Masaniello e la camorra: un’associazione arbitraria
di Silvana D’Alessio
Spiace vedere come un approccio superficiale all’indagine storiografica trovi spesso facile eco nella divulgazione televisiva, sia pur di qualità.
Un esempio in tal senso è stata la trasmissione del blasonatissimo Superquark di Piero Angela, dell’11 di agosto scorso, trasmissione che ha suscitato molte perplessità in particolare per quel che attiene all’intervento del prof. Alessandro Barbero su Masaniello e i napoletani rinchiusi nel carcere di Fenestrelle *. Come studiosa che si è occupata per anni in prima persona dell’argomento, non ho potuto ignorarla, benché mi trovassi all’estero. Tornata in Italia, ho avuto modo di seguire più da vicino, fra l’altro sul sito dell’Istituto di ricerca storica delle Due Sicilie, la polemica scoppiata a causa dell’intervista di Angela a Barbero; il professore ha affermato che nella rivolta si possono vedere le origini della camorra; che Masaniello sfruttava la prostituzione, che metteva pace nel mercato e che era invitato da molti tavernari proprio perché si trattava di un “piccolo boss”; ha sostenuto inoltre che la rivolta è scoppiata contro una gabella – quella della frutta – che colpiva chi vi lucrava, chiedendone il pizzo, e che l’incendio alla dogana dove si esigeva è stato compiuto in “perfetto stile mafioso”, precisando che affermava ciò sulla base di nuove fonti, “rapporti di polizia” e altre testimonianze, emerse di recente.
Di primo acchito, non essendo stata chiamata in causa direttamente, non sono intervenuta, ma ho poi constatato che sul sito dell’Istituto di ricerca storica delle Due Sicilie, il professore ha affermato che gli indizi che portano a pensare che Masaniello avesse tratti camorristici si rinverrebbero nelle testimonianze riportate nella mia biografia, Masaniello. La sua vita e il mito in Europa edito dalla casa editrice Salerno (e recensito dallo stesso Barbero su La Stampa) nel 2007.
Vorrei toccare i punti specifici su cui il prof. Barbero si è soffermato, ma non mi dilungherò eccessivamente, per evitare di scrivere una filippica.
Dall’affermazione di un cronista del tempo, che riporto nella mia biografia, secondo cui “non si sentiva rumore, che Masaniello non fosse il mediatore, non controversia, che lui non decidesse, non Ingiustizia, che da lui non rimediasse…” (Masaniello cit., p. 69) emerge solo il desiderio del personaggio di “mettersi in mezzo”, di dire la sua, di essere insomma un punto di riferimento per gli uomini e le donne del mercato. Era infatti, come si sa, capitano degli Alarbi, cioè dei lazzari che si esibivano durante la festa del Carmine, il 16 di luglio.
Masaniello non sfruttava la prostituzione: non vi è un solo rigo del mio libro da cui si evince una cosa simile. Ho scoperto che la madre di Masaniello, la sorella e la moglie si prostituivano, ma questo non vuol dire che egli le sfruttasse. Certamente la prostituzione a Napoli era diffusa, non solo nei ceti bassi, ma ciò si spiega perfettamente nel quadro socioeconomico di una città stremata dalle gabelle.
Definire le gabelle “tasse” può essere fuorviante: erano piuttosto esazioni inique imposte dal viceré di turno con l’assenso dei seggi nobiliari, ed erano finalizzate al finanziamento delle operazioni militari con cui la Monarchia spagnola difendeva i suoi domini. Nella mia biografia descrivo le modalità con cui venivano introdotte, la vacuità della carica di eletto del popolo, asservita al viceré, l’appoggio di uomini che in cambio ottenevano o la benevolenza del viceré o la possibilità di arricchirsi, grazie all’appalto della gestione delle stesse gabelle.
Non riesco a comprendere su quale base il professor Barbero possa sostenere che la gabella sulla frutta abbia colpito soprattutto quelli che “prelevavano il pizzo e si trovavano meno nelle tasche perché le tasse erano diventate più pesanti”. Se il professore la pensa così, naturalmente, è libero di farlo, ma non sarebbe corretto inferire che nel mio libro si trovi un’affermazione simile. Furono soprattutto coloro che non potevano permettersi di comprare altro che un po’ di frutta o di ortaggi a risentirne. Ma, in generale, la gabella fece acuire un senso di malessere già radicato in tutti i ceti cittadini. Masaniello non era tra coloro che lucravano sulla gabella: sin da piccolo, si legge in una fonte sincrona, aveva mostrato insofferenza verso i gabellieri. Le gabelle impiegavano numerose persone: assicuravano rendite agli appaltatori e guadagni a chi decideva di cooperare con le esazioni, giorno dopo giorno. Nessuno della famiglia di Masaniello risulta vicino a quel gruppo di uomini, che invece, evidentemente, servivano chi aveva scelto di rispondere alle esigenze del viceré.
