l’imperatore degli Stati Uniti d’America

di Graziano Graziani

L’obiettivo di chi decide di dichiarare indipendente un territorio piccolo, piccolissimo, una porzione di mondo che spesso delimita poco più che la residenza del novello governante, o al massimo della sua comunità di riferimento, è il desiderio di sentirsi sovrani in casa propria. Manie di grandezza, particolarismo esasperato? C’è un po’ di tutto questo; ma anche se praticamente la totalità di questi microstati non hanno alcun riconoscimento internazionale che non sia quello di altre micronazioni come loro, i sedicenti governanti sottolineano che anche la sovranità, in fondo, è una questione di percezione. E forse non hanno tutti i torti se è vero quel che si racconta, ad esempio, del vecchio dittatore portoghese Antonio de Oliveira Salazar, alla cui vicenda José Saramago dedicò un racconto: colto da infarto e costretto ad abbandonare il potere, continuò a credere per molti mesi di essere a capo del governo poiché nessuno ebbe il coraggio di comunicargli che non era più così. Ma se in quel caso si trattava di un vero potente, la vicenda che ha per protagonista Joshua Abraham Norton è ben più bizzarra e indicativa del clima che circonda la fondazione di una micronazione. La sua storia è, infatti, presa a modello da molti sedicenti sovrani. Non sono in molti a saperlo, ma la patria di Washington e Lincoln, culla dei principi repubblicani, ha avuto per vent’anni un monarca.

Meglio conosciuto come Norton I, Joshua fu infatti il primo – e per altro unico – imperatore degli Stati Uniti d’America. Nato a Londra nel 1819, dopo aver trascorso infanzia e giovinezza in Sudafrica, a trent’anni emigra negli Stati Uniti, a San Francisco, cercando la sua strada negli affari. Appena sbarcato in California dispone di una discreta cifra donatagli dal padre, 40 mila dollari, che riesce a far fruttare fino al 1953, quando incappa in un investimento sbagliato. Quell’anno la Cina aveva bloccato le esportazioni di riso a causa di una carestia, con l’effetto che il prezzo del riso si era decuplicato. Così quando Norton apprende che nel porto di San Francisco sta per approdare una nave di ritorno dal Perù carica di riso, decide seduta stante di acquistare l’intero carico. Ma subito dopo aver firmato il contratto, molte altre navi cargo tornano dal Perù con partite di riso, e il prezzo torna immediatamente al livello precedente. Joshua è rovinato, ma non si dà per vinto: intraprende una causa legale che andrà avanti fino al 1957 per rendere nullo il contratto, portando come giustificazione il fatto che la qualità del riso non era quella pattuita e che quindi il venditore lo avrebbe ingannato. Ma la corte gli dà torto. Ormai senza più un soldo, Joshua si allontana da San Francisco per una sorta di esilio volontario. Farà ritorno in città nel 1959, in evidente stato di confusione mentale. Persi i suoi averi, quello che un tempo era stato un rampante imprenditore entra ora a far parte della schiera dei poveri e dei disadattati che affollano le strade della città. Ma nel suo breve esilio Joshua ha maturato – anche a causa della sua vicenda personale – una visione precisa sull’inadeguatezza del sistema giudiziario americano e sull’ingiustizia degli organi politici del suo paese. Così, presa carta e penna, scrive ai giornali cittadini una risoluzione in cui si proclama imperatore degli Stati Uniti. È il 17 settembre del 1959, e la lettera recita così:

«A perentoria richiesta e desiderio di una larga maggioranza di questi Stati Uniti, io, Joshua Norton, un tempo cittadino di Algoa Bay, Capo di Buona Speranza, e oggi e per gli ultimi scorsi 9 anni e 10 mesi cittadino di San Francisco, California, dichiaro e proclamo me stesso Imperatore di questi Stati Uniti; e in virtù dell’autorità in tal modo acquisita, con la presente ordino ai rappresentati dei diversi Stati dell’unione di riunirsi in assemblea presso il Music Hall di questa città, in data primo Febbraio prossimo venturo, e lì procedere alla modifica delle leggi esistenti dell’Unione al fine di correggere i mali sotto i quali questa nazione si trova ad operare, e in tal modo ripristinare la fiducia, sia in patria che all’estero, nell’esistenza della nostra stabilità e integrità.

Norton I, imperatore degli Stati Uniti»

Ovviamente il proclama viene in larga parte ignorato, ma non dal San Francisco Bullettin, il cui direttore decide di pubblicarlo con intento satirico. L’effetto che produce, tuttavia, va ben al di là delle sue previsioni. La gente comincia a rivolgersi a Norton, che sta spesso per le strade della città dispensando ai passanti i suoi proclami e i suoi consigli, con il titolo imperiale che gli spetta. Ben presto Joshua diventa per tutti l’Imperatore Norton. Joshua si procura un uniforme blu con delle decorazioni dorate, e porta a mo’ di sciabola un bastone con il quale si aiuta a camminare. Ora la sua figura è riconoscibile a tutti, e il novello imperatore si tuffa con entusiasmo nelle sue funzioni di governante: comincia un’autonoma attività di ispezione dei cantieri navali, delle condizioni di lavoro e delle strutture pubbliche, e prosegue con i suoi proclami dichiarandosi anche Protettore del Messico. Joshua comincia persino a stampare delle note di credito, generalmente da 50 centesimi, ma anche da 5 e 10 dollari, che presenta ai negozi come forme di pagamento – e che questi accettano di buon grado. Insomma, la cittadinanza di San Francisco asseconda le sue eccentricità, e così “sua eccellenza” per il resto della sua vita non pagò mai i mezzi pubblici e fu spesso ospitato gratis da molti dei principali ristoranti della città. Chi ha avuto modo di conoscerlo, tuttavia, non lo descrive come un pazzo o una persona inferma di mente, ma come un uomo colto, davvero convinto del proprio ruolo di imperatore. Tra questi c’è Mark Twain, che abita vicino alla pensione dove risiedeva Norton, e spesso prende le sue parti.

