TQ, fenomenologia di una generazione allo specchio : Andrea Inglese

Performance di Michelangelo Pistoletto

Sognai che ero una farfalla

che d’esser me sognava

guardava in uno specchio

ma nulla ci trovava

-Tu menti-

gridai

si svegliò

morii.

R.D. Laing

.

TQ, qualche buona ragione per un laboratorio politico e culturale

di

Andrea Inglese 1

Trovo che l’iniziativa avviata dall’incontro di più di un centinaio di scrittori sotto la sigla di TQ presenti alcune caratteristiche che ricordano la celebre Azione Parallela, in cui il protagonista de L’uomo senza qualità di Musil si trova coinvolto. Da anni, abbiamo sperimentato in Italia tutte le virtù e i limiti dell’intelligenza solitaria e di piccolo gruppo. Quanti di noi non conoscono le miserie e i trionfi dell’essere minoritari? Sulle solitudini, i malintesi, le impotenze, le velleità, le intransigenze sappiamo quasi tutto. Diciamo che il motto, per molti di noi, in questi anni, è stato: “meglio soli che mal accompagnati”. E a ragione. Di grandi motivi per comunioni generazionali io non ne ho mai visti molti. I conflitti si sono sempre giocati sia dentro che fuori il gruppo dei coetanei, per quanto mi riguarda. E non tutte le solitudini erano dello stesso colore. Alcune erano costruite in funzione della carriera e richiedevano risparmio di energie e rovello tattico. Altre erano frutto d’incompatibilità con stili di vita, di pensiero e di scrittura, che erano in larga parte accettati dal maggior numero come ovvi. Quale che fosse, insomma, la forma delle solitudini, generosa o cinica, ribelle o opportunista, la sostanza di esse è una certa tristezza, un senso di amputazione.

Costituire gruppi, anche piccoli, per affinità elettive e per temperamenti etici e politici, è stato inevitabile, un riflesso di sopravvivenza. (E ogni volta che si accendeva la televisione, tutto sembrava, dalla nostra parte, avere la consistenza della cartapesta.) Queste nostre trincee, questi rifugi, queste postazione di “resistenza”, come spesso si è amato chiamarle, sono divenute anche della trappole, per un perverso rovesciamento dei fini. Da mezzi e veicoli di salvezza si sono a volte trasformati in gabbie, luoghi di prigionia. Rallentavano ogni condivisione, ogni ragionamento spregiudicato, che si muovesse non secondo i codici dell’appartenenza e i segnali gregari, ma per il valore intrinseco delle singole affermazioni, dei gesti, delle proposte. In tutto questo, tra solitudini o fragili comunità, nessuno credo sia davvero sfuggito del tutto alle compensazioni del narcisismo. Il mondo intellettuale, inteso in senso lato, è in qualche modo, per condizione storica, votato al narcisismo: i suoi strumenti di analisi e comprensione del mondo sono, infatti, inversamente proporzionali alla sua capacità d’intervento sul mondo. Da qui l’inevitabile piega autoriflettente che assumono tanti enunciati, quasi a consolare l’enunciatore della loro labile incidenza sul reale.

Ora, l’iniziativa di TQ, rispetto a quanto si è visto e fatto in questi anni, sembra segnare davvero una svolta. E come ha ricordato, tra gli altri, Andrea Cortellessa, questa svolta è data dal suo procedere in modo risoluto per inclusione e condivisione, abbandonando la logica solitaria e del piccolo gruppo. Questo partito preso, per nebulosi che ne siano i motivi, ha senz’altro il pregio di mettere in moto un processo collettivo, di cui nessuno può con troppa sicurezza anticipare gli esiti e tanto meno controllarli. Siamo, insomma, all’azione parallela di Musil, che è un modo di evocare le imprevedibili potenzialità del gruppo numeroso su quelle del singolo individuo. Dalla riunione di personalità poco originali può nascere qualcosa di molto originale, così come dalla somma di idee mediocri può scaturire la visione geniale. Similmente, il connubio di grandi intelligenze può sempre partorire il loro idiota topolino. Il fatto che gli scrittori si sentano chiamati ad operare uno sconfinamento incerto, mettendo almeno un piede fuori dai confini della propria corporazione, mi sembra di per sé un segnale positivo. Tutti i fiaschi e le farse sono possibili. Ma quelli li viviamo comunque su scala minore, di piccolo gruppo o individuali.

La grande novità dei TQ è quella di mettere da parte le preoccupazioni estetiche – leggi: le questioni di poetica, di stile e di gusto – che in genere dominano i moti aggregativi e dissolutivi del campo letterario, per far spazio a preoccupazioni di carattere politico. Questo naturalmente è un errore. Ma, vorrei aggiungere, un errore necessario. Non perché io pensi che l’estetico sia di per sé politico, ma perché l’estetico esercita una sua forma di provocazione salutare nei confronti del politico. Ed è quindi sul terreno propriamente estetico che si misura la forza e l’efficacia di questa provocazione. Quando si dice che lo scrittore è innanzitutto responsabile per ciò che scrive, si dice il vero. D’altra parte, non si dice tutto. Ci sono casi, in cui, allo scrittore è richiesto un altro tipo di responsabilità, ma ineludibile. Quella politica. Contro tutti i rischi di fraintendimento, questo è un principio che da tempo difendo e su cui sono intervenuto più volte su Nazione Indiana. In un pezzo , Su letteratura e politica (la penso proprio come George Orwell e Danilo Kiš apparso nel gennaio del 2010,  che assieme a quello di Helena Janeczek avviò il dibattito sulla responsabilità dello scrittore, scrissi questo:

