Note per un diario parigino


da Chiunque cerca chiunque
di
Francesco Forlani
il pdf del romanzo è qui

Quattordicesimo capitolo 

Rue du Paradis

Mo, oui, mo propre, t’arricuorde, te souviens tu?

Della volta che alla festa, lì in giardino, a Montreuil, da Giusti l’editore di Breccia e José Muñoz, si rimaneva aggrappati alle panche ed al vino,  e tu che mi servivi da bere – la musica arrivava chiara e forte dall’interno e si sentiva la gente ballare a coppia e da soli- con Massimo che controllava l’orologio perché quando lui si rompe i coglioni lo deve vedere scritto, e quando è scritto, il numero in genere non va oltre la mezzanotte. Le luci soffuse che erano dentro e fuori e respiravamo l’aria diversa da quella della città seppure la separasse da essa una sola fermata di metropolitana. Una differenza di cinque, dieci gradi di luce in meno e di stelle che ti sembravano uscite a far festa di nuovo solo perché guardavi il cielo terso delle banlieues quello su cui quando si infiammano, le colonne di fumo precedono di un miglio quelle dei CRS, e delle tute blu con gli sfollagente.

Patrick racconta a Maurizio del suo vicino porco, che ogni volta che apre la porta sentendolo salire, viene fuori un’odore di talco come dai vecchi barbieri. Oppure un bambino cinese  gli spunta da sotto il braccio per scendere lungo le scale e che porta sull’espressione del volto il sudiciume del mostro.

– Ogni volta che facciamo una festa da Patrick e Claudie quello chiama gli sbirri che salgono a controllare e ci fanno la multa.

Patrick ha un cappello alto sulla fronte e da sotto al cappello qualche ciuffo  nero gli viene fuori. Maurizio lo sta a sentire, poco dopo arriva Livia, che ne segue il racconto:

– Ma tu lo sai che l’umanità si divide in collabò e resistenti? Tra quelli che in piena occupazione nazista non si sarebbero fatti nessuno scrupolo e gli altri, tutti gli altri,  disposti a morire piuttosto che  fare un nome che sia uno…

 

Mo, oui, mo propre, t’arricuorde, te souviens tu?

Mi dicevi di avere avuto a che fare con assassini, trafficanti di auto rubate, di coca, quelli che alle serate sono ospiti graditi e non c’entrano un cazzo con il resto della tribù- te ne accorgi da come è vestito, dal tic, dall’entrare e uscire dal bagno, ma soprattutto dal trattamento di favore del padrone di casa. Mi hai detto. E per questo mi hai chiesto una ciliegia che si trovava matura rossa, che sembrava una luna a guardarla tra i rami e le stelle, sospesa a meno di un metro dalle teste e i cappelli di tutti. la roscia, la roscia, con le tette grosse, tu sei. E mi hai fatto la scala stringendo le mani come ti ho detto di fare che mi ricordavo di quando  a Caserta dai Giardini della Flora, da ragazzi si faceva così per raggiungere il primo pezzo di muro, il buco che faceva d’appiglio, per seguitare a rampicarsi, saltare  e cadere a piedi uniti sull’erba del parco della Reggia,  Così l’ho raccolta  e facendo pressione sul ramo con un solo braccio con l’atro ho portato la mano fino alla bocca. Tu hai leccato le dita, prima, poi il frutto che sembrava maturo e così sono sceso. Che quasi cadevo e mi hai sorretto.

 

Mo, oui, mo propre, t’arricuorde, te souviens-tu? 

 Abbiamo ballato con gli altri fino a quando Morelli, Andrea Morelli, che ti dicevo che come un fratello mi aveva trattato alla partita di calcio a Vincennes, non è venuto in giardino a raccontare la storia della sua storia. Andrea mi dice che gli ricordo il Pierrot di Jean-Louis Barrault, il mimo che si incanta e dorme, sogna, ma poi si lascia passare sotto il naso le cose, e le rose, e fugge, fugge da tutto per salvare la pelle.

 

 Mo, oui, mo propre, t’arricuorde, te souviens-tu?  

Che mi hai dato un passaggio, che erano le due passate, plus de métro plus de rien, plus de Massimo che era rientrato con il primo scaglione e mi ha fatto segno, e mi hai aperto la portiera della macchina da ricca, che aveva il tuo profumo e hai messo in moto. Sei passata davanti all’Hôtel de ville e ti ho raccontato la storia di Gennarino, l’amico di Procida di Martina, che s’era piazzato da lei a Bastille e che al telefono mi aveva detto che di alberghi grandi ne aveva visti ma cazzo uno grande così mai e poi mai! Avevi riso come lui quando gli ho detto che Hôtel significa innanzitutto palazzo, e che quello era il municipio non un albergo. Così ti ho raccontato della fine della storia di quando prima di partire i ragazzi s’erano presentati con un Plateau Océan di ostriche e aragoste, granchi giganti, made in Bofinger, il migliore ristorante di pesce del quartiere, e che – cazzo vi sarà costato una fortuna. E lui: certo che ci sarebbe costato una fortuna, ma non l’abbiamo mica pagato. Seee, ma scusa tu l’hai mai visto un pescatore che si paga del pesce?  Il pesce è di tutti se è in mare e pure in strada, se cammina o se ne sta come uno stoccafisso con le pacche nel ghiaccio sui banconi illuminati tra i tavolini

Mo, oui, mo propre, t’arricuorde, te souviens-tu?  