Dopo la morte dell’imperatore, Twain modellerà il personaggio del “Re” ne «Le avventure di Huckleberry Finn» proprio su di lui. Ma anche Robert Luis Stevenson e Herbert Asbury lo citeranno nelle loro opere letterarie. Intanto l’attività legislativa di Norton I prosegue negli anni con rinnovata passione. Tra i proclami più noti c’è quello del 1859 con cui ordina di sciogliere il Congresso, a causa delle seguenti motivazioni: «Ci è evidente che si abusa del suffragio universale; che la frode e la corruzione impediscono l’espressione giusta e corretta della pubblica opinione; che si verifica costantemente un’aperta violazione delle leggi a causa di folle, partiti, fazioni e dell’indebita influenza politica delle sette […]». Ovviamente l’ordine non sortisce alcun effetto, e per questo Norton ordina successivamente all’esercito di intervenire. Nel 1860 prosegue la sua opera di demolizione di un sistema ormai corrotto, e per tanto dichiara sciolta la Repubblica in favore della monarchia assoluta (la sua). Nel 1862 licenzia Abraham Lincoln, e nel 1868 ordina l’arresto del suo successore Andrew Johnson, condannandolo a pulire gli stivali dell’imperatore. Nel 1869 ordina lo scioglimento dei partiti Repubblicano e Democratico. Oggi i suoi proclami – quelli ritenuti autentici, perché si verificarono alcuni casi di falsificazione – sono custoditi presso il Museo cittadino di san Francisco.

Nel 1867 l’imperatore Norton è protagonista di una disavventura che dà la misura della popolarità e benevolenza che aveva maturato presso la sua città. Un agente di polizia di nome Armand Barbier decide di arrestarlo per affinché venga sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio per presunti disturbi mentali. L’arresto scatena lo sdegno della cittadinanza e una serie di articoli e lettere sui principali quotidiani di san Francisco, finché il capo della polizia Patrick Crowley non decide di scarcerarlo e di presentare delle pubbliche scuse per il comportamento della polizia. Norton si dimostra magnanimo, e perdona pubblicamente il giovane agente che lo aveva arrestato. In fondo non sapeva con chi aveva a che fare. Da quel momento in poi tutti i poliziotti di San Francisco cominciarono a fare il saluto all’imperatore ogni volta che lo incontravano per la strada. La popolarità di Norton era tale che, verso la fine della sua vita, fu oggetto di leggende vere e proprie che lo volevano parente dell’imperatore Luigi Napoleone Bonaparte, prossimo sposo della regina Vittoria – peraltro già maritata – e ci fu persino chi affermava che in realtà l’imperatore era immensamente ricco, ma viveva da povero a causa della sua avarizia.

Chi può affermare davvero che Joshua Norton fu una persona con disturbi mentali piuttosto che un vero imperatore? La sua città lo trattava come tale, e lui come tale visse. È vero che i suoi proclami non avevano effetto, ma c’è chi fa notare che molte altre leggi “reali” subiscono lo stesso destino. Alcuni dei suoi dettami, per altro, ebbero un effetto per così dire “postumo”: più volte Norton si pronunciò per la costruzione di un ponte che collegasse la baia, e oggi il Golden Gate è uno dei simboli di San Francisco. E inoltre la sua figura era veramente in grado di esercitare un ascendente sulla popolazione, almeno quella di San Francisco. Eclatante fu il caso di una manifestazione anti- cinese – se ne verificavano molte negli anni sessanta e settanta dell’Ottocento a San Francisco – che stava per sfociare nella violenza; l’intervento di Norton, che si interpose fisicamente tra le fazioni, riuscì a smorzare gli animi. Insomma, Norton I fu considerato su sovrano dai suoi concittadini, e non soltanto visse come tale, ma come tale morì. Nel 1880 ai suoi funerali si radunò una enorme ingente, di oltre 30 mila persone, su una popolazione che allora non superava le 230mila unità. Le spese per il funerale furono coperte alla città di San Francisco. Le sue spoglie mortali, seppellite nel cimitero massone, furono riesumate nel 1934 e spostate nel Woodlawn Cemetery di Colma, dove si trovano tutt’ora. A segnare la sua tomba è stata posta una grande pietra dove è stato scolpito il suo nome: Norton I, imperatore degli Stati Uniti e Protettore del Messico.

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2 Commenti

  1. Bello.
    Ma correggete le date nella prima parte del pezzo, altrimenti Norton I, oltre ad essere imperatore, era anche un Highlander.

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