L’incendio alla casa della gabella sulla frutta fu con buona probabilità addirittura voluto dall’eletto del popolo, che cooperava con il viceré, timoroso che la plebe potesse togliergli la vita, essendo appunto adirata per la gabella appena introdotta. Come si può affermare che sia stato un gesto in perfetto stile mafioso? Che cosa c’entrano mafia e camorra?
Masaniello certamente apparteneva ad un ceto abbandonato a sé stesso, marginale e frammentato: questo si può affermare, ma sostenere che abbia avuto una fisionomia camorristica è infondato.
Nella mia biografia riporto una testimonianza secondo cui Masaniello entrava nelle osterie e non pagava. Tuttavia la fonte da cui cito lascia ben intendere che ciò accadeva per la sua popolarità e i tratti istrionici del suo carattere (si parla infatti di “buffonerie” e di “concetti” imparati a memoria, e della sua capacità di “radunare molto popolo”) e non perché fosse, come è stato detto a Superquark, un piccolo boss del mercato (tra l’altro, è davvero difficile da utilizzarsi il termine di “boss” per un uomo del Seicento).
Molti cronisti seicenteschi ritraggono Masaniello come un giovane vivace, capace di ascoltare chi sapeva di più (cosa non scontata in considerazione del contesto di origine), e di parlare al cuore degli uomini e delle donne della sua città, come il viceré o altri non avevano mai fatto. Fu grazie al suo supporto – come è stato mostrato da storici che hanno scritto prima di me – che la plebe compì nei primi giorni della rivolta ogni operazione ritenuta necessaria dal dottore in Legge Giulio Genoino, indicatogli, ad un certo punto, come persona saggia e capace di guidare il popolo. Sotto la guida di Masaniello, durante i primi giorni di rivolta, i plebei, pur affamati e scalzi, non rubarono nulla del “ben di Dio” che prelevarono dalle case di quanti si erano arricchiti con le gabelle, per farlo bruciare per strada, in altissimi roghi. La plebe di Napoli credeva senz’altro nei suoi capi.
Ciò che emerge dalle cronache seicentesche è che Masaniello fu poi strumentalizzato dal viceré, determinato a sporcarne l’immagine. Se era diventato più potente di lui, che era stato costretto a rifugiarsi in Castelnuovo, bisognava far pensare al capitano del popolo come ad un tiranno e ad un pazzo. Fu quindi vittima di un complotto ampio, ordito a palazzo. La sua figura è perciò tragica: stando a ciò che affermano le fonti, Masaniello merita almeno rispetto per il suo contributo ad una rivolta che da molti fu percepita come una vera e propria nemesi, e per il fatto di aver effettivamente perseguito il bene comune (cfr. ancora il mio Masaniello cit., p. 196).
Spero che queste mie poche precisazioni servano se non altro ad allontanare definitivamente l’idea che la mia biografia presenti l’immagine di un Masaniello camorrista: in essa ho piuttosto cercato di far sentire la voce dei testimoni del tempo e di ricostruire giorno dopo giorno le mosse del celebre, ma poco conosciuto, “eroe” napoletano, fino ai suoi partecipatissimi funerali.
* Rimando qui al video del suo intervento a Superquark (dal tempo 1.07.33 –
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La storiografia, a volte, si fa influenzare dai luoghi comuni e dalle piaghe dell’oggi. Si può certo affermare a livello generale che fra il XVI e il XVII secolo, a Napoli furono gettate le basi storiche almeno del modus operandi camorrisitico – avallato dalle istituzioni – se non ancora del “sistema” vero e proprio; altro però è parlare di camorra in nuce riferendosi a uno dei pochissimi esempi di ribellione popolare in quella città. Verrebbe da pensare, quasi, che la lettura di quel Professore sia in qualche modo segnata dal pensiero oscurantista che oggi attribuisce esclusivamente ai Napoletani la causa di ogni loro male, e il monopolio totale della camorra (basta ascoltare qualche tg che denuncia la “colonizzazione camorristica” del Nord, mentre da decenni ormai non è più questione di territorio regionale un certo modo di operare, lucrare, sostituirsi allo Stato).
Grazie a Silvana D’Alessio per queste specifiche.
