stati d’animo
di Paola Lodola
– Questi tre quadri che vedete sono tutti dello stesso pittore. È un pittore italiano e si chiama Umberto Boccioni. Non sono realistici come quelli di prima con i contadini.
La lavagna luminosa su cui un minuto fa era proiettato Quarto Stato, ora è divisa in quattro rettangoli: tre sono occupati dalla serie degli Stati d’animo che vedremo la settimana prossima al Museo del Novecento, il quarto dai titoli, tutti mischiati, scritti in grande.
– Ma non si capisce niente – dicono in molti.
– Questi sono dipinti in modo un po’ strano. Boccioni dipingeva le persone e i posti in modo diverso da come sono.
– Perché?
– Per farci vedere cose che normalmente non vediamo, ma esistono in un certo senso. Questi quadri servono per farci vedere gli stati d’animo.
– Cosa?
– Per farci vedere quello che succede dentro di noi in certi momenti della vita.
– Non capisco cos’è. Sono tutte righe.
– Ma vi sembrano uguali?
– Cosa?
– I quadri, i tre quadri vi sembrano uguali?
– Nel primo le linee sono per così, nel secondo sono in giù e nel terzo non capisco.
– Prof, sembra l’inferno.
– Quale?
– Il terzo soprattutto.
– Sì prof, ci sono anche degli uomini.
– Dove?
– Là, non li vede?– Gabriel si alza di scatto compiaciuto per la propria scoperta. Appoggia una mano sul banco e l’altra la usa per indicare la lavagna e farmi vedere.
– Sono lì, fra le onde, con la testa e le spalle.
– Di che colore?
– Neri, non vede?
– Ah, sì eccoli – dico mentre mostro a tutti delle sagome, circondate da pennellate vigorose di rossi e di bianchi.
– Quindi il terzo è quello che vi sembra più spaventoso, più agitato?
– Sì, il terzo non è calmo. È tutto mosso.
– E negli altri quadri cosa vedete?
– In quello di qua ci sono degli uomini che camminano, ma piano.
– Quello di qua quale? Il secondo? Questo a destra?
– Sì. Sembrano morti prof. Come si chiamano?
– Zombi?
– Sì.
– E il colore? Di che colore è questo quadro secondo voi?
– Verde.
– Verde acceso?
– No, verde grigio.
– E il primo vi piace?
– Il primo non si capisce niente.
– Prof, ci sono delle case.
– Dove?
– Là, in alto, le vede?
– Sì, le vedo. E le righe in questo come vi sembrano?
– Vanno in là, come si dice?
– Orizzontali.
– Ecco, orizzontali. E poi questo è più colorato, più allegro, vero prof?
– Io non vedo niente – dice Nourdine.
– Ma le case non le vedi? – gli chiede brusco Luis.
– No.
– Ma sono là! – gli urlano in due o tre.
– Adesso leggete i titoli dei quadri. Sono questi tre scritti in basso a destra.
Mical, con la sua voce squillante attacca – Gli addii, Quelli che vanno, Quelli che restano.
– Ora dovete mettere ogni titolo al quadro giusto.
– Cosa vuol dire “Gli addii”? – chiede Tamer.
– Nessuno lo sa?
– Addio. Per salutare uno per sempre – dice svelto Juan Carlos
– Sì. Quando due persone che si vogliono bene devono salutarsi, e sanno che è per tanto tempo, si dicono addio, non ciao.
– Gli addii è il terzo, vero prof?
– Perché secondo te Gli addii è il terzo?
– Perché è un inferno.
– Tutti d’accordo con Nourdine che Gli addii è il terzo?
– Sì – conferma qualcuno.
– E dove sono secondo voi?
– Come dove sono?
– Dove sono quando queste persone si salutano? Dove si trovano?
– È l’inferno.
– Sì, è l’inferno Mical, perché gli addii sono terribili ma dove sono? Non sono in un posto preciso secondo voi? per strada, alla stazione, in casa?
– Ah, ma non sono morti?
– Gabriel no, non sono morti.
– Ma non si vede un posto.
– Lo so, ma immaginate.
– Forse sono nel mare. No no, aspetta. Qui ci sono due macchine vecchie. Ma dove sono prof?
