UNA PEDAGOGIA DELLA DIFFERENZA
di Franco Buffoni
Si intitola “Comprendere la differenza. Verso una pedagogia dell’identità sessuale”, il nuovo libro di Federico Batini pubblicato da Armando Editore.
Ricercatore nella università di Perugia, Batini da alcuni anni ormai è il pedagogista più impegnato in Italia nelle studio di tecniche e pratiche volte a debellare la piaga dell’omofobia in particolare in soggetti in età adolescente. Ma bisogna iniziare molto presto. Perché, come afferma l’autore, “la formazione dell’identità sessuale di un soggetto non può essere ricondotta semplicemente alla comparsa dei primi impulsi e desideri erotici, ma si collega fortemente alle dimensioni affettive, emozionali, psicologiche ed è fortemente interrelata con lo sviluppo dell’identità tout court”.
Un lavoro immane ovunque, ma particolarmente in Italia, condizionata come è la scuola italiana (anche di Stato) da vetuste ideologie abramitiche e concezioni obsolete quale quella di “diritto naturale”.
Batini, dopo alcuni utilissimi capitoli iniziali in cui traccia una storia recente dell’omofobia e definisce stereotipi e pregiudizi, espone in dettaglio il risultato di tre ricerche scientifiche su adolescenti e insegnanti. Tre ricerche in grado davvero di illuminare le coscienze e di mostrare quanto impervio e accidentato sia il cammino che ci sta di fronte: la prima sulla percezione dell’omosessualità e della transessualità negli studenti universitari; la seconda sull’omofobia tra gli studenti delle scuole secondarie; la terza sugli insegnanti e l’alfabetizzazione circa l’identità sessuale.
Alfabetizzazione degli insegnanti, in primis. E dei presidi, o come si definiscono oggi: dirigenti scolastici. Salvo eroiche e sporadiche eccezioni, l’alfabetizzazione in questo campo deve proprio iniziare da loro.
Chiude il volume un aggiornato ed esauriente glossario sulle tematiche trattate.
Una presentazione dei contenuti del volume fatta da Batini stesso si può leggere qui.
“Alfabetizzazione degli insegnanti, in primis. E dei presidi, o come si definiscono oggi: dirigenti scolastici. Salvo eroiche e sporadiche eccezioni, l’alfabetizzazione in questo campo deve proprio iniziare da loro.”
Interessante vedere come dopo una sola ricerca su insegnanti (di quali scuole? non si sa, immagino occorra leggere il libro, ma del resto non si sa in quale modo ci si possa ergere giudici su quanto si sia “alfabetizzati” circa la formazione dell'”identità sessuale”) si arrivi a definire eroi d’eccezione gli insegnanti e i dirigenti scolastici “alfabetizzati”. Viste le premesse, gli eroi saranno i pochi che non hanno avuto contatti con le “vetuste ideologie derivate dalle religioni abramitiche”. Andrà a finire che per non essere classificati come da alfabetizzare, occorrerà essere atei.
E’ comunque sempre curioso per un insegnante come me, vedere come dopo laurea, master, due concorsi abilitanti e 15 anni di insegnamento precario in altrettante scuole con un netto in busta di 1 300 euro, da ogni parte ci sia uno specialista, o anche solo l’uomo qualunque, che ormai mi consideri come persona da alfabetizzare, in pratica in ogni campo dello scibile umano. Quando non mi si vede – parlo di me come insegnante – come persona da cui difendersi, o come semplice fallito, o mentecatto, o lazzarone ecc.