Noto incidentalmente che, a quanto ricordo dalla lettura delle cronache citate nel libro, in una certa fase della rivolta Masaniello viene preso di mira da banditi, potremmo ben chiamarli “guapos”, o manzonianamente bravi: miserabili assoldati dal notabilato ostile alla rivolta stessa. Ora, è evidente il filo rosso evolutivo che procede dal modo tenuto dalla nobiltà spagnola nell’opprimere i popoli del napoletano ribellati al modo tenuto dalla camorra collusa col potere politico ed economico globalizzato nel deturpare il territorio e deprivarlo del suo potenziale umano ed economico. La plebe si stringe attorno al capopopolo, all’inizio, prima di farsi abbindolare dal complotto tessuto fra vicerè e arcivescovado. E molti dei nemici che Masaniello, con la sua azione di giustizia e di contenimento degli eccessi, si fa fra la parte deteriore della stessa plebe, sono individui che oggi non esiteremmo a riconoscere nel bacino di coltura di degrado sociale senza riscatto da cui si origina la bassa manovalanza della camorra. In pratica, se agli occhi della poco pulita operazione culturale che intuisco dietro la tesi storiografica superficialotta di un Barbero, le fonti su Masaniello autorizzerebbero l’interpretazione “Masaniello camorrista”, a leggere meglio quelle stesse fonti emerge piuttosto un’altra interpretazione: la possibilità che Masaniello rappresenti il tentativo delle plebi napoletane di emanciparsi da quella coazione a ripetere dell’acquiescenza che oggi ci dona come frutto il predominio della camorra. Il che ha un ben preciso significato, a fronte dell’idea di chi vuole vedere in Napoli una città che ha come modello la camorra e la sopraffazione anche nei suoi eroi.
A lu tiempo de li ‘ntrallaze
Masaniello è bestuto da pazzo.
(E chisto è ‘O cunto e Masaniello – Cfr. NCCP, Li sarracini adorano lu sole, 1974)
Secondo me, la camorra, in questa disquisizione, non c’entra nulla, ed è giusto osservare che forse non c’entra nulla nemmeno nell’intervento di Barbero, che mira ad altro, pure facendovi riferimento. A che cosa? Diciamolo pure: a una valutazione politica dell’oggi – altrimenti, a che cosa servono gli storici che vanno in televisione? Poi basta condire con un po’ di Aristotele per completare il quadro: se Masaniello era un camorrista, e se De Magistris è un Masaniello, allora De Magistris è (o sarà) un camorrista. Niente di più falso, ovviamente, innanzitutto perché quello che spiega bene la D’Alessio è che Masaniello va capito innanzitutto come una figura legata al suo tempo, impensabile per i tempi attuali (deduco io). Un “capopolo” intelligente e sensibile come Masaniello, oggi, non esiste, né potrebbe esistere. Tuttavia, il discorso della D’Alessio bisogna maneggiarlo con cura, perché nel tentativo di applicarlo all’oggi dal versante opposto a quello di Barbero (che vorrebbe i napoletani tutti camorristi, etc.), si rischia di fare la figura degli ingenui. Non si può ricavare da Masaniello un’idea della plebe virtuosa. La plebe non ha alcuna virtù (civile), se non quella di animare il ventre del popolo – e quella napoletana, in particolare, sappiamo bene quanto sia contraddittoria e laida nello svolgere una tale opera. Perché il punto chiave è che la plebe, essendo priva di raziocinio, innalza e abbassa i propri idoli in quattro e quattr’otto e seguendo modalità “ventrali”. Per questo è da ingenui pensare che Masaniello (o chi per esso, oggi) possa rappresentare un tentativo di emancipazione da parte delle plebi, per il semplice motivo che le plebi non hanno alcuna coscienza di classe – e dunque nessuna coscienza politica e civile. Arriviamo, insomma, dove tutti vogliono arrivare: un De Magistris, oggi, può riuscire a rivoltare Napoli solamente se, dopo aver ottenuto (elettoralmente) il sostegno della plebe, riesce a metterla da parte, utilizzando il raziocinio e l’intransigenza di una classe dirigente tutta da inventare. A Napoli c’è ancora (e sempre) tutto da vedere, ma nulla è scontato, e comunque nulla dipende dalla plebe, dal ventre molle, che deve servire soltanto a dare energia alla mente, poi deve tacere. Tutto quello che, insomma, non ha fatto Bassolino, il quale, confondendo ventre e ragione, pensava di rivoltare Napoli senza farsi male e senza fare male a nessuno, praticando un ecumenismo da strapazzo per salvare tutto e tutti. Masaniello va bene come stratagemma elettorale, come scusa o alibi, e De Magistris è stato abile, come tanti altri prima di lui, a mutuarne certe movenze, ma va subito dimenticato.
Sono perfettamente d’accordo. Non penso che si debba santificare la plebe, che fu a suo tempo, con Masaniello, contraddittoria e ondivaga e manipolabile -meno colpevole comunque dell’aristocrazia che la schiacciava.
