa prosa, ricca di figure proprie della letteratura fino alla elementare allitterazione, un metodo, un dispositivo rivelatorio, una progressione narratologica pulita e efficace, e questi racconti è come se risultassero nuovi di nuovo. La lingua va dritta a bersaglio, e’ strepitosamente centrata, e, benché piena, pure risulta asciutta: emerge una pulizia del segno: ciò che la scrittura ordisce, per locali molecole e per tensione cucinata, poteva essere ‘arrangiato’ solo con quella specifica precisione e compattezza, e del resto l’Autore trova entrambe in modo indubbiamente naturale, senza sforzo.
Come fosse, narrare e orchestrare il racconto, l’unica forma per l’Autore di conoscenza del mondo; un modo di collocare gli elementi costitutivi del mondo in uno spaziotempo ordinato, cauto e rigoroso, secondo nessi contemporaneamente utili pratici e logici, umani non in senso caritatevole o peloso, ma sensato, tagliando via tutto ciò che non serve, tutto ciò che è deviazione o perdita di tempo. In questa scrittura c’è un ordine che serve a svelare meglio le mostruose contraddizioni del destino, le irruzioni risibili del caso, i rovesci di fortuna in agguato appena sotto la superficie dorata delle apparenze: nulla naturalmente è mai come sembra, come nel caso di Giacomo Costantini, amico forzato, modello imposto la cui verità è oscena e violenta.
L’assurdo latente, lezione beckettiana appresa dal ‘nostro’ col cuore, è la perla da andare a cercare in questi racconti – i baci sono scagliati altrove perché c’è sempre un deragliamento, un’impennata, uno ‘spingere il momento alla sua crisi’, c’è sempre l’intuizione di uno scorrimento piano, a volte rovinosamente turbolento, di faglie in genere tangenti appunto ma pronte allo scontro, e tutto questo trascorre indisturbato fin quando non è colto da una percezione più sensibile orientata a intercettarlo.
L’eXtra di questo libro è LOVE (Cap. 15 → 1990) tratto da The Broom of the System di David Foster Wallace, di recente debitamente adottato dal ‘nostro’ come fratello letterario.
L’agente esterno e regista dell’episodio è il sagace Monroe Fieldbinder – un cognome (l’ottimo traduttore Sergio Claudio Perroni avrebbe potuto segnalarlo con una notarella rendendo omaggio a DFW, notoriamente maniaco delle note) piuttosto indicativo: vuol dire, elaborando un po’ ma è questa l’eco che emana, circoscrittore del campo, marcatore del territorio. Non vi dico perché è bene conoscere questo dettaglio per non togliervi il gusto del racconto: di certo il buon Monroe è tutto meno che il moralizzatore per cui si presenta, cosicché anche qui per l’appunto nulla è ciò che sembra, e l’orrore latente che scorre sotto la superficie senza esplodere fuori sta lì a occhieggiare in attesa del pertugio buono per dare l’assalto.
Per la cronaca, La Scopa del Sistema fu uno dei primissimi libri editi da Fandango Libri (1999) nella collana Mine Vaganti ideata e diretta proprio da Sandro Veronesi: romanzo mirabolante pubblicato in America nel 1987, quando DFW aveva 24 anni, che si svolge perlopiù, con proditorio avantismo futurista, nel 1990, anno di pubblicazione del racconto da cui siamo partiti, La furia dell’agnello, cuore che batte implacabile al centro esatto di questa raccolta.

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2 Commenti

  1. Bella recensione. E belli i racconti di Veronesi, che dicono le cose della vita col nitore dell’aria invernale. I brutali gesti e i disperati pensieri che mette sulla carta sono irrevocabili come il passato. E’ vero: la sua lingua nitida taglia, è un bisturi e procede per gradi come i discorsi scientifici fanno: ci conduce con calma nel caos della vita.

  2. En plus –
    Pars Construens: il titolo e’ un ottonario ipometro, una filastrocca funzionante.
    Pars Questuans: perché scrivere tutte e tre le cifre della data sempre, implacabilmente in numeri romani?

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gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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