In un saggio del 1948 (Gli scrittori e il leviatano), Orwell pone in termini estremamente lucidi il rapporto tra letteratura e politica. Mi limito a riportare di seguito alcuni passaggi chiave. “La lealtà di gruppo è necessaria, ma è veleno per la letteratura, fintanto che quest’ultima continuerà ad essere prodotta individualmente. (…) E quindi? Dovremmo concluderne che ogni scrittore ha il dovere di non ‹‹immischiarsi di politica››? Certo che no! In ogni caso, come ho già detto, in un’epoca come la nostra nessuno che abbia un cervello riesce a tenersi, o si tiene in pratica, fuori dalla politica. Quando uno scrittore s’impegna in politica dovrebbe farlo come cittadino, come essere umano, ma non come scrittore. Non penso che egli abbia il diritto, solo a motivo della sua sensibilità, di sottrarsi alle quotidiane bassezze della politica.”

Ecco, io penso che i TQ abbiano deciso di non sottrarsi alle “quotidiane bassezze della politica”, costituendosi come gruppo non tanto sui presupposti astratti di una qualche identità generazionale, ma su quelli concreti di una qualche emergenza storica. Io rovescerei il punto di vista espresso da Scurati, e sostenuto anche da altri, ossia l’idea che ciò che dovrebbe accomunare la generazione dei trenta o quarantenni è qualche assenza di trauma. Innanzitutto, come per i privilegi, così per le assenze di traumi, ognuno parli per sé. Chi voglia parlare a nome di altri, lo faccia in virtù di sofferenze che siano fonte di aggregazione e solidarietà. Sono, dunque, dei traumi che ci chiamano, in quanto TQ, ad abbandonate il terreno molteplice e conflittuale delle poetiche e delle forme di scrittura, per aggregarci intorno a possibili ipotesi di lavoro culturale e intervento politico. Che tutto ciò possa produrre qualcosa di nuovo e migliore nel nostro paese, a partire da quel terreno di macerie che è la cultura, è tutto da dimostrarsi. Ma delle ragioni di scommettere su un tale spostamento a mio parere ci sono.

Proprio partecipando a dei gruppi di discussione nati all’interno di TQ, ho avanzato una schematica definizione di quelli che sono a mio parere i “traumi” storici di cui i trenta-quarantenni sono i primi, in termini generazionali, a prendere coscienza. La giusta grandezza di scala per cogliere la specificità di questi traumi mi sembra il continento europeo: allargando troppo la visuale si rischia di sfociare nello sguardo medusesco, succube degli ubiquitari processi di globalizzazione; stringendo alla sola Italia, si rischia l’ottimismo. Da noi, infatti, è d’uso considerare Berlusconi come l’alfa e l’omega dei guasti del paese, dando così ad intendere che via lui tutto tornerà a fiorire.

Deficit di democrazia

questione politica

A livello europeo e poi nazionale, a causa dello scollamento tra classi dirigenti e società civile, tra politiche economiche improntate all’austerità e alla compressione dei salari e esigenze dei ceti medi e popolari sempre più minacciati di impoverimento e di uno stato di regressione psicologica; mi riferisco, a livello internazionale, alle politiche di austerità avanzate da governi di sinistra e governi di destra, e che rispondono ai dettami del contenimento del debito decisi da organi europei non elettivi; tali politiche si scontrano con la volontà di ampi strati della popolazione, in particolar modo delle nuove generazioni; deficit di democrazia su scala nazionale è dovuto al monopolio dell’informazione del partito azienda berlusconiano, ma più in generale a uno scarto tra il dinamismo e la vivacità della società civile e del mondo associativo, da un lato, e l’impermeabilità delle classi dirigenti di destra e di sinistra, che hanno finito per escludere dal mondo produttivo e politico almeno due generazioni di cittadini, dal’altro.

Rottura del patto sociale

questione sociale

che ha garantito dal dopoguerra fino ad oggi un rapporto diretto tra crescita del livello d’istruzione e crescita del reddito; le nuove generazioni si trovano ad affrontare un mercato del lavoro sempre più liberalizzato, e in una situazione di disoccupazione, precarietà e bassi salari che mina profondamente l’identità delle persone, la loro coesione sociale, la possibilità di proiettarsi nel futuro; questa condizione dovrebbe riavvicinare ceti medi e ceti popolari, in ragione del loro comune destino sociale.

Svalutazione della cultura

questione culturale

intesa come dotazione condivisa di strumenti di decifrazione della realtà e di analisi critica (ossia auto-correttiva) rispetto alle forme di vita e di pensiero collettive, e alle istituzioni che tali forme sostengono e veicolano. Tale svalutazione particolarmente evidente in Italia si realizza attraverso due criteri: il criterio della semplicità contro la complessità, che è direttamente funzionale, sul piano politico, alla manipolazione delle masse da parte di oligarchie politiche ed economiche, l’altro è il criterio della quantità contro la qualità, che è direttamente funzionale a realizzare all’interno dell’industria culturale gli alti profitti che le imprese, nella fase dell’attuale capitalismo, perseguono con particolare intransigenza.

Conclusione

Non  ho ovviamente preteso di esaurire con queste indicazioni la molteplicità delle questioni in campo, che ci si ponga a livello europeo o solamente italiano. Quello che mi pare importante è verificare la capacità di TQ di porsi all’altezza di queste questioni, riuscendo ad articolarle tra di loro e ipotizzando delle forme concrete d’intervento sulla realtà. Se TQ vorrà muoversi entro un orizzonte di questioni più ristretto e più apparentemente concrete, il rischio che tutte le energie mobilitate ricadano a favore di pratiche corporative ed esclusivamente infra-letterarie è altissimo.

