Note per un diario parigino
da Chiunque cerca chiunque
di
Francesco Forlani
Settimo capitolo
Chez Omar
Il marché des Enfants Rouges è in Rue de Bretagne. Con Patrick ed Esteban abbiamo appuntamento proprio lì, che poi si va da Simon, chez Omar. La Rue de Bretagne è una prima fila lunghissima che guarda davanti a sé quello che succede sull’altra parte della strada. e per quanto non succeda mai nulla, si rimane per delle ore, seduti a sorseggiare una chiara, convinti che qualcosa prima o poi capiterà. Ti arriva l’eco dei Grands Boulevards e l’alchemica sorte dei tessuti di Sentier. Esteban insegna spagnolo nella stessa scuola in cui io e Massimo diamo corsi d’ italiano. L’altra sera ho ascoltato la sua intervista registrata a Erich Priebke. Dopo la guerra insieme ad altri nazisti s’era rifugiato nella sua città d’origine, Bariloche, una sorta di Sud Tirolo del continente americano, e così ho ascoltato la voce di un nazista che non è una voce di nazista, ma di un vecchio nazista e allora non riesci a fare la differenza fra la voce di un vecchio nazista e un vecchio proprietario di appartamento come il nostro di Rue Vieille du Temple. Esteban ha una sorella che quando ci vediamo mi canta sempre “scalinatella” , poi gioca bene a pallone e infatti quando è estate che si va tutti, quelli della Bête étrangère,a giocare sulla Marne, lui segna sempre, ola!, tra le Guinguettes con i loro tavoli e le tovaglie di carta a quadri lungo il fiume.
Esteban abita in Rue de la Roquette , undicesimo arrondissement, Patrick Chevaleyre, alla rue de Recollets, Gare de l’Est, decimo arrondissement, la stazione è indicata sul Monopoli. Da Omar ci aspetta Simon che ha un gessato e una cravatta rosa. Ordiniamo un cous cous sahariano e da bere, tanto, da subito, troppo subito dopo. Simon ci darà per la rivista un suo reportage scritto a bordo della sua Jeep dove aveva vissuto per qualche giorno di abbandono del tetto coniugale. Tetto che si trova normalmente nel terzo arrondissement. In poco più di un mese abbiamo tutti i contributi per la rivista, quelli letterari, restano da trovare i contributi economici ma si è ottimisti. Tommaso ed Emma hanno già trovato una galleria a Roma per presentarlo, a Trastevere. Insomma si ha di che brindare, Allez! à la Bête étrangère, si , viva la Bête étrangère. Al terzo brindisi tre energumeni da un tavolo vicino si tirano su e uno di loro avanza minacciosamente verso di noi buttando il tovagliolo sulla sedia. Faccio in tempo a notare che all’occhiello porta la fiamma del Front National, uguale a quella dei fascisti italiani, ecco perché salta subito all’occhio. Rimaniamo seduti e intanto penso a tre strategie possibili. La prima è fuggire, la seconda fare presente che Esteban Buch è amico intimo di Priebke, e la terza batterci. Poiché non si può fuggire visto che stiamo in fondo alla sala e praticamente ci hanno circondato, e poi il conto, e già rimaneva da pagare il conto, dopo aver subito realizzato che come avevo ben sperimentato in passato i fascisti non si conoscono mica fra loro nel mondo, nel dubbio che i tre orchi sapessero chi cazzo fosse Priebke, restava in piedi una sola ipotesi: bisognava battersi. o pregare.
Pregare che Esteban e Patrick i più gagliardi riuscissero almeno ad aprire un varco in quella fortezza volante. E invece, sorprendendo tutti, con un balzo Simon passa all’avanguardia e rimanendo in camicia impugna la forchetta. Da lì comincia una sorta di balletto intorno al tavolo: alors, camarades spetta allo sfidato la scelta dell’arma così vi sfido a duello ora, davanti a tutti. Di Simon sapevo che, aveva scritto sei libri, parlava correntemente cinque lingue, aveva avuto un passato da milionario e un presente da ex milionario, tradotto in diversi paesi, compagno di una modella svedese e soprattutto proprietario di un guardaroba degno di oscar Wilde e un tasso alcolico permanente supportato da uno stato di ebrietà mai eccessivo. E mai e poi mai avrei immaginato che avesse fatto della scherma.
