A Tunisi s’aprono i fiori notturni
La storia di un uccello tunisino
di
Medhi Hamili
traduzione di Francesca Bellino e Ahmed Hafiene
Stavamo sognando
la notte in mezzo alla giornata
la mia mano si chinò verso la tua
cercando una passione che ci portò
lontano dalla tempesta
e ci fece atterrare su una montagna verde
noi uccelli impauriti
ci sentivamo soli
ci interrogavamo
e rispondevamo con silenzio
i nostri occhi stavano raccontando storie
e una lacrima che andava
e un’altra che arrivava
E ora
dopo quante estati
che ho sprecato ai lavori forzati
lontano da te
dopo quanti autunni
con le sue foglie morte
la mia anima vagava
un muro sbatteva e un muro accoglieva
e tornavo a scrivere con il mio sangue
il tuo nome che mi fa scordare le pene
Sento che muoio per te
Fra qualche giorno
compierò anni di disoccupazione
anni insignificanti
in cui niente è cambiato
e noi rimaniamo uccelli impauriti
dalla gente e dagli occhi
dai pettegolezzi
che uccideranno quello che è rimasto dei nostri sogni
parole che ci fanno ritornare a mille anni fa
parole che ti dicono …Hai famiglia
e la tua tasca è la tua mente
non posso darti che solo una rosa
la rubo da qualsiasi giardino
perché nel mio Paese
le rose hanno i loro padroni
e quello che s’innamora come me
non ha che i suoi sentimenti
da cui mangiare
da cui sognare
con cui costruire
quattro mura
in cui i suoi parenti possono abitare.
Quando arrivi
tutto cambia
la vita è più dolce
anche il Paese si risveglia
Purtroppo non posso fare niente
per cambiare il buio della mia notte
e crearti come luce
solo il mare ha la risposta
ci vado in una notte
lontana e tornerò da te
e forse non tornerò
volerò come rondine di primavera
in un cielo blu
e forse non tornerò
e mi piangerai con sospiri
ogni volta che il vento devasterà
anche mia madre
con la tristezza invecchierà
Me ne vado
e temo di non tornare
e temo che la mia voce appassirà davanti al tuono
e tu non mi sentirai
temo che il dolore mi prenderà
e mi agiterà in mezzo alle afflizioni del mondo intero
Ti lascio dietro di me nel vento
uccidendoti le ferite
temo di lasciarti in un Paese
fra il sogno e il risveglio
fra il miraggio e la verità
e verrà a prenderti una prima raffica
più dolce delle nostre anime
Non dire niente
sorridimi per l’ultima volta
per me sei il mio Paese libero
vai a piangere in un angolo triste
scordati che ci siamo incontrati
che abbiamo chiacchierato
che abbiamo sognato
che eravamo innamorati
e ci siamo feriti
e uccisi senza impedirlo
Lei è partita
con il nodo al cuore
e io ho preso la strada del mare
ho trovato trenta uccelli feriti come me
tutti hanno subito l’ingiustizia di questa terra
hanno avuto la vita febbrile
nel Paese del buio
Paese dove si impiccava la luna
e le stelle si rompevano sui suoi muri
e non senti che i cani che abbaiano
sul tempo che passa
e non torna
sulla gente che non ascolta
che è sorda
Siamo riuniti noi trenta uccelli
in un nido rotto e abbandonato
onda che porta e onda che riporta
e ora
lo stormo è sparso nell’acqua
Lì mi sono ricordato di te
urlavo nelle onde alte
dicendoti fammi sentire le tue preghiere
non deludermi
non mi scordare
ho visto i tuoi occhi mentre andavo verso la morte
ridevo della sconfitta
dicendo sono l’ultimo uccello dello stormo
ancora vivo
se avessi avuto ali avrei volato
ma purtroppo
la vita è un cane maledetto.
Parigi 2008
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commozione sincera, è una meraviglia che scuote. grazie Francesco.