Qualcuno potrà poi sostenere, facendo riferimento agli animatori del progetto TQ, che non sono persone prive di certi privilegi e che ciò li renderebbe più solidali dei ceti medi più fortunati economicamente e professionalmente, quelli che oggi sono popolati, nel mondo intellettuale, sopratutto dai cinquanta-sessantenni. Ma è anche risaputo che chi vive sotto la continua incertezza economica e il continuo ricatto professionale difficilmente dispone di quella distanza sufficiente ad avviare una critica dell’esistente.

Insomma, ciò su cui dev’essere valutata l’ipotesi TQ non sono i generici presupposti del progetto, ma i percorsi di lavoro e intervento collettivi che riusciranno, nel migliore dei casi, a rendere possibili.

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NOTE
  1. Dopo Andrea Libero CarboneSimone Barillari e Andrea Cortellessa, ho chiesto ad Andrea Inglese di intervenire con una sua nota condivisa nella discussione in atto dei TQ. effeffe

57 Commenti

  1. Ciao Andrea,buona giornata.E’ un post molto interessante.Oggi per fortuna è un pò più fresco,si respira meglio,almeno dalle mie parti.Ciao,di nuovo .Lucia D.

  2. Ho visto solo adesso che il post è di Francesco Forlani.Non sono molto sveglia stamattina.Scusa,ciao e buona giornata anche a te.Lucia D.

  3. Nonstante la mia diffidenza nel confronti del gruppo, trovo chiara la relazione di Andrea Inglese: l’impegno di TQ nella città ( nel senso nobile del termine). Ho capito l’importanza di delineare un confine, un orizzonte. Non ho mai considerato lo scrittore come occupando un impegno politico; la scrittura nella sua dimenzione politica di resistenza, eccetto in situazione di crisi in un paese, ma attraversamo una crisi, è mi sembra sentire una tensione tra due manera di immaginare la società. Ora posso immaginare che uno scrittore con la sua sola posizione di nuotatore della profondità venuto alla superficie, emerge nella luce, ma non la affronta solo, raggiunge altri nuotatori sulla creste dell’onda.
    La mia manera di considerare la situazione ha un po’ cambiato. Trovo bellissima l’idea di Andrea Inglese: “La solitudine non era dello stesso colore”. Era per poeti il colore dell’esilio a Parigi, uno spazio di tempo che ha fatto incontrare poeti italiani con poeti francesi, era il colore del riconoscimento letterario ma vissuto nella solitudine, era il colore del silenzio, era il colore dell’allontanamento.
    Certo la scrittura è di natura solitaria. ma penso avere capito la meta del cammino: è un coro, un corpo in movimento.
    In questo tempo la cultura ha bisogno di un corpo vivo.

  4. Giorgio, magari una bella nuotata no? dico questo perché so che se fa bene ridere di tanto in tanto dall’altra so che Andrea si è fatto un culo della madonna stanotte per finire l’articolo che tocca delle questioni cruciali, no? Chiederei allora ai lettori di intervenire sul testo augurando ai bagnanti di fare tesoro dell’opportunità di andare un po’ al largo, dove non si tocca.
    effeffe

  5. E per me Francesco che hai scritto il commento? Credevo essere nell’argomento, ma è vero ho inclinazione a partire in tutte le direzione…

  6. D’accordo…

    Ho iniziato a capire un po’ l’anima di TQ.
    Ora aspetto un commento più svillupato sull’argomento. Sovente ho molto imperato a partire dei commenti o esplorato idea che non mi aveva ancora attraversato la mente.
    In ogni modo l’articolo di Andrea Inglese è ottimo.

  7. Queste logiche di avvicinamento al pubblico come sarebbero attuate? come sarebbero a dire? non è che, per dirne uno, il modello sarebbe uno come Saviano?
    ho letto sul corriere una frase di un partecipante che dice una cosa giusta, cioè, soldonizzando, che se io non leggo Scurati non è colpa mia, ma di Scurati. Sono d’accordo. così come se leggo Montesano, il merito è di Montesano. da cui molti di questi dovrebbero, secondo me indipendentemente, prendere esempio.

  8. Intervengo solo su un dettaglio, che trovo comunque significativo.
    AI scrive:
    “Dalla riunione di personalità poco originali può nascere qualcosa di molto originale, così come dalla somma di idee mediocri può scaturire la visione geniale.”

    Io non lo credo, mi pare che sommando mediocrità, si resti solo nella mediocrità, magari in maniera più piacevole, vista la comunanza che fa sempre bene.
    Credo che le idee geniali siano sempre solitarie, anche se possono subire successivamente elaborazioni, sviluppi, anche importanti modificazioni.