– Allora, su in guardia– dice e poi sciorina una per una tutte e otto le posizioni mantenendo la forchetta perfettamente allineata al braccio – prima, seconda, terza, quarta, quinta, sesta, settima e ottava, affondo – che se l”orco non si fosse ritratto, ci saremmo ritrovati un ciclope! Si certo, comunque fachaux , e quelli non si aspettano mica una mossa del genere e grazie all’effetto sorpresa, c’è stato un minuto di esitazione, protratto a tal punto che i gestori del locale hanno fatto in tempo a intervenire e a sedare gli animi. Hip Hip Hurrah!
All’uscita, una volta assicuratici che non ci aspettava nessuno a tenderci un agguato ci siamo separati. Ho appuntamento con Massimo e così mi avvio verso casa. Dalla Rue de Bretagne a Rue Beaubourg 30 ci vogliono dieci minuti a piedi. In quel tempo si impossessa della capa una sequenza formidabile di pensieri legati a una frase, una semplice frase sentita il giorno prima : “sai con te è diverso, ci sono degli uomini a cui glielo succhio solo per politesse, per buona educazione” aveva detto lei inclinando la testa.
Massimo è a casa che legge Michail Bachtin. Dal cortile gli dico di scendere così andiamo a spasso per la città. ha appena finito di leggere il Rabelais del maestro, eppure una cosa lo turba. Io lo so, io conosco il movimento di palpebre di uno del nord est, impercettibile ai più e che decodificato comunicherà lo stato d’animo di ogni veneto, friulano, trentino sulla faccia della terra.
– Che c’è? Cos’hai? Non ti preoccupare se è per l’affitto – Massimo dei due è quello che tiene oltre alla contabilità della casa, l’amministrazione del dolore che il poco denaro in cassa procurava- lo sai che una soluzione si trova sempre.
I passi ci portano nella piazza che amiamo di più, la Place des Vosges. Abbiamo attraversato tutto il Marais e lui non mi ha mica detto se era per quello, per i soldi o per altro. Della Place des Vosges abbiamo deciso all’unanimità che fosse Legge universale, considerarla come il luogo in cui o ci si innamora o ci si disamora, ma mai della stessa donna, ovviamente. Forse è lì che i suoi pensieri vanno a parare e allora gli racconto della Pipe Polie, Pompin Gentile, di cui sopra. Lui ride e poi vuota il sacco.
– Lo sapevi che Bachtin, durante l’esilio in Kazakistan, s’era fumato mezzo manoscritto, pagine e pagine del suo Dostoevskij ? A corto di carta, in pieno inverno lo aveva usato per rollarsi le sigarette.
– Ah bon! – dico io. E aggiungo ” e non poteva attingere al panciuto capitale?”
– Era la sola carta che avesse a disposizione. A parte la Bibbia
– Appunto, uno vale l’altra
– Se l’era già fumata.
– Cazzo, sai che sballo farsi una canna rollando una lettera ai Corinzi! C’ho le visioni
– Comunque sia l’unica cosa che si possa fare oggi, per non ritrovarsi in una simile barbarie, è smettere di fumare. O di scrivere capolavori.
I commenti a questo post sono chiusi
E’ bello sentire l’aria di Parigi ( senza nostalgia) sotto la penna di effeffe.
Siamo nell’ambiente con lui, nel tempo della bohême, poeti dell’amore, della libertà, poeti anche della casa effemera…
Bel cuentito, sì. Ma come ci si può innamorare in Place des Vosges, con torme di giapponesi sdraiati sulla pelouse e tutti quei resto chic à l’entour?
C’entra qualcosa Angelo Cocchinone in questa “quête”? A me sembra di percepirne la presenza, anche se ben dissimulata. O forse mi sono fatto una canna rollando una pagina di “Locus solus” e non me ne sono neanche accorto…
fm
Niente male Furlan, promette bene questo diario…
Caro Francesco, le voci si somigliano, diciamo che sono fratelli. diciamo che potrebbe essere lui :-) effeffe
Roberto dipende tutto dalle stagioni, dalle saisons, dell’amore che vengono e per lo più vanno. Però se ci vai fuori dalle feste comandate vedrai anche tu
effeffe
vero, Verò
effeffe
“We’ll always have Paris”
hi Simon Lane
you were there
effeffe