Che risalendo per la Rue du Temple, a poche centinaia di metri dalla destinazione mi hai chiesto : che fai, scendi qui o sali da me?

– Cazzo di domande sono- ho pensato. E ti ho risposto: io russo ça ira?

Quando al mattino presto scendo in strada che più o meno sapevo dove eravamo stati, dove abitava lei, e perfino il piano, il primo, ma non la strada né il numero civico, scorgo la placca e mi viene un moto di commozione. Rue du Paradis. Azz! e poco oltre Rue de la Fidelité. Cazzo significava? Che dove finiva l’una, incominciava l’altra, ovvero che per raggiungere il paradiso bisognava essere infedeli, e dunque che la fedeltà significava l’inferno? O piuttosto il contrario, che l’una, la fedeltà portava a quello, però nulla poteva far pensare a lei come a una donna fedele, dal momento che, probabilmente ispirata dalla citazione del film di Marcel Carné alla mia domanda lanciata prima di lasciarci sul se mai ci saremmo incontrati, lei risponde:

– “Paris est tout petit pour ceux qui s’aiment, comme nous, d’un aussi grand amour.”

– Certo, però chi amerai tu a tal punto da poterlo incontrare? incalzo io e lei in vestaglia sulla soglia della porta di casa mi fa : ‘moi j’aime tout le monde

Bella e infedele. La migliore traduzione possibile del mal d’amore e delle sue guerre. Quando poi camminando, con le cafard,lo scarafone ‘nda capa, il tarlo, con quei pensieri che uno tiene, a pochi metri non incrocio l’Impasse du Dèsir? E io che faccio mo? Faccio finta di capire che in quell’incrocio si giochi la vita in generale, di uomo e di donna che sia. Che in realtà il tutto è nella sequenza, nell’ordine, nel modo in cui il caso regolerà i passaggi della playlist.

Arrivo da Massimo che è rimasto a casa solo dopo aver fatto tappa da Guy, Guido à les étages. Mi offre un caffè e quando gli racconto la storia si mette a ridere. Pure Massimo si mette a ridere quando gliela ripeto nella nostra soffitta. E visto che ne parliamo mi ripete la teoria libertina di Milan Kundera. Quando scrive che l’épreuve majeure per un libertino consiste nel fare l’amore con tre donne differenti in una sola giornata. Perché un libertino non ama perché ha bisogno e nessun uomo o donna  si pianificherebbero tre scopate con tre partner differenti in un giorno. Nella prova libertina almeno in un caso deve essere le hasard a fare la parte delle cose.

– Scusa Massimo dove vuoi andare a parare?

– Da nessuna parte, pensavo però che se si dovesse immaginare une carte per libertini, le tre amanti, o i tre amanti, dovrebbero abitare la prima alla Rue du Paradis, la seconda nella Impasse du Désir e la terzo in Rue de la Fidelité. e sai perché?

– Perché, e qui sfido chiunque a dimostrare il contrario, non c’è storia d’amore al mondo, nell’universo che non abbia abitato anche per un solo giorno, contemporaneamente tra tutte quelle mura

– Azz, Legge universalissima. da scriverci qualcosa

–  Ho una montagna di lavoro da sbrigare adesso, io. Però scrivilo tu sto benedetto libro, è una materia che ti appartiene fino in fondo, perciò va avanti. Ma poi finita la prima stesura, a costo di impallinarti il cervello, rileggi con attenzione e fai uscire la tua opera maggiore!

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3 Commenti

  1. Il brano che preferisco è quello dedicato alla ciliegia, luce della mia infanzia, quando fiori bianchi hanno il sapore del miele, quando il vento fa cadere un mare di piccole lacrime sull’erba, il fiore della mia infanzia, senza erotismo, ma tu parli della ciliegia nel suo colore perfetto, eterno e del parco di Caserta che ho
    visto
    in un lampo,
    alberi stretti con un leggero spazio per il giorno; era li il tuo regno d’infanzia, quando avevo il mio giardino in Languedoc, e che non sognavo all’amore, o piuttosto alla tortura dei corpi nel male, quando la mia innocenza non era.
    Si, preferisco parlare di Caserta, e dimenticare Parigi, la sua tristezza, non era una festa- di festa libertina- non era per me, credo che abito la rue de la fidélité, senza capire la leggerezza dell’erotismo.

  2. Il désir, in ogni caso, è sempre un’impasse.
    Grande la tua psicogeografia erotica, Franzisko. Ma il libro su Parigi lo stai facendo tu, non solo per Max, ma anche per me :)

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francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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