Overbooking – Maurizio Bettini
Maurizio Bettini, Per vedere se, il melangolo, Genova 2011.
If
di
Gigi Spina
Immaginate un uomo di oltre sessant’anni, Massimo Bartolini, ‘figlio del capitano’, che inizi così il suo racconto: ‘Mio padre abitava in una strada che non esiste più. È scomparsa dopo la guerra, sepolta sotto la costruzione di un palazzo in cemento armato che ha cancellato tutto ciò che c’era prima. Anche la strada’. E poi continuate a immaginare: che a Massimo Bartolini prenda la voglia, un po’ maniacale, di ripercorrere strade e palazzi d’epoca fascista della sua città – alto Tirreno – per scoprire quelli che potrebbe avere frequentato suo padre, magari prima che il cemento armato cancelli davvero tutto. Sì, perché, ‘l’Italia del resto è fatta così, lo scorrere del tempo lascia dietro di sé palazzi di cemento e terrazzi con le scope appoggiate alle ringhiere’.
Le scope, si sa, puliscono, tolgono i residui di vita accumulati dal tempo. E quindi occorre affrettarsi a ricostruire una memoria decente, magari per lasciarla ai propri figli. Così la pensa Massimo Bartolini. Il quale, attirato per puro caso da un necrologio in cui riconosce lo stesso nome che ha firmato una cartolina indirizzata a suo padre e da lui gelosamente conservata in un cassetto, si mette in viaggio, attraversando l’Italia da un mare all’altro, per scoprire cosa volesse dire il ‘ricordo di gratitudine’ che precedeva la firma. E ‘per vedere se’. Attenzione: non ‘per vedere che’, titolo anch’esso monovocalico – ma l’Oulipo non c’entra, anche perché Georges Perec non avrebbe amato veder riapparire così in primo piano una vocale di cui aveva raccontato la disparition -, ma ‘se’. Massimo non va alla ricerca di verità oggettive, ma di ipotesi, perché la sua è un’età e una generazione di incertezze; del resto, non sa neanche cosa rispondere alla donna dal naso diritto che in treno gli ha chiesto ex abrupto: ‘Lei considera l’Italia la sua patria?’.
Maurizio Bettini, MB come il nostro protagonista, ha raccontato da par suo, con uno stile ‘novecentesco’ asciutto e dal ritmo coinvolgente che sfiora le tinte del giallo (senza assassini, beninteso) e non manca di sprazzi di ironia e comicità, ‘una storia semplice’ in cui si affollano personaggi indimenticabili, ciascuno pronto a fare i conti con identità e memoria, per fortuna ancora fuori dall’indiscreto clamore mediatico. L’inaspettata e spiazzante conclusione, del resto, dà ragione all’istintiva esitazione di Massimo di fronte alla perentoria domanda della signora dal naso diritto.
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Bella recensione che fa venir voglia di leggere…si passerebbe la vita a farlo, ma non c’è tempo sufficiente per tutti i libri…e poi leggere è sempre un po’ passivo, come guardare un film, ascoltare una conferenza, viviamo così di riflesso…
Bello il libro di Maurizio Bettini, che si legge d’un fiato, bella la recensione di luigi spina. Quanto al commento di Mariateresa che precede il mio, e in cui non mi riconosco, mi ha ricordato il graffito pompeiano “pedicatur qui legit”…
e l’idea che il cemento armato si usasse anche prima della guerra (cioè durante il fascismo), no eh?