Nuovi autismi 9 – L’accanimento dei morti

di Giacomo Sartori

Uno crede di essersi sbarazzato una volta per sempre dei suoi morti, e invece quando meno se lo aspetta loro tornano all’attacco. Contro la nostalgia e i complessi di colpa ci sono collaudate strategie, questo lo sanno più o meno tutti. E anche tanti conti non regolati prima o poi finiscono per venire seppelliti per sempre in un armadio chiuso a chiave. A volte però i morti ti attaccano dall’interno, scegliendo beninteso il momento in cui meno te lo aspetti. Impossibile difendersi, se spuntano da dentro, giocando sulla sorpresa. Mio padre tanto per fare un esempio è uno specialista di questo genere di scherzetti. A volte quando sono molto stanco mi si abbassa la voce, e in quei frangenti mi accorgo che quel mio eloquio spossato e senza più spigoli non è più il mio, è il suo. Erano le sue frasi che con la complicità della stanchezza si facevano impastate e atone in quella particolarissima maniera. Ma anche mentre assisto tranquillamente a questo o quell’evento in mezzo a altra gente mi coglie spesso a tradimento. Io quando sono seduto tra altre persone posiziono le gambe un po’ divaricare, ma appena appena (al contrario di quei cow-boy che le squadernano in modo che il loro apparato genitale sia proiettato verso il conferenziere: sembra impossibile, ma sono ancora numerosi). Tengo i due piedi appoggiati per terra, e le mani allacciate nel cavo tra le cosce. Se mi guardo attorno sono però costretto a constatare che quasi tutti gli altri hanno invece le gambe accavallate in questa o quella maniera, tra il resto senza nemmeno rendersi conto del diversissimo significato di una supremazia della gamba destra o di quella sinistra. Secondo me una persona di una certa levatura si riconosce subito: i piedi li tiene ben aderenti al pavimento, a ricevere le forze che salgono dal centro della terra. Sa che quelle influenze sono fondamentali, e non possono essere ostacolate da assurdi ingorghi energetici forieri solo di scempi fisici e mentali. Insomma, a differenza di quanto mi accadeva in passato (non vedo perché dovrei nasconderlo), sorveglio il mio corpo perché se ne stia con le gambe ben parallele e piegate a angolo retto, non rigide ma nemmeno lasse. Appena però assumo questa postura mi rendo conto che è esattamente la stessa che aveva mio padre nelle situazioni simili. Mi rendo conto in poche parole che quella non è una mia posizione, è la sua. Mi sento lui. È scioccante. Certo succede anche coi cani: spesso il figlio ha la stessa inclinazione della testa sulla destra o sulla sinistra della madre, o lo stesso orecchio simpaticamente piegato in avanti, l’uguale guisa un po’ sghimbescia di sedersi. E spesso anche i figli del figlio hanno la stessa caratteristica, e così via. Loro però sono cani, non si preoccupano di queste cose, o almeno non lo danno a vedere. Io non sono un cane, ci tengo alla mia individualità di persona umana. E invece sono costretto a constatare che per molti aspetti sono solo la fotocopia di mio padre. Mio padre era fascista, e io naturalmente non sono fascista, ci mancherebbe solo questo, però in molti momenti mi rendo conto che non sono più io, sono lui. Mi succede anche quando sorrido. Parlo dei sorrisi di circostanza, quelli che si fanno per non dire a qualcuno che non ci interessa niente quello che sta dicendo, ma proprio niente. Mio padre amava provocare in modo pesante e politicamente scorretto (si piccava pubblicamente di essere appunto fascista), e era temuto per le sue frecciate assassine, ma in fondo non era cattivo, se vedeva che una persona che gli stava simpatica teneva a quello che diceva fingeva di ascoltarla e di sorridere. E il suo sorriso in quelle situazioni era identico al mio. O meglio, è il mio che è identico al suo. Un po’ storto da una parte, e come sovrappensiero. Una benevolenza a guardar bene contraddetta dal tedio sguarnito di illusioni nelle sorti dell’umanità annidato negli occhi. Anche questo è scocciante: in quei momenti non so più se sono io che sorrido o è lui: propendo quasi per il lui. Ma è quando passo dalla posizione seduta o sdraiata a quella eretta che la cosa si fa ancora più inquietante. Da un po’ di tempo a questa parte ogni volta che mi alzo senza volerlo emetto un breve gemito, o anche un sofferto sospiro. Io stesso non posso non constatare che sono gli identici gemiti e sospiri che faceva mio padre quando si alzava. Evidentemente a tanti anni di distanza i nostri corpi sono arrugginiti nella stessa maniera, e parlano la stessa lingua. Quelle sensazioni di greve intorpidimento che provo sono sue, non mie, così come sue a ben vedere sono le mie reazioni spontanee e per certi versi vittimistiche, forse un po’ autoironiche. Del resto anche quando sono in presenza di una bella donna mi metto sulla faccia quella sua aria timida ma anche sornionamente seduttrice, a ben guardare disgustosa. E pure quando faccio ridere gli amici con le mie battute paradossali e nichiliste, atroci, durante le cene innaffiate di densi vini rossi mi comporto come lui. E perfino mentre cammino con gli occhi fissi nel vuoto: anche lui passeggiava da solo con gli occhi sprofondati nella desolazione esistenziale. A fare bene mio padre dovrebbe starsene tranquillino nell’urna intrappolata sotto il pietrone incrinato della tomba della sua bislacca famiglia, lassù nel cimitero circondato dal cerchio di montagne, e invece mi segue dovunque io vada, qualsiasi cosa faccia. Lo ha sempre fatto, e temo che lo farà sempre. E purtroppo non è l’unico.

