Diversamente epici

di Filippo La Porta

Ricordo spesso l’ironica frase di Orwell durante la guerra, a proposito del fascino di certi simboli e di certe parole d’ordine del fascismo: provate a far giocare i vostri bambini non più con i soldatini ma con i pacifisti di stagno… beh, certo non si divertirebbero. Potrebbe essere un buon punto di partenza per una riflessione, a distanza, sui fatti (e sulle immagini) del 15 ottobre. Mi sembra di poter dire che la battaglia vera è proprio sull’immaginario, o soprattutto sull’immaginario. In che senso?
Proviamo a partire dalla famigerata immagine del furgone dei carabinieri, “conquistato” dai manifestanti, che si incendiava nella notte romana, e dalla sua “tremenda bellezza”, come una volta si sarebbe detto (citando Rilke). Una visione corrusca e minacciosa, una cosa a metà tra i Guerrieri della notte, grandiosa epopea metropolitana (rilettura degli Argonauti), e l’avvincente gioco alla guerra dei Ragazzi della via Paal (un gioco che, in verità, eccita sempre tantissimo i maschietti, e forse non solo i maschietti visto che a partecipare agli scontri c’erano anche molte donne). Non coltivo alcun estetismo della violenza, e anzi sono convinto che una lotta condotta con mezzi violenti “inquina” qualsiasi cosa si intenda dopo costruire (non solo il fine non giustifica i mezzi ma in un certo senso esistono solo i mezzi: sono questi a “educarci” qui ed ora). Sono ben consapevole che quelle fiamme gettano sull’intero corteo una pericolosa (e fuorviante) luce guerresca, un alone vagamente insurrezionale, del tutto irreale e anacronistico. Condivido inoltre la lettura di chi vede nella violenza una pericolosa “droga”, che esalta e illude chi non ha più futuro. Ma cosa ci dice anzitutto quella scena?
Anzitutto rispetto alla guerriglia e agli episodi di violenza del 15 ottobre occorrerebbe comunque evitare prediche, tipo: “Ragazzi, la prossima volta dovete munirvi di servizio d’ordine”, come se poi questo fosse la soluzione, e anzi sapendo che i servizi d’ordine degli anni ’70 furono quasi l’anticamera del terrorismo (e comunque quella “specializzazione”dava allo scontro fisico un peso sproporzionato). O anche, con tono compunto e “responsabile”: “Voglio piattaforme e contenuti più chiari, mi raccomando”, come se il movimento dovesse presentarsi alle elezioni, etc.. E soprattutto: evitare di metterla sul piano riflessività contro emotività, altrimenti la partita è persa dall’inizio. Nel ’77, lo ricordo, quelli riflessivi e inclini alle prediche, benché interni al Movimento, furono spazzati via. Lo scontro fisico rappresentava una comunicazione assai più immediata, persuasiva di ogni pensoso dibattito. Uno con la spranga (o con la molotov) in mano rappresentava comunque qualcosa di più “reale”. Il che era ingannevole ma fatale. Credo che per un ventenne, e ancor più per un quindicenne, quella immagine del furgone possa essere ambiguamente esaltante, possa dare una ebbrezza (tutta illusoria) di vittoria, oltre ad avere un valore simbolico di parziale ma dovuto risarcimento delle scuole Diaz, delle caserme Bolzaneto, dei Giuliani e dei Cucchi, etc. Hai voglia a dire – anche giustamente – che fa il gioco del nemico, che ti si ritorce contro, che ti aliena le simpatie del ceto riflessivo (tendenzialmente non ostile) e dell’opinione pubblica.
Dunque: partiamo da lì. Siamo in grado di contrapporre non tanto una “politica” diversa, ma in primo luogo un immaginario diverso, voglio dire egualmente forte, suggestivo, potente (tutto ciò potrebbe essere letto come un cedimento alla presente società-spettacolo, ma da sempre la politica si nutre, legittimamente, di emotività e immaginario: Kennedy dovette “spettacolarizzare” la cosa più noiosa del mondo, la democrazia, e infatti si inventò la Nuova Frontiera). Forme di lotta più immaginative e imprevedibili, tecniche di guerriglia non violente, provocazioni creative e sperimentali, etc. Che so, anche giocando un po’ su certe accuse, aprire il prossimo corteo con 50 pecore (e ovviamente un pastore rumeno o albanese in testa), organizzare blitz ovunque, in bar e luoghi pubblici, diffondendo false notizie e, come faceva il “Male”, stampando false prime pagine di quotidiani (tipo l’Italia uscita dall’euro, con tutte le conseguenze), o sdraiarsi a oltranza paralizzando la città, come facevano Bertrand Russell e Aldo Capitini negli anni ’50, all’epoca molto più estremisti di qualsiasi militante comunista. Insomma: un riformismo non-violento che esibisca per intero la sua anima radicale.
Ecco, anche riallacciandomi al commento di Orwell, dobbiamo riuscire a immaginare un pacifismo “epico”, fatto di eroici pacifisti di stagno, che sostituisca al furgone incendiato qualcosa di sorprendente, di vitale, di poetico, di altrettanto eclatante…

