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i-Cinema

[Il Calendario del Popolo è un mensile culturale che nasce a Roma il 27 marzo 1945, un mese prima dalla completa liberazione dell’Italia dal nazifascismo.
La rivista è pubblicata ininterrottamente dal 1945 ad oggi e si occupa, di numero in numero, di temi monografici differenti. Quello in uscita in questi giorni è intitolato “Intervista al cinema”. Gli amici della Sandro Teti Editore ci regalano un articolo in anteprima, fra i tanti che potrete trovare sulla rivista.
G.B.]

di Sergio Bellucci

L’avvento del cinema rivoluzionò la possibilità di raccontare il mondo. Molto più di altre invenzioni, segnò l’ingresso nel “secolo breve”, prima della radio e della TV. Per la prima volta, infatti, una tecnologia integrava modalità espressive che, fino ad allora, erano rimaste separate e fortemente specialistiche. All’autore cinematografico era consegnata la possibilità di “ricostruire” una sintesi narrativa che coinvolgeva due dei sensi principali, l’udito e la vista, e tutti i linguaggi sviluppati intorno a essi. Era una rivoluzione. Immagini in movimento e testo, prima, suoni, parole e colore, poi, accelerarono sia la possibilità espressiva per l’autore, sia la conoscenza del mondo per chi fruiva di quel racconto. Le possibilità di raccontare esplosero in fiume di proposte, soggettività, emozioni.
La potenza della tecnica cinematografica e la codifica di uno specifico linguaggio, contribuirono fortemente alla costruzione, nel Novecento, di un mondo nel quale la produzione cinematografica svolse un ruolo centrale sia sotto il profilo culturale, sia sotto il profilo politico e sociale. Ma nulla più del cinema era predisposto all’ondata rivoluzionaria prodotta dall’incessante trasformazione delle tecnologie digitali. Il cinema ha sempre lavorato su sé stesso per modificare la propria tecnologia e, quindi, il suo linguaggio e la sua fruizione. A differenza della TV, che ha vissuto lunghi tratti di tecnologia costante, il cinema è sempre stato come alla ricerca del suo stesso superamento, della rottura degli stessi confini che la tecnologia del momento metteva a disposizione dell’autore. La sperimentazione, quindi, è un suo codice interno e spesso è proprio nella “settima arte” che vengono sperimentate forme che anticipano novità, come sta accedendo intorno al passaggio al 3D. Dagli 8 mm e poi al 16 mm, si arrivò presto al più importante formato, quello dei 35 mm, con le versioni di Vistavision, Panavision o Cinemascope, ma anche le sperimentazioni del 70 mm o del Cinerama; le innovazioni dei formati dei supporti (e quindi di quelli della visione, a essi strettamente correlati) si sono susseguiti alle innovazioni che venivano “create” sul set, ove le stesse macchine da presa erano portate al loro limite alla ricerca di nuove possibilità espressive e di linguaggio, e negli effetti speciali per ricreare ciò che non era possibile che accadesse realmente. Ma cosa cambia per il cinema con l’arrivo delle tecniche digitali? Proviamo a fare il punto di un processo che sembra non avere pause, anche se qualche linea di tendenza sembra man mano consolidarsi.
Il problema del linguaggio:
La modifica del linguaggio cinematografico corre di pari passo con le innovazioni tecnologiche che sono progressivamente rese disponibili. La capacità espressiva “tradizionale” è stata fortemente integrata dalle potenzialità delle tecnologie digitali sia sotto il profilo dei supporti produttivi, sia sotto quello delle immagini integrabili o degli scenari costruibili. Completamente stravolto il settore degli effetti speciali, via via integrato dalle grafiche 3D, la stessa “capture motion” ha reso possibile un livello di integrazione tra reale e virtuale che esplode le potenzialità espressive e mette in condizione il regista di “costruirsi” letteralmente il mondo e l’ambientazione nel quale far vivere il proprio racconto. Nelle grandissime produzioni come Titanic o Avatar, che consentono o di riprodurre la realtà come prima era impossibile, nel caso del primo, o addirittura costruirsi interi ecosistemi planetari nei quali ambientare storie, come in quello del secondo, le potenzialità tecnologiche mirano direttamente al raggiungimento di spettacolarità ineguagliate. Ma le potenzialità del digitale arrivano ad allargare le capacità produttive, affidandole a versioni “low cost” di ripresa e di montaggio offerte nelle tecnologie di largo consumo come gli smartphone o tablet. Queste “produzioni di massa” stanno ibridando il formalismo del linguaggio cinematografico attraverso una sperimentazione di massa delle potenzialità insite nelle tecnologie a disposizione, che offrono visione sia alla spontaneità delle riprese “amatoriali”, sia alla ricerca più avanzata degli autori più esperti o sperimentali. In questo quadro, possiamo far riferimento a “Machinima”, il cinema di Second Life. In questo particolare ambiente totalmente virtuale, la sperimentazione fatta nella produzione di film, definiti in 4D, ha consentito un importante salto qualitativo nella sperimentazione, sia di linguaggi, sia di forme produttive e, ovviamente, quelle di consumo. Tale forma espressiva, infatti, non ha sperimentato una progettazione spaziale della scena come è impossibile con le normali forme di espressione cinematografiche, anche quelle a 3 dimensioni, ma ha provato a modificare la sua costruzione attraverso la disponibilità di oggetti e ambientazioni fruibili in maniera immersiva. Inoltre, gli oggetti e le scene sono a disposizione su cataloghi e, quindi, a bassissimo costo. La possibilità di generare scene e personaggi risulta totalmente