[l’immagine: Larionov, “Ussaro al galoppo”, 1910-11, 87×99 cm)

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6 Commenti

  1. Giacomo, io se fossi stato un lettore laureato ti avrei votato, altro che, senza nemmeno farmi pagare pizza e birra come faccio d’habitude effeffe

  2. Ed io che non ho mai conosciuto mio padre ?
    … accavallerò, prima o poi, le gambe come mia madre …

    °_°

    … o misericordia!!

  3. sparz
    ricordo benissimo fratellone maggiore, e è proprio questo il motivo – forse te ne sei dimenticato – per il quale lo abbiamo ammazzato (tanto per cambiare volevi che fossi io a occuparmi del cadavere, poi invece …)

    ff
    tu sei uno dei peggiori lobbisti che ci siano al mondo, lo sanno tutti!; ti è quasi venuta la gastrite, a forza di farti pagare delle pizze

    ad Ares non devo stargli tanto simpatico, secondo me appartiene a qualche altra strana lobby rivale

  4. No, no anzi lei mi è simpaticissimo Sartori, poi scrive così bene. Leggo sempre molto volentieri i suo post, magari non commento spesso o commento a sproposito ma i suoi scritti mi piacciono, molto.

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giacomo sartori
giacomo sartori
Sono agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vivo a Parigi. Ho lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e mi occupo da molti anni di suoli e paesaggi alpini, a cavallo tra ricerca e cartografie/inventari. Ho pubblicato alcune raccolte di racconti, tra le quali Autismi (Miraggi, 2018) e Altri animali (Exorma, 2019), la raccolta di poesie Mater amena (Arcipelago Itaca, 2019), e i romanzi Tritolo (il Saggiatore, 1999), Anatomia della battaglia (Sironi, 2005), Sacrificio (Pequod, 2008; Italic, 2013), Cielo nero (Gaffi, 2011), Rogo (CartaCanta, 2015), Sono Dio (NN, 2016), Baco (Exorma, 2019) e Fisica delle separazioni (Exorma, 2022). Alcuni miei romanzi e testi brevi sono tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. Di recente è uscito Coltivare la natura (Kellermann, 2023), una raccolta di scritti sui rapporti tra agricoltura e ambiente, con prefazione di Carlo Petrini.
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