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16 Commenti

  1. Vabbé, torniamo al situazionismo … Una volta individuato il nemico, amalo. Bisogna amare anche i nemici.
    Questo è il regno delle tenebre idiote. Una risata le squarcerà. Bisogna buttare pacchi viveri su New York, radere al suolo il Darfur, far pascolare le capre dentro il palazzo dell’ONU, tirare una torta in faccia a Oprah Winfrey, emettere peti rumorosi a Porta a Porta, sbandierare in faccia a Nethanyau il complotto giudaico massonico, eleggere Rosy Bindi presidente della Repubblica, eutanasizzare tutti i proprietari di SUV sopra i 60 anni.
    Magari succede qualcosa …

  2. Manca, in questo discorso, l’altra parte: la polizia, lo stato, la politica istituzionale. Quand’anche questo “pacifismo epico”, questo “riformismo non violento”, riuscisse a diventare egemone, come reagirebbero gli altri? Ieri, a Roma, una manifestazione pacifica di studenti – pacifica e radicale, visto che rompeva coscientemente il divieto di Alemanno – è stata prima caricata successivamente imbrigliata dentro una piazza. Negli Usa, e precisamente a Oakland durante il General Strike, benché gli scioperanti fossero decisamente non violenti, la polizia ha caricato; è capitato che gli scioperanti si sono difesi. Ma la crisi stessa imporrà allo stato e alla polizia di essere sempre più inflessibili e duri nei confronti di chi si oppone. In certe situazioni, o si resta a casa o ci si difende. Ma sono situazioni imprevedibili, ben poco razionalizzabili a priori. Resta poi da capire quali siano gli obiettivi strategici di questo eventuale “riformismo non violento”. Se puntasse al superamento – al radicale superamento – dell’attuale situazione, si pensa davvero che un’intera classe economica e politica rinunci pacificamente ai propri privilegi? Nel mondo dei sogni, forse; nella realtà farebbe di tutto per evitare di perderli (Gladio esiste e veglia su di noi!). E dunque: quale immaginario da proporre in alternativa a quello del blindato che brucia? Quello della società che brucia. Non c’è alternativa.

    PS: Il blindato è un simbolo, come lo è l’atto di distruggerlo… Sono gli uomini che conferiscono potere ai simboli… Da solo un simbolo è privo di significato ma con un bel numero di persone alle spalle far saltare un blindato può cambiare il mondo.

  3. Il tema della guerriglia semiotica (o semiologica) non è nuovissimo e purtuttavia resta molto affascinante, specie in quegli individui ultrariflessivi (come me) che hanno da poco smesso di essere dei ragazzi e che, pertanto, rimpiangono un pochettino la audacia della giovinezza. La camionetta che brucia con la scritta ACAB è come lo striscione di “coerenza e mentalità” allo stadio. E’ immagine, è voglia di lasciare il segno, è la difficoltà di limitarsi allo “sein” sognando il “dasein”. La novità ed anche l’aspetto più avvilente è che nel 2011 al gesto non segue una proposta visionaria: NO FUTURE e basta, in ritardo di 40 anni sui Sex pistols. La senzazione in definitiva è che dall’80 in poi il tempo si sia fermato e che non possa più esserci “conflitto”, in relazione alla difficoltà di individuare le parti in campo, a partire dai nonni che sono (stati) più rivoluzionari dei figli ed ancora di più dei nipoti. Quì si incendia non per inseguire un sogno, ma per vendetta e per rabbia (e che c’è di più divertente?)