  9. a sergio,

    si esce da un trauma, per entrare in un altro… :)

    a vincenzo,

    io credo che il vecchio Musil avesse ragione: i moti collettivi portano con sé qualcosa di imprevedibile; e io credo che esista un genio della collettività così come ne esiste uno individuale; ma dico tutto ciò con una certa ironia, che include beninteso me stesso

  10. Clistene modificò radicalmente il sistema tribale ateniese, dividendo lo stato in dieci tribù territoriali, allo scopo di eliminare i vecchi gruppi di potere che monopolizzavano da tempo la vita politica ateniese e, come afferma Aristotele nel saggio Athenaion politeia (La costituzione di Atene), al fine di “mescolare la popolazione” (Ar., Ath. pol., XXI, 3).Le quattro tribù iniziali rimasero soltanto per fini religioso/sacrali, ma vennero sostituite da dieci tribù chiamate con i nomi di 10 eroi locali, sorteggiati dalla Pizia su una lista di 100; i nomi delle tribù sono i seguenti.E questo ce lo racconta wikipedia.In tempi più recenti abbiamo visto che amministratori pubblici illuminati che provavano a rimodulare il concetto di zonizzazione inserendo in contesti residenziali interventi di urbanistica economico-popolare(ritrovandosi quasi sempre un plico esplosivo sulla scrivania),nella speranza che i quartieri lussuosi perdessero quel profumo di vuoto che spinse tom robbins a parlare degli stessi come “posti talmente distinti che uno nemmeno si accorge di esserci”.”Abbracciare le differenze” insomma potrebbe scardinare il rapporto causa-effetto che come abbiamo visto non funziona nemmeno sulla carta e insegnare ai nostri cervelli come governare una barca uscendo dal letargo durante la tempesta(aprire tutti i compartimenti stagni potrebbe essere una soluzione)

    http://glader.ru/media/data/mp3/10_-_bjork_-_who_is_it_vitalic_remix.mp3

  11. Dunque questo centinaio di scrittori, ritrovatisi secondo una dinamica che continuo a non avere chiara, rappresenterebbero il superamento della logica del piccolo gruppo?

  12. simone non solo non è chiara a te, ma penso che non sia chiara neppure a TQ; un’azione collettiva si chiarifica nel realizzarsi, e ciò prende un certo tempo; dopodiché si potrà giudicare se l’esito è degno di nota o meno; per ora si possono fare molti processi alle intenzioni; per quanto mi riguarda, ho indicato alcuni buoni motivi per fare un esperimento di aggregazione collettiva sotto l’insegna TQ, nonostante l’alea che è connaturata a una cosa del genere.

  13. Primaditutto, meglio soli che BEN accompagnati…

    Già mi espressi, ma mi pare brutto non fare nemmeno un estoriorismo qui, dove si esprime il pensatore più engagé de la nation. TQ? Tali e quali a tutti gli altri che stanno in pista. Non si pongono il problema di ignorare le istanze individuali (non possono essere che egoistiche), né i deleteri processi di produzione di identità a fini di marketing editoriale (se non politico, visto che un giorno sì e un giorno no minaccia di NON scendere in poltica, rivelando un pericoloso atteggiamento denegativo). Prevedo che questi TQ si scanneranno fra di loro, perché su queste basi non avrà altro risultato che l’aumentata visibilità di 4 o 5 di loro (cosa in parte già avvenuta, mi pare). In questo senso io farei un decreto per far diventare Cortellessa un critico ufficiale (probabilmente lo merita, intendiamoci, ma al di là del mio bassissimo sarcasmo, non è questo il punto), se no, temo, non se ne esce, possibilmente con relativo spazio televisivo, e successivamente politico, magari al posto del già CS (cinquanta settantenne) Giorgio Van Staten, una eterna promessa della letteratura e della cultura italiana (appunto, una promessa. Mancata). Insomma, ci vuole un amministratore Rai che crei uno spazio tv per Minimun Fax, come è già avvenuto per la più organizzata Fandango, che se non sbaglio produce il programma di Serena Dandini. Questo,credo, è il deficit di democrazia secondo TQ: la prevalenza della Fandango filoveltroniana su Minimun Fax, collocabile più sul versante Vendola-Movimenti (ma con questi ultimi, prima di vincere il Premio Strega, hai voglia a scrivere romanzerie…).

    Insomma, Inglese, lo sappiamo tutti che se una azione non riesce fallisce. Ma se io per fare una torta invece di mettere burro metto grasso per parafanghi, gli è più facile che fallisca… Il burro, in questo caso, sarebbero le analisi giuste dal punto di vista della letteratura, non della politica. Dal punto di vista della politica, d’altra parte, senza offesa, siete solo dei dilettanti in cerca di protezione, perché non siete capaci quasi mai di dare uno spunto al dibattito, al di là dell’indignazione e delle lotte alla camorra con le parole.

    (Volevo anche dire che li enunciati non riflettono il reale perché hanno il compito di svelarlo cambiato dall’atto del pensativo, cioè di produrlo.

    Ps: fa bene Inglese a scrivere Rallentavano ogni condivisione, ogni ragionamento spregiudicato, che si muovesse non secondo i codici dell’appartenenza e i segnali gregari, ma per il valore intrinseco delle singole affermazioni, dei gesti, delle proposte “ Vuol dire che si rammaricaper avermi censurato,qui, un intervento contrario alle sue tesi circa la resonsabilità degli scrittori. Me n’ero accordo che da un po’ di tempo mandava segnali nella direzione delle scuse, che ovviamente accetto.

  14. L’intervento di Inglese purtroppo non fa che confermare i tantissimi dubbi che circondano l’iniziativa. Alla fine della lettura, mi restano in mano pochissimi concetti e assai vaghi. Tante parole per raggranellare pochissimo.
    Anche perché il succo della storia è: “siamo tantissimi, che bello, ma chissà magari non ce la facciamo neanche…”
    E quindi?
    Rilevo comunque un dato, abbastanza incontrovertibile e abbastanza desolante: qui di letteratura non si parla più.
    E secondo me un movimento, di nicchia o numeroso, non va da nessuna parte se non chiarisce quale idea di letteratura lo sostiene…

  15. caro larry,
    quando mi ricorderò in quale lontana occasione ho realizzato questo crimine contro la libertà di stampa e di opinione, mi consegnerò io stesso alla giustizia.

