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Pessima letteratura

di Gianni Biondillo

La sua faccia. A diciannove anni, dopo una adolescenza introversa, da nerd – a detta di un compagno di classe -, Anders Behring Breivik decise di sottoporsi ad una plastica facciale. Voleva “naso e fronte più virili”. La sua faccia. Sono rimasto minuti interi a guardala appena scovata dal web, dopo la strage assurda di Oslo. Com’era prima dell’operazione? Perché così com’è, vista dallo schermo, è la sublimazione dell’ordinario, del prevedibile. Altro che virile. L’apoteosi dello scontato, un volto che se lo incroci per strada lo dimentichi subito. Questo mi comunicava, guardandolo.
Fosse stato un seguace di qualche gruppo jihadista quanto più comodo per tutti noi! I luoghi comuni infondono certezze; nel nostro cerchio identitario, noi, i buoni, sappiamo che faccia ha il male, sappiamo di che colore ha la pelle. Ma Breivik no, lui sembra il nostro vicino di casa, quello un po’ tonto ma tanto gentile. Ci somiglia. Guardarlo significa specchiarci, prendere coscienza che potremmo sporgerci nel baratro che sonnecchia dentro di noi, e scoprirlo vuoto.
Breivik il suo vuoto l’ha riempito di migliaia di pagine deliranti di teorie complottistiche, saghe nordiche, cristianesimo d’accatto, geopolitica dozzinale. Un patchwork auto assolutorio, un monumento trash alla propria incompiutezza umana. Pessima letteratura.
Mai come ora, quando pare si debba tacere di fronte allo sgomento della cronaca, sembra proprio che solo la letteratura possa aiutarci a capire. Non basta parlare di moda per spiegare la fortuna del giallo scandinavo. Ci siamo mai chiesti, semmai, che tipo di società cercavano di raccontarci, da anni, quelle narrazioni?
Abbiamo guardato alla Scandinavia, e nello specifico alla Norvegia, come ad un mondo risolto, dove nove padri su dieci chiedono il congedo parentale per accudire i figli, dove le donne hanno un ruolo sociale fondamentale, dove i poliziotti girano disarmati. Un paese fortunato, ricco del suo petrolio, generoso. Una democrazia matura. Ma la democrazia è un orizzonte, non una meta. Non si raggiunge, la si conquista quotidianamente. Nel benessere sociale, nella ricchezza, anche nella stessa cultura, il malato, l’irrisolto, l’irrazionale continuano a covare. Ce lo ha raccontato lo svedese Stieg Larsson, consulente per Scotland Yard in quanto esperto di organizzazioni neonaziste del nord Europa, ce lo ha spiegato Nicolò Donato, in un film che mostra come la broderskab – la fratellanza razzista – possa prosperare in Danimarca. I deliri paramilitari o le solitudini esistenziali nordiche sono lì, tutte spiattellate sotto i nostri occhi che credevano di leggere solo per puro intrattenimento le pagine di Mankell, Indridason, Nesbo, Kjell Ola Dahl, senza renderci conto che in realtà eravamo di fronte – per dirla col titolo di un romanziere norvegese, Dag Solstad – al Tentativo di descrivere l’impenetrabile.
Poi, sui vaneggiamenti dell’assassino col volto da bravo ragazzo, ci aveva già messo in guardia oltre cent’anni fa Dostoevskij. Basta tornare a leggere Delitto e castigo o I demoni. Anche in questo Breivik fa pessima letteratura e non si merita la nostra attenzione. Si crede “il più grande mostro dopo la seconda guerra mondiale” ma è solo uno che copia e incolla i deliri di Unabomber come fossero suoi. Un plagiatore della peggior schiatta. Da scrittore, da uomo, non mi sono mai interessati i carnefici. La mia attenzione, compassione, solidarietà vanno sempre e solo alle vittime. Non accendiamo il faro su quell’uomo, anche solo per igiene sociale. Non diamo ossigeno agli emulatori, condanniamoli alla damnatio memoriae. In fondo la sua faccia, la sua vera faccia, neppure la conosciamo.

[pubblicato su L’Unità, ieri]

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7 Commenti

  1. sulla strage di oslo segnalo i post di kelebek che si discostano dalla mole di luoghi comuni e di approssimazioni ideologiche e culturali di cui è infarcita la stampa nostrana, anche i commenti sono molto interessanti.

    http://kelebeklerblog.com/

  2. bel pezzo, concordo; come dice Magris sul Corriere di ieri, meglio ricordarsi a memoria i nomi di tutte le vittime che non il suo inesistente nome.
    Quella è la Scandinavia rovesciata, o semplicemente vista dal Polo?

  3. La domanda subito rimpallata dopo la strage è stata: di chi è, questo uomo?

    Come fosse potuto cambiare qualcosa, fosse divenuto più intellegibile, se non fosse stato un terrorista bianco e europeo e della religione di qua e dell’idea politica Tale ma nero e asiatico e della religione di là e dell’idea politica Quale.

    Lo ha rovinato la chirurgia plastica, i sermoni di chiesta, i videogiochi, le cattive letture, l’infanzia, le brutte compagnie, il multiculturalismo, il fast-food, il nuovo ordine templare mondiale, i comizi di Borghenzio? Sarà stato il clima scandinavo.

    Di chi è quest’uomo, colpa di chi è se quest’uomo ha fatto quello che ha fatto? Dell’Occidente materialistico, dell’Oriente fanatizzato, del benessere, della sussistenza, della città o della campagna? Un complotto. Una pazzia. Un mostro epocale. Un monito. Un segno. Qualcuno da dimenticare. Eccetera eccetera.
    Quest’uomo non è di nessuno, come lo sono tutti gli uomini, come anche quelli da lui uccisi sull’isola di Utoya, come i poliziotti che lo hanno arrestato e che ora lo processano secondo gli usi di una nazione civile, come i direttori di giornale nostrani che si mettono a eccepire sull’egotismo dei morti ammazzati.

    Fare a gara per trovare qualcuno o qualcosa a cui imputarlo credo sia il solito esercizio forse esorcistico dei sopravvissuti che vogliono trovare un senso a qualcosa che un senso ce l’ha eccome, ma è evidente e banalissimo e per questo indigesto: un uomo ha commesso qualcosa di così demente e crudele da apparire impossibile perché incomprensibile a tutti tranne che alla sua mente, per la quale la sua vigliaccata truce e meschina da impotente in sfogo è stata di una ragionevolezza e di una urgenza e necessità – storica… – inappellabile. Virile, per di più, giudica quest’azione che più codarda di così non so immaginarmela.

    Anders Behring Breivik è uomo che ha voluto fare di sé un assassino stragista, un terrorista invasato, questa è la sua eredità, con questo possiamo confrontarci. Damnatio memoriae e orpelli simili poi non sono altro che un volerci ricamare il prorpio sbuffo su.

    Un saluto,
    Antonio Coda

  4. Possiamo, magari in questo caso dobbiamo (visto che Breivik cerca disperatamente pubblicità) ignorare l’individuo, ma non quello che ha fatto né i motivi per cui l’ha fatto (se veramente ci sono). Altrimenti siamo condannati a dire, quando si ripeterà, perché putroppo pare che tutto torna…”ma come? non era mai successo” e invece…

  5. Non accendiamo il faro sull’assassino, non parlarne più del dovuto: perfettamente d’accordo. Avrebbe potuto cominciare a farlo Biondillo invece di scrivere un articolo essenzialmente inutile.
    L’igiene sociale inizia dalle piccole cose.

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gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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