Omaggio a Mandel’stam 1891-1938

di Carlo Cuppini

 

ci tagliano lembi di pelle sul torace
due strisce a forma di bretelle come fanno ai Ceceni
estraggono tasselli di carne per infilarci fagioli
scrivono editti di morte intrecciando i capelli di lei

nel vuoto il silenzio la stanza la salma dell’ornitorinco
il mostro conta i minuti inchiodato ai bracci dell’attesa
gli ficcano voci lusinghe minacce nelle orecchie pelose
puntellato agli antipodi sembra resistere e per un istante ricordare il nome

col mitra si fanno buchi perfetti nel formaggio
a riempirli di sangue ci ha pensato il poeta
andando per tutta la Russia a gridare io sono il poeta
e la neve continuava a cadere su ciò che non c’era

 

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11 Commenti

  1. molto bella, Carlo –

    mi pare tu stia entrando definitivamente in una zona di “frontalità” (sia pure allucinata e allucinatoria) e “reintegrazione della voce” molto minata, rischiosa (diciamo: la zona che Porta afferrava con le Brevi lettere, con L’aria della fine); dimostri o così credo che è zona ancora molto fertile; mi sembra anche che tu ci stia entrando (non poteva essere altrimenti) con la giusta disposizione e mira: “la condizione umana”, mai autorizzata, e non il vuoto di realtà della “cultura-potere”. Del resto era proprio Mandel’stam a scrivere: “Divido tutte le opere della letteratura mondiale in autorizzate e non autorizzate. Le prime sono una schifezza, le seconde, aria rubata”.

    un abbraccio,

    f.t.

  2. ringrazio andrearà, per avermi fatto conoscere Carlo Cuppini, di cui ho poi pescato anche una riflessione sulla poesia, che condivido pienamente:

    “La poesia, bonificata dall’ego-massage, è sfondamento di un muro nel tentativo di riappropriarsi di ciò che ci è stato negato, da cui siamo stati estromessi, e che però rimane la cosa più appagante che ci possa capitare di esperire: la realtà. E, con essa, la storia.”

  3. cerco come sempre di imparare ad accostare una poesia da quelli che stimo poeti per davvero. Di quest’ultimo giudizio che citi, Andringlé, di Cuppini, mi interrogo soprattutto sulla frase bonificata dall’ego-message, che è come una condizione iniziale necessaria, che credo di capire cosa vuol dire, ma mi chiedo, esiste veramente un testo bonificato dall’ego-message? O magari, vogliamo esplorare un po’ di più questa bonifica? Ciao e grazie.

  4. Grazie a Fabio, che sempre, con raro acume e limpida passione, e potenti parole, mi aiuta a intravedere la destinazione ultima (o penultima) del fare. E grazie per la bella frase di Mandel’stam, che, senza conoscerla, ho reinterpretato e affisso in testa alla Militanza del fiore: “nella poesia, l’ultima via alla clandestinità”.
    Mi fa molto piacere il contatto di sponda con Andrea (Inglese): da tempo seguo le tue cose, ne godo e mi ci confronto – da ultimo le riscritture lucreziane, molto apprezzate insieme a quelle dell’altro Andrea, che ringrazio per l’accoglienza (anche da parte dell’ornitorinco!).
    Sparz, la questione non è risolta. Ma è urgente. Può avere solo una risposta collettiva, a mio avviso, naturale risultante delle tensioni che i lavori, pur eterogenei, di molti esprimono.
    Siamo profughi del presente, stipati in un campo di concentramento-lunapark fuori dal tempo, dopo essere stati deportati dalla nostra patria, che altro non è se non il reale. Basterebbe questo per voler disinnescare a tutti i costi quell’ordigno che è la coazione impressionistica/espressionistica che ancora impregna l’idea di poesia; come se questa dovesse avere per forza valenze “poetiche” – e non semplicemente “artistiche” e “contemporanee” come tutte le altre arti. Allo stesso tempo, forse paradossalmente, sono convinto che ogni opera sia “anche” un autoritratto. E il cerchio non quadra: bellezza smisurata di essere ornitorinco…

    Non esiste la libertà, può esistere solo la liberazione (citando a memoria G.Agamben)

    “La danza non è affatto l’impulso corporeo liberato, l’energia selvaggia del corpo; è al contrario mostrazione corporea della disobbedienza ad un impulso” A.Badiou.

    E Virgilio Sieni: “Ed è veramente misterioso come ancora oggi si possa cadere nel corpo della danza per essere iniziati al tempo. Scorre il tempo nel ballo della ragazza, danzando via le gocce sul terreno. Lei si inizia, sempre, ogni mattina nuova, restituendo il buon umore.”

    Ecco qualche traiettoria: realtà, tempo, disobbedienza, iniziazione, aurora, liberazione, poesia, corpo, buon umore…

  5. Geoffrey Hill

    Un Addio a Osip Mandels’tam

    Scomodo amico, avrei comunque preferito te
    A loro. Ma i morti tengono ben sigillata la loro vita
    E ancora una volta sono io in ritardo. Così, fuori tempo
    I saluti, le nuvole di polvere, le grida metalliche.

    Dalla desolazione s’alzano immagini
    Guarda… rovine sulla pianura…
    Alcuni s’osservano le mani; altri
    Strisciano cercando cibo sul campo lungo la strada.

    La tragedia ha un occhio per tutti.
    Magari non ci toccherà, ma è lì, comunque –
    Perfetta, insaziabile – un duro cielo d’estate
    Che di ciò fa festa, che compie il suo fine.

  6. Grazie a te, Carlo.

    “Non esiste la libertà, può esistere solo la liberazione”.

    sono d’accordo. se di “ego” non è dato liberarsi, essendo “ego”, anche, il corpo-contenitore e la condizione stessa di ogni esperienza, nonché massa che ha moto in un “dove”, e il “da dove” di chi prende la parola conta – hai ben ragione a rifiutare l’ego-massage: ché l’ego serve, sì, ma va appunto bonificato affinché si fatto canale, cavo di accoglienza, va insomma letteralmente massacrato perché non divenga ennesima frontiera, ennesimo “parallelo 35”, materialmente e spiritualmente.

    come ha affermato Florin Flueras (performer e danzatore rumeno), intervistato da Berardi Bifo su Alfabeta2 di ottobre: “dobbiamo alterare il nocciolo della nostra identità. Dal momento che il capitalismo è in noi, in noi c’è lo sfruttamento, l’estinzione della specie, il cambiamento climatico e dunque alcune parti di noi stessi devono morire. In questo senso forse dobbiamo abbracciare un po’ di (artistica) apocalisse”.

    ti allego in privato qualcosa a riguardo, che non è il caso di intasarne qui il thread.

    un saluto,

    f.

  7. Si tocca il dolore,
    non è sfiorato,
    la pelle della parola lascia vedere
    la ferita del prigioniero
    incisa, tagliata,
    è un dolore nitido,
    in guerra,
    in patria.

    Grazie per la bellezza e l’omaggio.

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