  16. Tutti i perche’ dell’inconsistenza (letteraria, sociale, culturale, traumatologica e oserei dire anche antropologica) del movimento TQ sono espressi in questo post -e relativi commenti- apparso su nabanassar tre anni fa a firma Pasquale Giannino:

    http://nabanassar.wordpress.com/2008/10/19/anni-di-piombo-di-pasquale-giannino-real-italian-epic-rie/

    Rimane ai TQ l’aggregazione protosindacale, l’unire le forze di chi fa un mestiere e cerca voce comune alle proprie rivendicazioni di classe. Mi pare anche che gli spazi si stiano man mano aprendo, anche a livello di case editrici e media nazionali, non vedo quindi il fondamento di tali rivendicazioni.

    In tutto questo, un signore come Giulio Mozzi, portatore di una diversita’ politica ed etica nell’approccio allo stesso mestiere, si sta interrogando se sia giusto farsi pagare per i suoi servizi professionali. Io sto con Mozzi e lo invito a farsi pagare.

  17. E’ il primo articolo sulla (sul?) TQ che leggo, e visto che ci ho capito poco, sono andato a leggere quello di Cortellessa, che peraltro all’inizio è molto critico sull’impostazione usata di promotori della TQ e poi ho letto il documento pubblicato sul Sole 24 ore.

    Quello che vorrei capire è questo:

    – TQ è un circolo chiuso cui possono entrare (e come?) solo persone che abbiano pubblicato qualcosa in cartaceo (ipotesi n. 1, TQ come circolo di “scrittori” riconosciuti, selezionati dall'”alto” o per adesione personale)?

    – TQ è un laboratorio politico-culturale aperto a tutti quelli che svolgono un ruolo intellettuale nella società, dalla letteratura al giornalismo, dall’arte alla musica, dall’associazionismo ai siti web/blogs, dall’impegno politico all’impegno educativo (ipotesi n. 2, TQ come laboratorio culturale aperto a tutti coloro che esercitano l’intelletto, non solo tramite pubblicazioni cartacee)?

    Qualcuno può rispondermi?
    Perché vorrei capire se io, così come tanti altri, debbo pormi come osservatore esterno di qualcosa che fanno altri, convocati o autoconvocati che siano, o se posso sentirmi chiamato in causa. E se posso sentirmi chiamato in causa, in quale modo concreto?

  18. lorenzo provo a risponderti, anche se non faccio parte del gruppo promotore di TQ e sto dando il mio contributo perché TQ diventi qualcosa di simile alla seconda ipotesi che tu proponi; allo stato attuale credo che TQ provi, a partire da un numero abbastanza ampio di persone coinvolte da un piccolo gruppo promotore, a delineare delle ipotesi di lavoro in ambito culturale. Queste ipotesi di lavoro, a parere mio e di altri, credo dovrebbero facilitare l’aggregazione di più soggetti possibili, una volta però che esse abbiano acquistato concretezza. Come hai invece ben capito la questione prettamente letteraria è messa tra parentesi.

    In concreto: io, ad esempio, ho proposto di tenere seminari pubblici con esperti e non, economisti e antropologi, cittadini e lavoratori, sulle politiche neoliberiste presenti in Europa. L’idea è quella di strappare alcune questioni dalle mani dei giornalisti, dei media “accreditati”, e dai pochi esperti, per imporle a un confronto e un dibattito pubblico, a partire da esperienze comuni e altri saperi specifici. Sarebbe già, io credo una gran cosa. A questo punto chi volesse potrebbe organizzare un seminario simile con le risorse che trova disponibili nel suo territorio, con l’idea poi di mettere in comunicazioni queste diverse esperienze. Questa è un’ipotesi di lavoro. Che poi venga appoggiata da TQ, che si riesca a mettere in atto, e che essa possa raccogliere adesioni e creare seguito, è tutto da vedere.

    sto partecipando, con una posizione critica, a

  19. ammetto che ho seguito la “vicenda tq” abbastanza da lontano (pochissime energie a disposizione ultimamente ma anche, ai miei occhi almeno, poco appeal per investirle) e, magari per quello sguardo non prossimo, ne ho ricavato un’impressione non proprio positiva. e non nego di aver avuto più d’uno dei sospetti che ritrovo qua e là nei commenti (una strategia di posizionamento nell’establishment culturale? una specie di spottone? carrierismo? una “manifestazione della maggioranza”?) ma che appunto, data la superficialità del mio sguardo, non prendevo più di tanto sul serio.

    adesso però, leggendo questo pezzo di andrea (che, come capita spesso, riesce ad aprire verso il quadro più ampio anche questioni che magari (mi) sembrano spicciole), sono riuscito ad andare al di là della prima (non buona) impressione e di capire cosa c’è che non mi torna in questo tentativo. al di là del sole24ore, al di là della tiritera sull’assenza di traumi (ognuno parli per sé, dice giustamente andrea), al di là dei sospetti di egemonismo e carrierismo, questa convocazione mi sembra fatta soprattutto sotto il segno della ricostruzione di un legame positivo con il cosiddetto pubblico, con la comunità come interlocutore diretto e già convocato, e, anche in questo caso in senso positivo, nel recupero della posizione dell’autore. ma questi pezzi sono ancora lì? intendo: il pubblico esiste ancora, è ancora lì ad aspettare? la comunità è già davvero costituita? ed è in grado, ha davvero voglia di mettersi ad ascoltare, di riconoscere certe, seppur positive, posizioni da autore?

    ecco quello che non mi torna: il sospetto che, come l’azione parallela musiliana deve arrivare alle celebrazioni del regno di francesco giuseppe e invece si avvia verso le devastazioni della prima guerra mondiale, così tq si dà uno scopo, è “construens” e tuttavia, nonostante affermi il contrario, si rivolge al passato, non riesce a pensare al di là del passato perché il futuro (il presente) è un salto di paradigma, è il trauma di cui si denuncia l’assenza (cosa che di nuovo andrea sottolinea).

    chiudo ricordando una citazione da ponge, che mi sembra calzante: “Non si esce dagli alberi con mezzi di alberi” e facendo mia la domanda, che mi sembra sostanziale, di lorenzo.

