Le invenzioni di Andrea Sparaco
Hommage
di
Enzo Battarra 1
“Figure dialoganti: i pizzini dell’anima”. Quasi un presagio, la raffinata ricerca di una sublimazione eterea. Andrea Sparaco aveva dato questo titolo alla mostra inaugurata domenica scorsa nella Chiesa dell’Annunziata a Teano e tuttora in corso.
Ora Andrea Sparaco non c’è più. Era nato a Marcianise nel 1936. I suoi “pizzini dell’anima” li ha lasciati come eredità terrena, portando con sé la storia di un uomo ricco di sentimenti e di genialità. Anche se le sue opere continuano e continueranno a vivere, un senso di vuoto, uno smarrimento totale invade il mondo artistico di Terra di Lavoro.
Il suo studio in via Mazzocchi 26 a Caserta, nel quartiere storico della Santella, in quello che è stato definito un tempo il quadrilatero dell’arte, ebbene il suo studio è stata la palestra formativa di generazioni di artisti, di operatori culturali e di intellettuali (due definizioni di altri tempi), di giovani intraprendenti desiderosi di frequentare il “salotto buono” della città. Qualcuno ha tenuto la sua prima esposizione proprio nel magmatico e pullulante studio di Andrea Sparaco.
Eppure, il suo atelier era la sua immagine. Ordinato fino all’ossessione, razionale come solo un artista può esserlo, contaminando paradossalmente regole e trasgressioni. E poi sensibile, di un’umanità sconvolgente, di una delicatezza estrema. Ma bastava avviare una discussione e solo allora il suo temperamento si scaldava sempre più. Sosteneva con vigore le sue tesi artistiche, sociali, politiche. Sosteneva con forza le sue idee e riusciva sempre ad averne. Idee buone, idee nuove, idee rivoluzionarie.
Dire che ha iniziato la sua attività nel 1958 non basta, è un connotato biografico ma non è quello che gli dà autorevolezza storica. Il 18 febbraio 1967 inaugurava insieme con le menti migliori della sua generazione e del suo territorio la collettiva “Nuove presenze di Terra di Lavoro: Proposta 66” al Circolo Sottufficiali di Caserta. E lì iniziava la grande storia che avrebbe accomunato Andrea Sparaco, Crescenzo Del Vecchio, Gabriele Marino, Antonio de Core, Attilio Del Giudice, i grandi protagonisti dell’arte casertana a partire dagli anni Sessanta. Ognuno diverso dall’altro per linguaggio ma soprattutto per identità culturale.
Andrea Sparaco ha sempre incarnato, seppure giovane all’epoca, il ruolo del vecchio saggio, con un’interpretazione sempre più calzante con il passare dei decenni. Si trovava molto a suo agio nel progettare eventi collettivi, nello spronare iniziative comuni, nel motivare se stesso e gli altri. Da lui partirono le prime prese di posizione di carattere internazionalistico degli artisti casertani, a cominciare dal 1968 per la Grecia, poi per il Vietnam, per il Sudafrica. È stato lui a realizzare decine e decine di manifesti, soprattutto negli anni Settanta-Ottanta, per iniziative territoriali del Partito Comunista o della Cgil. E con la sua proverbiale accuratezza presentò tutti questi materiali in una splendida mostra allestita nel 2007 nella sala delle Matres Matutae al Museo Campano di Capua.
E come non ricordare precedentemente la personale tenuta sempre a Capua nel 1990 nella chiesa di San Salvatore a Corte, dall’emblematico titolo “La memoria ha un grande futuro”. Nel 2001, poi, aveva realizzato una significativa antologica nell’ex tabacchificio di Santa Maria Capua Vetere, in quella che era diventata la sua città. Ancora una volta il titolo è illuminante: “Disegnare il tempo, scolpire la memoria: geometrie emozionali”. La mostra era a cura di Domenico Papa, catalogo Electa. In quell’occasione si tenne un incontro-dibattito con la partecipazione dei filosofi Massimo Cacciari e Lucio Saviani.
Andrea Sparaco è stato veramente un testimone attivo del suo tempo, capace di rapportarsi ai protagonisti della cultura nazionale, a cominciare dal compositore Luigi Nono, passando attraverso il genio di Luigi (Luca) Castellano. Nonostante ciò aveva scelto di essere un artista calato nella propria realtà territoriale, legato alle sue radici familiari e culturali. Per questo era e resterà per sempre un genius loci romantico, convinto che la cultura prima o poi sarebbe dovuta andare al potere.
Con mio fratello Geppi condividevamo la camera e il letto a castelletto. Credo si fosse preso a cuore il mio futuro sportivo visto che mi portava con lui alle partite di calcio della Forestale o ai campi di lavoro che mio padre organizzava a Casertavecchia. Poi un giorno mi trascinò a una maratona. Una corsa di cinque chilometri attraverso il centro storico della città e che, per poche ore, spazzò via le macchine dalle strade. La locandina di quella storica maratona di fine anni settanta rappresentava un uomo macchina un po’ sbilenco, a metà strada fra Pasolini – autoritratto nel Decameron e il celebre don Chisciotte di Pablo Picasso. Bene, quella locandina era un’opera di Andrea Sparaco e in basso recava la scritta: partenza sicura arrivo incerto!“.