– Non capisco neanch’io. Forse stanno correndo per prendere il treno o il pullman.
– Perché sono tanti che partono.
– Okey. Questo è Gli addii in ogni caso. Adesso resta da capire qual è Quelli che restano e qual è Quelli che vanno.
– Facile. Quelli che restano è il primo che è più allegro.
– Sì, prof è quello più bello. Invece quelli che vanno sono tristi e camminano piano perché sono tristi che devono andare via.
– Tutti d’accordo?
– Io sì. Se uno deve andare via è triste e cammina così.
– Ma non pensate che magari uno scelga di andare via, perché gli piace cambiare. La sua vita gli sembra più allegra e colorata se può cambiare qualcosa, non vi pare?
– Ma chi è che va via contento?
– Se uno non è contento dove abita e vuole cambiare città, quando finalmente può partire è contento. Prende il treno per partire e vede dal finestrino le città che passano con tutto il vento davanti che è il vento del treno.
– Ah, ho capito – dice Martina contenta – e le righe orizzontali sono le righe del vento?
– Sì, forse. Non vi sembra bello?
– No. A me no. Se uno può stare nel suo paese è contento, ha tanti amici, fa le feste, va al mare. È più bello, con quei colori che ci sono lì, della festa. Se uno deve partire poi è sempre da solo, non ha nessuno che conosce, cammina piano perché non sa dove andare o sta sempre a casa.
– Sì, come noi qui.
– Voi state sempre a casa?
– Sì prof. Noi usciamo solo per venire a scuola. Altri posti non ci sono dove andare.
– E diventiamo tutti timidi.
– Come diventate timidi?
– Sì prof – dice Valerya – qui noi siamo timidi. Ma prima non eravamo così.
– All’inizio è difficile ma poi vedrete che sarà anche interessante stare qui. Vi farete degli amici.
– Interessante non è.
– Da cinque mesi sono qui e non ho conosciuto nessuno fuori da scuola.
– Ma quando farete un’altra scuola o lavorerete andrà meglio.
– Allora qual è titolo per il primo quadro? – chiede Chao Jing che non riesce a seguire bene tutta la discussione.
– Il titolo giusto del primo quadro è Quelli che vanno e del secondo è Quelli che restano.
– Secondo me è sbagliato – protesta Christian – per me è il contrario.
– Va bene. Mettete il titolo che volete. Boccioni ha dipinto questi quadri cento anni fa e cento anni fa prendere il treno o l’aereo, viaggiare veloce, cambiare città vedere altri posti, che non poteva vedere in televisione, gli sembrava bello, allegro.
– Però non è sempre così.
– Solo se vai in un posto bello, con soldi, la famiglia e tutto, allora è bello.
– Se decidi.
– Sì, se decidi tu è bello. E sai che quando vuoi puoi tornare.
– Non c’è il quadro con Quelli che tornano?
– No Antony, non c’è.
– Perché?
– Non lo so. Forse perché Boccioni era interessato al futuro e pensava che si dovesse andare, andare e non tornare mai.
– Perché?
– Perché quando viveva lui si vedevano le prime macchine in Italia, la luce elettrica, i treni, il futuro. Quando ci sono tante novità tecnologiche si pensa al futuro come un cammino sempre dritto, senza ritorni. Non lo so perché non lo ha dipinto. Ma voi come immaginate il quadro di Quelli che tornano?
– Io bellissimo, di festa – urla contenta Mical.
– Potreste farlo voi. Martedì, quando fate arte, potreste dipingere il vostro quadro con Quelli che tornano.
– Con le righe orizzontali o verticali?
– Come volete.
– Secondo me ci vogliono questi – dice Juan Carlos muovendo una matita nell’aria.
– Dei cerchi?
– Sì, dei cerchi per far vedere il ritorno. E per gli abbracci tambien.
I commenti a questo post sono chiusi
grazie, molto istruttivo
Il Nobel per la letteratura
al poeta svedese
Thomas Transtromer
molto interessante, specie l’intervento finale dei ragazzi sui cerchi:
http://viomarelli.splinder.com/post/13496189/les-commencements