  4. Condivido la repulsione per la violenza, dissento su tutto il resto. Non è che si stanno confondendo le forme di lotta con le forme della comunicazione? E’ un po’ l’errore fatto da quell'”avanguardia” di giovani creativi borghesi (lo studente IED, il “cognitario” che piace a Negri) che traffica benissimo con il linguaggio pubblicitario e con la Rete, ma non sa gestire una manifestazione di piazza e rimane in balia degli hoodies in cerca di adrenalina.
    In altri tempi la forma principale di lotta era rappresentata dallo sciopero generale. Se/finché non vedremo uno sciopero generale degli atipici, nessun flash mob organizzato su facebook potrà servire a nulla.
    Ma il punto principale sta a monte, per quanto mi riguarda. Perché non dovrei pretendere chiarezza sulle piattaforme, cioè sulle richieste politiche, sulla sostanza dei motivi per cui ci si ritrova in piazza? Perché in tutta onestà, una folla, per quanto pacifica, che chieda il “default pilotato” del Paese (ignorando evidentemente le conseguenze di tale “soluzione”) mi spaventa ben più di quattro teste di cazzo col cappuccetto nero.

  5. Condivido molto; anche non andare all’ultimo momento a una manifestazione programmata e lasciare in stupefatta solitudine i custodi dell’ordine o i politici furbetti e le televisioni, per dialogare invece in rete: questo sarebbe davvero il nuovo.
    Un solo punto di dissenso, del tutto filologico :-). Gierrieri della nottte è una rilettura dell’Anabasi di Senofonte, esplicita e dichiarata, come lo era il romanzo di Sal Yorick che lo ispirava.

  6. Molto meglio il furgone incendiato; è più legato al sentire rabbioso dal quale ha origine il gesto; è più coerente di qualsiasi giocosa idiozia massmediatica tanto apprezzata dai riflessivi(certo è che riflettonono per poi produrre una sfilata di pecore?.. eh però!!, dei geni!!!).

    Poi però bisognerebbe passare, anche, alla presa della bastiglia: se no rimane più coerente l’idiozia estetica delle pecore in sfilata.

  7. Ad ogni modo, a prescindere dalle valutazioni, direi che “i guerrieri della notte” ha molto più a che fare con l’Anabasi che con Gli Argonauti. E sicuramente Orwell non si sarebbe sdraiato con Capitini e Bertend Russell. Forse proprio per questo Orwell continua a starmi parecchio simpatico!

    salud

    franco senia

  8. A quanto pare, almeno all’autore ed alla maggior parte degli intervenuti, non c’è alternativa allo spettacolo. Un movimento deve innazitutto soddisfare il guardonismo della gente, deve attirare l’attenzione con trovate più o meno furbette…
    Ebbene, rimango in totale dissenso, assecondare la corrente de “the show must go on” (perchè di questo si tratta, o stai sul palcoscenico o non esisti, e se stai sul palcoscenico, ti tocca recitare), non può cambiare alcunchè, può soltanto confermarlo.

  9. le coreografie non è che vengano così bene quando sei impegnato a non farti spezzare le ossa dai manganelli spesso usati senza parsimonia.Comunque ho appena letto che i residents proponevano sulla scena musicale americana strategie imperdibili che potrebbero essere studiate da un genio guastatori della rivoluzione creativa e pacifica

  10. “Nell’era degli ossimori mi chiamo Guerrilla per essere non violenta, altri chiamano la guerra missione di pace.”
    Quando penso agli ossimori penso a Orwell e ai ministeri di 1984. L’arte, la scrittura, il pensiero (ecc…) possono sferrare attacchi in modo non violento. Attenzione però che da qui a cadere nel risibile, nel pateticamente ripetitivo, non ci vuole molto. Vedi ad esempio i vari Funerali di questo o di quell’altro, della democrazia o dei diritti del lavoratore, con tanto di finta bara e corteo, che non si possono più vedere.
    La comunicazione deve essere spiazzante, incisiva, davvero nuova, per avere forza. È una strada difficile, piena di insidie, ma che vale la pena percorrere. Ho molto apprezzato la parentesi che dice: (non solo il fine non giustifica i mezzi ma in un certo senso esistono solo i mezzi: sono questi a “educarci” qui ed ora). Penso che questa pedagogia sia necessaria.