in mano all’autore, che può scegliere in totale libertà. Questa tipologia di film, inoltre, consente, in alcune sperimentazioni, visioni da punti di vista differenziati che affidano allo spettatore la scelta. Il grande obiettivo dell’avanguardia del Gruppo ’63, quello dell’opera aperta, sembra concretizzarsi sotto i nostri occhi soprattutto se pensiamo alla possibile integrazione di tali forme con quelle sperimentate sia per la produzione collettiva delle sceneggiature sia nel lavoro specifico della produzione condivisa. Forme già concretamente sperimentate in esperienze come quelle dell’i-Cinema, una installazione a 360° sviluppata in Australia in cui il pubblico è chiamato a interagire con la storia proiettata e un software basato sull’Intelligenza Artificiale reagisce modificando la storia in proiezione, o quella dell’italiana Cineama ove la collaborazione si spinge dal processo di scrittura e selezione del contenuto fino ad arrivare alla ricerca dei fondi per la produzione del film stesso. Per questo progetto, proprio per le caratteristiche “open” della filiera produttiva, la scelta della tutela del diritto d’autore e del copyright è ricaduta proprio in quei Creative Commons che, prodotti dagli autori di nuova generazione della rete, provano a trovare sintesi tra uso aperto e libero e il giusto riconoscimento dell’utilizzo commerciale di una idea.
La produzione cinematografica, quindi, sta subendo una rivoluzione profonda. Il passaggio dalla pellicola al digitale sta producendo fenomeni di abbassamento dei costi di produzione e post produzione, di alta flessibilità, di allargamento della base produttiva, di un abbassamento della soglia di ingresso, di modifica del linguaggio, di forme nuove di distribuzione nelle sale. Il superamento della pellicola sta ridescrivendo, in larga misura, l’approccio con la scelta di produrre o meno una sceneggiatura. Dopo il terremoto, in Giappone, è partito un progetto per la produzione di un documentario crossmediale (come ormai sono molte delle opere cinematografiche) che poggia sulla produzione comunitaria di riflessioni, immagini, foto, video, eccetera… Dalla sala allo schermo del PC o al tablet, oggi è tutto un gioco di sponde e di rimandi perenni. Non esiste film che non abbia una sua specifica forma di comunicazione o di interazione sul web o un gioco connesso che sappia rilanciare la fruizione nella sala o nel salotto di casa. Alta definizione e schermi panoramici spingono a un consumo casalingo che, sempre più spesso, non sostituisce quello in sala ma si moltiplica nelle seconde e terze visioni. La possibilità di vedere film sul proprio PC, pur ponendo questioni inedite sul diritto d’autore, ha esploso il consumo di film ormai impossibili da vedere nelle sale. L’integrazione prossima tra schermo TV e Web, allargherà ancora di più le potenzialità di fruizione casalinga e, quasi sicuramente, i film si trasformeranno in “App” da scaricare.
Questo moltiplicarsi della possibilità di produrre opere cinematografiche impone all’intero settore un problema di ridefinizione della intera filiera produttiva e, credo, anche delle leggi a supporto della produzione nazionale. Fino a ora, invece, i governi degli ultimi dieci anni sembrano evitare di avanzare una proposta di ridefinizione delle regole e delle forme di intervento nello scenario in enorme trasformazione. Mentre la lentezza della riforma delle regole sembra ignorare l’accelerazione che l’innovazione tecnologica produce, le potenzialità di queste novità conquistano i nativi digitali che si impossessano della “camera da presa” e sperimentano in maniera performativa la realtà del mezzo cinematografico.
Nuovo realismo e nuova virtualità. Le tecniche digitali consentono o di raccontare la vita in diretta o la costruzione completa di una realtà altra, completamente virtuale. Tra questi due estremi c’è l’ampia gamma di possibilità che spetta all’autore di scegliere per sé e per lo spettatore. Mai come in questi anni, infatti, abbiamo potuto osservare la realtà così esplosa. Da un lato il cinema documentario e i reportage hanno potuto utilizzare le potenzialità di ripresa messe a disposizione dall’innovazione tecnologica. Dall’altro, ogni ipotetico scenario o ambientazione che potesse essere pensata dall’autore è stato possibile realizzare attraverso le nuove apparecchiature digitali. Ogni ibridazione tra questi due estremi è sotto la lente della ricerca di nuove forme di espressione e di linguaggio. L’intero alfabeto e la stessa grammatica cinematografica ne è ri-descritta e rimodulata.
Anche la sala potrebbe essere investita da una nuova forma di rinascita. La distribuzione digitale, oggi, consente di avere sale che assumono la flessibilità di un palinsesto televisivo. I costi di affitto del contenuto, la possibilità di variare enormemente il catalogo, la possibilità di costruire micro-sale specializzate, o di costruire retrospettive difficilmente realizzabili con il vecchio supporto in pellicola offrono la possibilità di rompere il gigantismo monopolista che ha fortemente condizionato il settore della distribuzione e produrre una moltiplicazione delle possibilità e del pluralismo delle voci.
Nuove tecnologie produttive e nuovi linguaggi, nuovi prodotti e nuovi supporti distributivi, nuove forme di mercato, tutto sembra essere ridescritto dall’arrivo delle tecnologie digitali. Il cinema, troppo spesso dato per morto, metterà le radici in questo nuovo ambiente e continuerà a far sognare, indignare o sorridere ancora molte generazioni.

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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