Lorenzo, da tre-quattro anni compro libri che parlano di questi argomenti. Pochissimi a dire la verità, fanno uno scaffalino che confina con un’altrettanto piccola sezione su retorica, narrazione, verità (sezione quest’ultima che ritengo una fotocopia della libreria di Giulio Mozzi). Perché li ho comprati? Perché un giorno ho capito che non capivo niente: dovevo alfabetizzarmi sul ‘genere’. Non c’è niente di cui vergognarsi a ritenere di mancare di un sapere fino agli aspetti fondamentali, anzi trovo molto onorevole che una persona decida di punto in bianco di studiare una materia. Tra l’altro il ‘genere’ non è una materia diciamo astratta, non lo è perché regola buona parte dei nostri rapporti sociali e contribuisce a costruire, in una dialettica io-altri l’identità di ciascuno. E’ importante no? Ora io sono passato da analfabeta delirante (non sapevo nemmeno cosa volesse dire la “I” e la “Q” nella sigla GLBTIQ), a allievo dignitoso. Se parlo, ora so di cosa parlo. Resta il fatto che chiudo la bocca volentieri quando ci sono persone che ne sanno di più. Disonorevole secondo me è pensare di sapere tutto e parlare per forza (inevitabilmente a vanvera). Sul ‘genere’ si crede di sapere perché la sessualizzazione di qualsiasi aspetto della nostra vita inizia da quando siamo neonati (direi che è la più pervasiva agenzia educativa da cui siamo irradiati – nel mio linguaggio lo chiamo ‘la tana del bianconiglio’). In realtà non sappiamo un tubo, perché ciò che ci insegnano non sono verità, ma semplici norme disciplinari. Allora è necessario alfabetizzarsi.
Peraltro, Andrea, “una semplice norma disciplinare” può essere vera (o, come più comunemente si dice, giusta).
OT: Lorenzo, quello che scrivi da “E’ comunque sempre curioso” in poi è cosa che non finisce di impressionare anche me.
Barbieri,
francamente non ho capito molto del tuo discorso, specie dell’inizio e della fine, dove si parla di scaffali, verità, norme ecc.
Ora, se stai dicendo che tutti siamo ignoranti su un fracco di cose, siamo d’accordo. Ciò però non significa che gli insegnanti dovrebbero essere considerati i più bisognosi di alfabetizzazione. Innanzi tutto, che ci paghino come si deve per quel che facciamo e se ci chiedono degli extra che ci diano gli straordinari. Poi, se ci devono essere degli extra, non si capisce perché per es. dovrebbero essere sul sapere tutto su tutti i vari tipi di identità sessuale e orientamento sessuale, stando attenti alle lettere T I e Q, piuttosto che a dire una trans e non un trans, per non parlare di questioni di ormoni ecc. Ci sono cose più importanti da approfondire, io ritengo: i processi emotivi durante l’apprendimento; i vari disturbi dell’apprendimento: dislessia, disgrafia, discalculia, sempre più diffusi; la psicologia dei/degli pre/adolescenti; il rapporto docente/dicente: come comunicare; le droghe, sempre più diffuse fin dalle medie ecc. Certo, anche il discorso su come relazionarci con gli alunni in relazione all’identità sessuale e all’orientamento è un discorso meritevole, e molto complesso perché la loro identità sessuale è in formazione, e anche per questo ogni intervento educativo è rischioso in sé, in questo campo.
E questo è solo l’aspetto informativo.
Poi c’è l’aspetto formativo, la fantomatica pedagogia delle differenze, il fermare l’omofobia sul nascere, a livello di adolescenti ecc. L’aspetto formativo è sempre storicamente e culturalmente determinato. Non esiste un modo di rapportarsi a livello educativo verso il genere sessuale degli alunni che sia giusto o sbagliato in assoluto. E questo vale per tutto, niente è neutro, neanche come viene affrontata la dislessia, anche il modo di impostare l’insegnamento fa parte di una preciso pensiero, potremmo dire di una ideologia.
Ora, i due aspetti, informativo e formativo, sono strettamente connessi. Basti dire che per fare una pedagogia delle differenze che voglia debellare l’omofobia, dovremmo metterci d’accordo su cosa si questa omofobia in generale e poi su cosa sia negli adolescenti, e da quel che ho visto nei commenti di questi post di Buffoni, ti assicuro che non troveremmo nessun accordo. Figuriamoci poi come si possa trovare una pedagogia condivisa ossia una modalità di relazione, confronto, intervento condivisa. Non ce ne sarebbe una sola (e se anche fosse una non per questo sarebbe quella giusta) neanche se ci trovassimo in perfetto accordo sulle premesse teoriche iniziali.
Quindi, chi può attribuirsi il ruolo di alfabetizzatore? Di educatore?