  20. TQ, potrebbe anche fondare un pronto intervento ermeneutico (PIE) per aiutare a risolvere questioni delicate e incresciose, da tanto tempo presenti o appena appena insorgenti sul territorio. Lo dico perché mi sembra una bella proposta in generale, per fare una bella figura almeno con i componenti della minoranza engagée del comitato direttivo, in prospettiva per esempio di definitiva risoluzione di cancri camorristici attraverso ciò che i malamente temono di più, le parole degli scrittori impegnati, purché siano il più possibili chiare, che non siano, cioè suscettibili di interpretazioni di secondo e terzo livello, in modo ché non ci abbiano a essere ricadute e riemergenze metastatali; maanche, lo dico per egoismo, perché vorrei che primaditutto gli ermeneuti (si potrebbe anche coivolgere i miei vecchi sodali d’istanza a Cuneo, dove avevamo fatto insieme il militare per tre anni) ci aiutassero a capire l’espressione che chiude l’intervento di G. Bortolotti ” Non si esce dagli alberi con mezzi di alberi”.

    Ps: Inglese va bene, se non mi sono sognato tutto, cosa pure possibile, durante difficlie e problematici processi creativo-immaginativi, prossimamente spedirò privatamente gli atti archiviati circa il fattaccio, se non altro utili per partecipare con pieno diritto alla prossima amnesia generale proposta dall’egregio Marco Pannella (se non ho interpretato male il suo ultimo sciopero della sete).

  21. per ragioni anagrafiche dei TQ so poco (aspetto un seminario SS), cioè so quello che è uscito sui giornali e quello che se ne è scritto qui e là: tuttavia mi sembra sbagliata, perché riduttiva e, ahimè, liceale, l’idea di intellettuale che sottende questa aggregazione generazionale: preferisco una concezione estensiva, che contempli i lavoratori mentali (riassorbiti nella società e ultriormente proletarizzati) che oggi costruiscono, in silenzio e nell’anonimato, l’immaginario del paese e lo fanno al servizio di un potere che loro stessi per primi rigettano pur dovendo collaborare a sostenerlo. questa categoria, cui pure credo appartengano frange consistenti di TQ, è quella che mi interessa: il vate, o il micro-vate, che punta a un tipo di potere che non esiste più è davvero una figura residuale, priva di qualsiasi speranza di incidere: ma purtroppo sembrerebbe proprio questa la figura di riferimento dei TQ…

  22. a gherardo,
    “questa convocazione mi sembra fatta soprattutto sotto il segno della ricostruzione di un legame positivo con il cosiddetto pubblico, con la comunità come interlocutore diretto e già convocato, e, anche in questo caso in senso positivo, nel recupero della posizione dell’autore. ma questi pezzi sono ancora lì? intendo: il pubblico esiste ancora, è ancora lì ad aspettare? la comunità è già davvero costituita? ed è in grado, ha davvero voglia di mettersi ad ascoltare, di riconoscere certe, seppur positive, posizioni da autore?”

    credo che hai colto uno dei punti fondamentali, che riprende anche pecoraro; ma si può vedere la cosa anche in un’altra ottica; che è quella di considerarsi omogenei al pubblico, parte di questo pubblico disperso, e scolarizzato, e precario; la mia fissa è quella di autogestirsi saperi e esperienze, rendendo obsoleti in poco tempo i talk show televisivi più impegnati; facendo vergognare le gerarchie accademiche e i giornalisti; un ritorno in forze dalla rete come comunicazione di individui separati dietro lo schermo a gruppi di persone in una sala;
    c’è qualche probabilità che la cosa prenda questa direzione? in spagna e grecia è già cosi, mi sembra, nei movimenti che hanno un carattere molto libertario e anti-partitico;
    quanto ai rischi di egemonia: secondo me non si fa egemonia invitando 150 persone; troppi invitati al party…
    le tentazioni di micro-vati non possono che scontrarsi contro la realtà; la gente che ha bisogno di micro-vati si ceglie quelli televisivi, gli altri non si fanno abbindolare da qualche citazione letteraria;
    insomma, davvero oggi non vedo che cosa abbiamo da perdere, a tentare un confronto ampio con scrittori di una stessa generazione, dal momento che l’asse d’interesse non è lo specifico letterario; la buona letteratura la si fa da soli o in piccolo gruppo, su questo non ci piove; ma l’Italia è un cumulo di rovine, di rancori, di rabbie, di cinismo; dare sempre tutto per perduto all’inizio non mi sembra un gran guadagno.