Inutile dire che quella locandina rimase per diversi anni nella nostra cameretta e per qualche anno nel generoso monolocale in cui andai ad abitare vent’anni dopo a Parigi. Che cosa mi affascinava del disegno? Ma soprattutto che cosa era accaduto intanto perché potessi capire fino in fondo “il messaggio” dell’artista. Niente di che. Era accaduto a me quello che avveniva a chiunque a Caserta decidesse di dare un senso al proprio immaginario, esplorarlo, dargli forma, ovvero di andare a trovare Andrea Sparaco nel suo atelier. Così sul finire degli anni ottanta, insieme a Rosario Natale, musicista, e a una serie impressionante di altre persone del mondo delle arti visive e del buon vivere mettemmo su, nello studio di Andrea, un’operetta di pantomima dal titolo tanto poetico quanto eloquente: chi ha inventato l’aquilone? E già. Perché mentre in quel tempo, altrove si festeggiava il riflusso come reazione al tempo dell’impegno, che “evviva, finalmente possiamo farci i cazzi nostri!” si gridava tutti come inebetiti, nell’atelier di Andrea (nel suo studio) si poteva trascorrere un pomeriggio intero, in mezzo a sculture, tele, disegni, manifesti, a chiedersi chi avesse mai inventato l’aquilone. E non perché l’eventuale risposta dovesse contenere chissà quale verità, ma per il semplice fatto, mi viene da pensare oggi a trent’anni di distanza, che l’azione del sapere, e dunque del ricercare fosse essenzialmente un atto politico. Un atto politico, imparavo da Andrea Sparaco, era qualsiasi atto di natura poetica purché condiviso. Come nell’innocente, ma fino ad un certo punto, slogan della maratona, quella che importava davvero non era la certezza dell’arrivo ma la sicurezza della partenza. Da allora ho sempre pensato che dovendo scegliere tra vocazione e ambizione del progetto, quasi naturalmente, ho sempre creduto che l’accesso alla vocazione, sapere come e cosa e chi si potesse amare, fosse più, come dire, essenziale della carriera. Ecco perché mi stanno sul cazzo quanti non riescono a vedere, leggere, capire certi percorsi se non inscritti in un’ Accademia, in un mainstream, in un mercato. Ecco perché sarò sempre dalla parte di artisti come Andrea Sparaco la cui opera ha spiccato il volo al principio della sua vocazione e che oggi, che l’artista è andato via, scomparso, ci ha lasciati, continua la sua migrazione, imperterrita oltre ogni Accademia, mainstream, mercato, suscitando in chi verrà dopo di noi, quella stessa domanda che un pomeriggio piovoso a Caserta, Andrea ci aveva aiutato a formulare: chi l’avrà mai inventata un’opera così?
- pubblicato sul Mattino di ieri↩
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Forse quelle di Andrea sono state le prime opere artistiche ad entrare nella casa popolare della mia famiglia al Rione Tescione… per educazione politica (diciamo così) mio padre aveva (negli anni ’70) sui mobili del suo studio, tra le tante cose, un cofanetto de “Il capitale” (Ed. Riuniti 1956), una foto di Enrico Berlinguer e una cartella di disegni di Andrea. Molti anni dopo, fine anni ’80, avrei conosciuto personalmente l’autore di quei disegni ed iniziato a frequentare il suo studio. Poi nel 2003 per una mia iniziativa a San Leucio, Andrea elaborò una delle sue “macchine” (quella per estrarre il vino direttamente dal terreno) ed allora ebbi modo di capire in diretta il suo approccio metodologico nella creazione del prodotto artistico… mi telefonava spesso, aveva bisogno di confrontarsi, di sentire la partecipazione del “committente” ed entrare più a fondo nel concept dell’evento conplessivo che stavo preparando. Insomma sicuramente quello che ricorderò sempre di lui saranno,soprattutto, il rigore, la passione e la tenacia che mi trasmise in quelle settimane di otto anni fa. Giancarlo Pignataro
Molto bello l’omaggio… Un talento casertano ritratto con precisione e delicatezza.
Apprendo in questo momento la terribile notizia.E’ morto il mio amico, il mio fratello, il compagno delle lotte non cruente, delle tante avventure impossibili dell’immaginazione e dell’artisticità, dell’impegno morale e politico. Sono sconvolto, non ho parole, non ho nemmeno le parole giuste per ricordarlo quale maestro esemplare, artista incomparabile, ho solo lacrime per un dolore crudo, un’angoscia che si cristallizza impietosa nel ricordo e che mi accompagnerà nel poco tempo che mi resta da vivere.