Scrive Giulio Mozzi “Peraltro, Andrea, “una semplice norma disciplinare” può essere vera (o, come più comunemente si dice, giusta).”
Giulio, direi che una norma è soltanto una norma, in se non è né ‘vera’, né giusta (è ciò che si dice ‘dover-essere’). Possiamo però sostenere la norma con un’argomentazione sul ‘bene’ che produce o non produce (‘bene’ in questo caso è un concetto laico che si usa nella giurisprudenza).
Il ‘genere’ è un sistema di norme di regola date per scontate, insomma non argomentate. Per esempio, il padre non spiega al bambino perché non deve indossare un cappellino rosa confetto; il rettore non spiega perché ritiene le femmine poco portate per la matematica. Semplicemente, il padre rifiuta di comprare il cappellino rosa confetto al figlio; il rettore trova il modo di ‘segregare’ i corsi di matematica.
Oppure – e ci sono studi al riguardo – le argomentazioni hanno pochissima aderenza con i metodi comunemente condivisi per individuare delle verità, nonostante siano spesso sostenute da persone che operano nel campo scientifico.
Lorenzo
“Nella società industriale moderna, come nelle altre, il sesso è alla base di un codice fondamentale attraverso cui le interazioni e le strutture sociali vengono elaborate, un codice che stabilisce anche le idee che gli individui si fanno riguardo alla loro fondamentale natura umana”.
E’ l’incipit di “Il rapporto tra sessi” di Erving Goffman. Spero sia abbastanza per capire perché una pedagogia dell’identità sessuale è fondamentale dentro le scuole.
C’è anche da dire che alcuni interventi nelle scuole già si fanno, quindi non c’è nulla di insormontabile.
Andrea,
non so cosa tu intenda con pedagogia dell’identità sessuale, quel che so io è che in terza media di solito ci sono degli “esperti” che vengono a fare educazione sessuale agli alunni, e altri interventi possono esserci alle superiori. Credo si possa parlare, in quegli incontri, in modo più concreto dell’identità e dell’orientamento sessuale di ogni tipo, perché di fatto, per quel che ho visto io, di trans e omosessualità non si parla.
Per quel che riguarda i docenti, non credo sia necessario diventino degli esperti su cosa voglia dire essere trans o omosessuale (la priorità sulla formazione dei docenti che io vedo l’ho già detta: la psicologia dell’apprendimento e dei suoi disturbi) ma senz’altro può essere utile anche affrontare il tema di come porsi in relazione alla formazione dell’identità sessuale degli alunni, specie verso quelle identità sessuali che non hanno vita facile nel manifestarsi. Purché il tema non venga imposto dall’alto chiamando un “esperto” che considera il corpo docente una massa piena di pregiudizi cattolici da alfabetizzare. Se dobbiamo subire anche questo, che almeno ci paghino quelle ore di presunta alfabetizzazione come straordinario facoltativo, e con tanto di attestato che dia punteggio in graduatoria e scatti di anzianità.
Galbiati, sì, tempo fa leggevo un progetto di educazione sessuale, se ricordo bene nato dentro una Usl, e in decine e decine di pagine non veniva menzionata né la transessualità, né l’intersessualità, e dell’orientamento omosessuale si accennava appena. Pensare che vengano spesi soldi per paccottiglia del genere mi fa un po’ girare i cordoni (come direbbe Vauro). Quindi l’impressione che ho avuto corrisponde al tuo “per quel che ho visto io, di trans e omosessualità non si parla.” E certamente bisognerebbe affrontare la cosa più concretamente, come dici tu.
Bisognerebbe anche capire questo, quando si studia un’identità sessuale che esce dagli stereotipi socialmente riconosciuti, si ottiene un grande beneficio di conoscenza non solo per quanto riguarda la condizione oggetto di studio, ma anche per tutte le altre. Il ‘genere’ è soprattutto costruito come norme su relazioni tra soggetti: disegnando in modo concreto (uso ancora la tua parola) una condizione sessuale, anche gli altri soggetti ne escono ridisegnati più concretamente. Insomma capire, chessò, transessualità o intersessualità, produce più consapevolezza (e libertà) nelle persone non transessuali o intersex.