  11. Qualche replica agli intervenuti, che ovviamente ringrazio
    Sì, è vero, nella scheda in Rete del film I guerrieri della notte il mito ispiratore accreditato è l’Anabasi(ma c’è di tutto. pure chi ci ha visto l’Odissea…). Il punto è che alcuni degli episodi del ritorno a Coney Island mi ricordavano tali e quali alcuni episodi degli Argonauti( e poi, scusate, la vera ragione è che l’Anabasi non l’ho mai letta).
    Non ci vedete proprio Orwell sdraiato per strada con Bertrand Russell?E perché mai? Orwell è stato di tutto: poliziotto coloniale in India, vagabondo e perdigiorno a Parigi, solidale con i minatori inglesi, volontario anarchico nella Guerra Civile, romanziere politico, propagandista alla radio, qualcuno dice pure che era una spia (pare che denunciò Brecht…, anche se per me è un tale mito che se lo ha fatto vuol dire che aveva ragione) etc., e insomma non gli precluderei una esperienza “libertaria” di quel tipo.
    Dite trionfo dello spettacolo? Il rischio c’è, ma dobbiamo forse intenderci: un conto è la spettacolarità coatta, conformista, isterica di una sinistra che si identifica inconsciamente(quando va bene) con l’aggressore(con i suoi codici, i suoi linguaggi, etc.), e un conto la spettacolarità come capacità di comunicazione di idee giuste, potenza espressiva (la linea rossa tra le due è sottile, lo so: ad esempio, per limitarmi al mio campo, un saggista dovrebbe usare uno stile incisivo, limpido, immaginativo, ma anche “spettacolare”, al fine di dire in modo interessante qualcosa, e Pasolini che parlava di “Lucciole” e di “Palazzo” era anche spettacolare).
    Beh, a me le pecore non dispiacciono. Consentono almeno molti piani di lettura, no?Per gli snob saranno una citazione da Bunuel, per altri un messaggio ecologista e per altri ancora un riferimento autoironico all’accusa (stolida) di pavidità da parte dei famigerati b.b. (ah, in n Senza fare di necessità virtù , memorie partigiane di Rosario Bentivegna, c’è, come in Orwell, un potente respiro epico e MAI l’esaltazione superomistica della violenza o la retorica dello sprezzo del pericolo: lui aveva sempre molti dubbi e molta paura)
    La guerriglia semiologica non è nuova, lo so. E tra l’altro venne formulata, se ricordo, anche da Eco, il quale non è, come molti sanno, uno per il quale proprio stravedo. Ma il mio intento era appunto di trovare un equivalente del furgone blindato in fiamme sul piano di un immaginario diverso, e cioè della disobbedienza civile e della protesta non-violenta(il sit-in venne inventato in Usa negli anni ’20 da un certo Alinski, agitatore sociale di Chicago molto immaginativo e uno dei maestri di Obama). Tutto qui. Il catalogo di proposte è comunque inesauribile.
    Concludo su un punto: immaginiamo eroici pacifisti di stagno, o “fulgenti pompieri”, come ci suggerisce uno dei maggiori poeti contemporanei, H.M.Enzensberger, nella sua “Canzoncina ottimistica”(la poesia poi è sempre ”spettacolare”, in una accezione nobile) : “Qua e là si dà il caso/che qualcuno gridi e chiami aiuto./Subito un altro si butta in acqua,/assolutamente gratis./Nel folto più folto del capitalismo/da dietro l’angolo arrivano fulgenti/i pompieri che spengono, oppure nel cappello/del mendicante brilla a un tratto qualcosa/(…)”

  12. Si, le pecore sono l’immaginario piu’ efficace ad ogni livello… molto cattolico: il popolo gregge; ha in se del salvifico; del rassicurante rassicurante; è di questo che hanno bisogno gli italiani, di sentirsi guidati e non pensare troppo, si sa, pensare è fatica.

  13. Rispondo in ritardo, colpa mia che non ho abilitato l’RSS dei commenti. Per tornare, e per partire, dalle suggestioni letterarie, be’ dal momento che sono suggestioni, ciascuno ci vede quello che vuole, ovviamente. Ad ogni modo, credo che sia stato proprio Walter Hill ad aver dichiarato che il suo film voleva essere un’anabasi! Passando ad Orwell, continuo a sostenere che l’unico modo in cui riesco a vederlo sdraiato per terra, è mentre prende accuratamente la mira. Sorvolo -ma mica tanto – sulle insinuazioni a proposito dello “spionaggio”, e rilancio dicendo che sarebbe stato proprio assurdo per uno come lui – che temeva più di ogni cosa controllo poliziesco e delazione, denunciare qualcuno alla polizia. E poi, proprio Brecht? Che era più anarchico di lui???
    Passando alle pecore, è proprio la citazione bunuelana da l’angelo sterminatore a preoccuparmi. E se poi passi ai pompieri, la faccenda peggiora dell’altro, con la sua citazione di Brabdury. Dici che sono troppo snob? Può essere, direi di tornare alle vecchie e care molotov!

    salud

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GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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