  23. “dare sempre tutto per perduto all’inizio non mi sembra un gran guadagno”

    come regola generale la condivido pienamente, la applico con sistematicità e la posso vedere impiegata anche nello specifico (non per niente raccolgo il ragionamento che tu proponi con questo pezzo). quindi speravo di non meritare che me la si ricordasse ;-)

    che si capisse, insomma, che il mio non era un esercizio di nichilismo da dopocena – tanto più che non penso affatto che sia “tutto” perduto ma solo alcuni pezzi. pezzi però che, mancando, rendono secondo me urgente interrogarsi su che cosa vuol dire proporsi di “considerarsi omogenei al pubblico”, a quale rappresentazione del mondo si fa riferimento e quanto sia agibile. la mia impressione (si sarà capito ;-) è che lo sia pochissimo, almeno nella misura in cui il pubblico con cui ci si dovrebbe considerare omogenei non esiste più. è stato frammentato negli scorsi decenni dalla targetizzazione e sta evaporando negli ultimi anni con l’accesso alla rete. non solo: il pubblico era il riflesso culturale della nazione, del popolo e anche quello, per diversi motivi tra cui quelli che tu stesso individui, è in corso di dissolvimento. era anche il “mercato”, almeno culturale, e, di nuovo, con la diffusione sempre più capillare della condivisione (dei contenuti proprietari) e dell’autoproduzione più o meno gratuita risuona sempre più come uno spazio cavo.
    cmq, fatte salve o no queste mie considerazioni, ammettendo anche che mi sbagli e che una riuscita del dibattito tq sia positiva, e venga recuperato quel rapporto nei termini migliori, insomma che l’azione parallela scampi alle trincee e festeggi l’imperatore della pace, poi che cosa succede? intendo: davvero è possibile un gioco a somma zero? davvero dopo decenni (dire ormai un buon mezzo secolo) di crisi strutturali, di saccheggi dei barbari e di fughe più o meno avanti o indietro si ricomincia a “fare cultura”? oppure cos’altro? anche sulle prospettive, insomma, ho parecchi dubbi. e questo nonostante il tuo programma, la parte “del fare” che tu proponi mi piaccia molto e dia all’intrapresa tutto un altro senso. ma in questo caso non stiamo parlando di spagna né (e per fortuna, mi vien da dire) di grecia. stiamo parlando di scrittori minimum fax che convocano un’assemblea al sole 24 ore e che, per altro (ma di nuovo forse qui mi sbaglio per la disattenzione con cui ho seguito la vicenda), non stanno neppure partecipando tantissimo per esempio a queste discussioni on line.

  24. forse propedeutico alla discussione,o a prescindere da questa,non sarebbe stato male sviscerare,traendo spunto per esempio dalle esternazioni,in un certo senso abbastanza difendibili,di Fulvio Abbate su Conte e Capossela(artisti da me adorati con circospezione),il discorso relativo alla spocchia di molti intellettuali che non amano mischiarsi.Tanto per smuovere le acque(e confondere i creditori)

    http://www.youtube.com/watch?v=DYlMK8OaEns

  25. di culturi che fanno politica ce ne sono già fin sopra il cappello, vorremmo una operazione molto più semplice: dei buoni/cattivi romanzi/antiromanzi. si misurassero colla letteratura, non coll’incisione della realtà, che tanto non incideranno mai nulla. e bisognerebbe finirla anche di sbevazzare nel politichese.
    se questo TQ serve per cannoneggiare pubblicitariamente qualcuno di sostanza, mi sta pure bene, ma tanti fronzoli, bandierine da tramezzino, stomacano in fretta.

    Inconclusiva, penso che sarebbe bello che gli scrittori la piantassero una buona volta di fondare leghe sindacali. molto meglio sarebbe sfondarle per sempre. ma sembra non bastar mai. Tanto i gruppi letterari nel passato, remoto o recente, sono sempre stati sfiniti e mortificati dai fatti, soprattutto dall’interno. Ma dal famoso gruppo 63 al più recente OpLePo le cose sembravano molto molto molto più interessanti e promettenti di questo TQ, su cui onestamente non farei nemmeno la puntata minima.

  26. Ho molto piacere da leggere i commenti su TQ. C’è dinamica. TQ non è un movimento di ogni sorta- e mi sembra che da qualche anno
    solo il movimento cannibale- effemero- quando prometteva molto-
    fu un coro generazionale con una prospettiva letteraria.
    Oggi il movimento nasce su terre Mediterranee, Parigi segue, non è all’inizio, anche se un saggio” Indignez-vous” ha innescato passione e curiosità. La mia sola preoccupazione è l’effemero dei movimenti di protesta: si accendono luci, si spengono.
    A Sergio: Andrea Inglese è un poeta di talento e certo ha un vincolo di affetto con la Francia, ma soprattutto con la sua propia lingua. Ha scritto un pezzo chiaro, intelligente. Non rappresenta da solo TQ –
    – Forse ho frainteso il tuo commento.

  27. cara véronique, non hai frainteso. io mi considero un artista e anche un poeta e reputo che andrea inglese (che ringrazio cmq della pazienza che ha nei miei confronti anche per le cose che gli mando via mail) non abbia alcun talento. cioè io non ho mai letto una sua cosa che non mi provocasse una noia mortale. ovviamente è solo la mia opinione, e vale quello che vale.
    ritengo inoltre che case editrici come minimum fax siano essenzialmente occupatori abusivi di spazio, come del resto einaudi, guanda ecc. ritengo infine che lo stato miserevole della cosiddetta cultura italiana sia il naturale riflesso del miserevole stato della nazione intera. io credo nella categoria della decadenza e penso che l’italia sia un paese miserabile abitato da cialtroni. ma mi fermo qui per non incorrere nella terribile moderazione di forlani (che pure ringrazio per la pazienza, e verso il quale estendo simpaticamente il giudizio rivolto ad andrea)

  28. La Cultura è quel particolare luogo fisico, o tisico, (spesso non-luogo) dove è stata abolita normativamente la solitudine.
    Come nei lavori forzati, nella Cultura c’è bisogno della compagnia forzata, o della compagnia “forzatamente”.
    Se ci aggiungi le lungaggini burocratico-statali e la miseria dell’udito Generale (di Stato), il vomito diventa un piacevolissimo sorso di vita.