Voglio però ribadire che se qualcuno è stato capace (putidamente) di leggere in Masaniello un camorrista, i dati storici considerati in modo equanime, se proprio dobbiamo piegarli a questa violenza dell’interpretazione a nostro uso e consumo, direbbero semmai l’esatto contrario: in Masaniello si legge piuttosto l’espressione, confusa e imperfetta, ma nobile nel coraggio e negli intenti, di uscire dalla coazione a ripetere della sudditanza ai poteri impropri della collusione.
Mi permetto di dire che il commento di K veicola concetti anacronistici: la plebe seicentesca non può essere assimilata a quella odierna, che ha una diversa coscienza e cultura. Questo esortare, poi, a mettere da parte il ventre della plebe mi sembra un po’ troppo manzoniano, quindi fuori tempo, fuori luogo e francamente anche fuori democrazia.
D’accordo fino all’ultima affermazione, che non condivido perché, ripeto, la plebe non ha alcunché di nobile o coraggioso, se non vogliamo consdierare nobile e coraggioso l’intento di riempirsi la pancia nel modo più comodo e indolore.
a F.D’E. (qui sopra, invece, mi riferivo a ventre).
Io ho sostenuto appunto, come premessa, l’inopportunità di paragonare la plebe passata a quella odierna. Ma io leggo anche quello che sta sotto la traccia dei discorsi, e sotto la traccia di certi discorsi parastorici c’è una questione politica corrispondente all’analogia di cui tu parli.
Il ventre della plebe, se è tale, va messo da parte. altrimenti, se è raziocinio, si faccia capire, e chi con essa deve dialogare, dialighi razionalmente, non contando i piatti da riempire. Fuori democrazia? può darsi – ma nel senso di fuori da una CERTA IDEA di democrazia.
Resto basita, non aggiungo altro perché certe affermazioni si commentano da sé. Buona giornata.
Molto interessante. Masaniello è simbolo di rivolta popolare. Ha una presenza storica nei libri dedicati a Napoli. Non a che fare con un inizio di Camorra. La camorra non è ribellione, è una minaccia per i cittadini. Cerca da sfruttare l’economia in modo nascosto. Mi chiedo se il professor parla con onestà, o cerca da attraere l’attenzione, intrecciando tratti di carattere e posizione camorriste. Non ho letto fino ora un solo libro evocando questa somiglianza.
Semplicemente, una parte della cosiddetta intellighenzia segue la moda di criminalizzare una parte del Paese, anche solo per inerzia mentale. E lo fa criminalizzando perfino i personaggi storici.
a F. d’E.
anch’io, come napoletano (non so tu da dove scrivi), sono rimasto basito da oltre 15 anni di bassolinismo plebeo. e ho imparato molte cose, te l’assicuro.
Non dimenticatevi che a Napoli la plebe è una realtà transclassistica. Perfino il re era plebe.
Bè superquark a quanto pare ultimamente dice un po’ di cazzate: giovedì scorso in quella trasmissione si è affermato che studiare materie umanistiche è inutile e che laurearsi in materie tecniche è “più difficile che laurearsi, ad esempio, in psicologia” ma è più remunerativo. Strano che non vi sia stato un moto di ribellione degli psicologi..
Poi non ho compreso fino in fondo quest’invito a laurearsi in materie tecniche adoperando metodi falsificatori: se in Italia esistono più laureati in materie umanistiche che tecniche, la politica economica dell’Italiana forse è bene che vada in altra direzione, assecondando i personali talenti dei nuovi laureati. Giaccé in altro ambito abbiamo difficoltà a concepire politiche economiche efficaci, in un clima internazionale concorrenziale al ribasso. Abbiamo un potenziale paesagistico e umanistico elevato, bene, sfruttiamolo.
L’ostilità tendenziale dei servizi di Quark verso un certo tipo di studi è nota e radicata. Con buona pace dei beni culturali che così verranno ignorati.
Che poi valorizzare i beni culturali, di cui l’Italia è starcolma, significherebbe portare gli stranieri, e i loro soldi, in Italia; e con quei soldi si potrebbero finanziare progetti scientifici importanti e veramente rivoluzionari, visto che abbiamo scenziati che non chiedono altro che rimanere in Italia per fare ricerca finanziata in modo adeguato.
Angela è tristemente famoso per la sua intolleranza verso il sud, come Bocca per Napoli e i napoletani e và sempre cercando il pelo nell’uovo per screditare un popolo diverso dal suo. Trova il prof di turno che stravolge quanto scritto da altri e fà teorie proprie.
Mi chiedo se la storia che conosciamo sia solo un punto di vista di altri interessati a mandare segnali di fumo.