pensami e tornerò
di Chiara Valerio
Dopo la sciagura le parole duravano poco, venivano pronunciate solo per rimanere nell’aria, sparendo con il fiato senza lasciare traccia di sé. Nina dei lupi di Alessandro Bertante (Marsilio, 2011) è la storia di un abbandono. E come per tutti gli abbandoni, le ragioni sono nascoste, oscure, incomprensibili a tutti coloro che sono rimasti. Solo che l’abbandono di cui scrive Bertante è un addio all’umanità. In carne e ossa, perché il cielo improvvisamente s’è fatto indaco e lisergico e una peste incurabile e violenta è scesa sugli uomini e sulla loro progenie, e pure metaforica, perché è l’umanità, come sentimento di conoscenza e confronto, che ha disertato. Al centro di questa storia c’è un eroe, che come tutti gli eroi è solo, scazonte e fatica in sé stesso. L’eroe di Alessandro Bertante si chiama Nina, ha appena avuto le mestruazioni, è una sopravvissuta, vive in un paradiso nonostante, chiuso al resto della devastazione da una frana. Da bambini non si notano certi cambiamenti, quando si è piccoli il mondo è sempre fermo.
Nina non sa che quello in cui sta, e che è il diorama di nomi e abitudini perdute, è bello, dolente, e fragile come un giardino segreto. Tant’è che a un certo punto la frana che ostruisce il passaggio viene rimossa e da quella cervice scura che è la galleria salgono come furie i saccheggiatori. Che stuprano, rovinano, posseggono, quello che era stato costruito come l’ultima umanità dell’umanità, quello cioè che era stato condiviso. (…) le prede terrorizzate e scomposte cercavano disperatamente una via di fuga, trovando ogni volta sulla loro strada la ferrea organizzazione del branco. I predatori presidiavano ogni possibile direzione, loro stavano dove dovevano essere, avevano un ruolo. Gli uomini muoiono per primi, le vecchie per seconde, poi i bambini. Le donne che non muoiono subito diventato un sollazzo e la memoria, non pericolosa, di quello che c’è da fare per trasformare quel paradiso tout court in un paradiso dei predatori, un’oasi, una stasi, un quartiere.
Nina, come tutti gli eroi, ha avuto in sorte, oltre ai propri limiti, dei doni. Uno di questi è il nonno. L’uomo oltre a segnare con un gesso su una lavagna la data, a volere e a stabilire che la percezione del tempo passi insieme al tempo, prima della sciagura, le ha insegnato la strada della montagna, oltre il ruscello. Il sentiero scuro che si addentra nella terra dei lupi. Quando i predoni arrivano, Nina corre verso la montagna. E trova Alessio. Anzi è lui che la prende in braccio dopo la fuga verso un altro pezzo di salvezza. Il fucile lo teneva Alessio in camera, sempre chiusa a chiave. A Nina fu donato un coltello con il fodero, da cacciatore. Doveva portarlo sempre con sé. Per il resto poteva fare quello che voleva. Ovvero niente, l’inverno non le consentiva nulla, nemmeno la fantasia. Perché il refrain antiepico di Nina dei Lupi è che la salvezza non è mai del tutto accessibile. I sentimenti che si intrecciano tra Alessio e Nina non hanno nome perché hanno il resto. Necessità, spensieratezza, protezione, incredulità, possesso, sangue, progetto, e tutto il futuro dato che il passato loro, degli uomini, degli animali e delle cose, è stato cancellato. La lotta è una prova e un privilegio.
In questo riportare la storia dell’uomo a zero e con una scrittura che procede per paratassi e attraverso la fede nelle parole che i personaggi guadagnano con la percezione, se non del futuro, della possibilità – Prima della battaglia pensami amore mio, pensami e tornerò…, Lo recitò tre volte per scacciare la malora, Le ferite non si rimarginano, vengono a ricordarti da dove vieni – Alessandro Bertante racconta una educazione sentimentale avventurosa e schiva, violenta e magica, casta e carne. E anche per questo, Nina dei lupi è un romanzo post-apocalittico dove nel post-apocalittico non c’è la fine del tempo, ma ancora un tempo, umano e misurabile, che impone al lettore un laico atto di fede. Purtroppo il coraggio non è una virtù affidabile. Cresce, si tempera, promette di poter durare e poi svanisce in un attimo come la peggiore delle illusioni.
A. Bertante, Nina dei lupi, Marsilio (2011), pp. 223, 18,50 eu.
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emozionante la presentazione del libro, emozionante il libro, senza averlo ancora letto, cuore aperto e sentimenti in piena esposizione, nel sangue e nel cuore, tinte grige che si tingono di colori accesi ma dolorosi.
mas
chiara, è raro sentir parlare di libri e di letteratura come lo fai tu, e credo di avertelo detto anche a 4 occhi (anzi 8 perché entrambi abbiamo gli occhiali) e ciò a prescindere dalla condivisione delle opinioni. qui sei stata magistrale come al solito ma, nel merito, questo libro se valutato come distopico vale poco. se valutato in assoluto è buono, ma nulla di più. secondo me, ovviamente