Tre poesie
di Maxime Cella
Fra questi piani d’ingombra rarefazione
manca un punto che dica dell’armarsi
o del deporsi, infligga nuova pena
e un orizzonte, sappia di una regina manichea
dei suoi infiniti sfumi e poi si renda
a segno felice di indirezione
Marca assenza anche oggi
quando questo rado sventolare di foglie
pure tace e si strema a correnti
morte di un primo sussurro
……………………………………è disuso all’affronto
e reclino al suo vuoto
e di loro si piega del tutto indubbio
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Sembra che le cose ovunque vadano
prese: si riallaccia il nuvolame alla collina lungo
la macinata pista ciclabile; l’alogeno dei
lampioni estenua la sera il giusto per
non farla annerire; strapiombano
i gradoni della piscina
dentro quel vasto
sciabordare
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Ci riuscisse il giungere a questo solo
essere: la fine di ogni occulto fine
sull’oltresoglia del più terso lasciarsi
vivere – graffito
che al sole scolora
sulla calce dei futuri palinsesti (sogno
di un aver dato quasi inagito)
e la cancellasse
la cancellasse magari quella sensazione
di acceso/spento nel solco di…
………………………………………..piovra binaria che inchiostra
e sfugge o quella benna che o scava
o tumula e tu mai dentro
annaspo da fanghiglia e schiuma in bocca
…………………………………………due occhi
ora crateri altezza suolo grandangolari
erosi, amanti e mai più pensosi