  29. Sergio, forse dovresti ricominciare la cura di Ualleril forte, l’anno scorso mi ricordo che ti fece molto bene. Forse sei un tantino seccato e ti viene invidia per via che né tu né quelli della tua scuderia sfondate.Infatti anche l’anno scorso, prima della cura, ci avevi invidia arrabbiata per Roberto Saviano. Hai fatto bene a fare subito l’abiurativo, nel pomeriggio che né l’uno né l’altro sono per fortuna davanti al computer, se no se la pigliavano ingiustamente invece di pensare che tu stai in crisi e hai bisogno di conforto.

    Ps: più tardi fai l’abiurativo anche circa le brutte parole che hai detto sulla Littizzetto, che è una brava ragazza che ci ha anche i bambini in affidamento. Roma schifosa? Pensaci bene.

  30. Ringrazio Andrea per la risposta.
    Non sono entrato nel merito delle sue indicazioni perché prima credo si debba sapere chi può far parte della generazione TQ e quali saranno le proposte operative. Al momento tutto è ancora in via di definizione, da quel che capisco. Sostengo ovviamente la posizione di Andrea, che sta lavorando al fine di portare TQ nella direzione della mia seconda ipotesi.
    I dubbi che leggo relativi a questa operazione credo siano legittimi finché li si rivolge alla vaghezza di quel che propone, e del come raggiungerlo, ma mi pare che in altri casi ci sia semplicemente un atteggiamento critico pregiudiziale e io credo, come Andrea, che dare sempre tutto per perduto all’inizio non sia un guadagno.

    A sodastarri mi permetto di segnalare che, se è in cerca di una comunità di riferimento, a Roma credo ce ne siano tante di comunità di accoglienza, anche residenziali.

  31. Anche io penso che Sodastarre abbia bisogno di un periodo abbastanza lungo di rieducazione. Ma penso cominci a capirlo anche lui da solo che la sua situazione è disperata.

  32. .Mi scuso per l’atematicità e la sterilità del post ma l’art.21 Se Tq non fosse una casta o non permettesse l’idea d’inquadrarla nello stretto e buio corridoio del futuro come tale, credo sarei potuto restare entusiasta se non dei mezzi quanto meno dal teoretico fine. L’italia non sembra dagli atenei che ho avuto la possibilità di frequentare in grado di superare il terrore subliminale che gli è stato imposto e che altro non concede che la fioca luce sulla banalità del male. Le generazione che vi sono a qualche decade di distanza ,sono consapevoli del ritardo del proprio paese nei confronti delle proprie necessità ma temono un incubo peggiore di quello che s’affaccia alla propria finestra, sono diffidenti verso qualsiasi messaggio non gli si presenti con radice locali e acquistano fiducia nel poi capirle espanse a livelli nazionali. Una cultura federalista in questo caso ma che sappia canalizzare l’indignazione legata alla sconfitta del mondo consumista in argini che i miei studi mi portano a credere etici. Il coraggio di fare il passo più lugno della disillusione.
    {un mediocre studente di lettere}

  33. caro gherardo,

    leggo solo ora i commenti; la frase sul “tutto sempre perduto in partenza” non era indirizzata a te particolarmente, era una constatazione generale: trovo che scontiamo una sorta di paralisi della volontà, che è in parte determinata dalle nostre stesse categorie di lettura della realtà; ma questo a livello più collettivo, che individuale; le energie ci sono, ma fanno enormemente fatica ad aggregarsi, appunto… per il resto credo che possiamo continuare la discussione in privato…

    a sergio soda
    non crederai mica ancora alla favola che per scrivere ci vuole talento e bisogna divertire? te lo dico perché so che tu sei un tipo molto divertente e di gran talento… attenzione! forse sono queste le ragioni del tuo insuccesso; ma dopo morto i tuoi nipoti si godranno le roialti (se vuoi godertele invece tu da vivo, devi scrivere senza talento; con un po’ di sforzo ce la puoi fare anche tu).

  34. hai fatto la scelta delle roialti per i nipoti; bravo, sei uno che si preoccupa per il futuro delle generazioni a venire. Ti meriti un bel pesce alla brace.

  35. @ inglese

    andre’ ma come? t’avevo appena fatto i complimenti per l’intervento di prima, nel quale per la prima volta avevi raggiunto lo standard medio di capacità d’ironia di un maschio caucasico, che rispolveri subito quelle battute da scuola media anni 78\81? uaglio’ ma si terribbile!… – senti andrea, poiché vorrei estendere la mia invidia anche ad altri campi, e poiché sono un povero insegnante precario nonché pendolare, potresti spiegarci come sei riuscito ad entrare all’università di parigi dove ho letto che insegni? siccome sono sicuro che sei una persona di un’onestà assoluta, e quindi non avrai beneficiato di alcun aiuto baronale, ci racconti il tuo percorso? sottolineando soprattutto i meriti particolari che ti hanno condotto a meritare questa condizione di privilegio. grazie

  36. che palle, veramente!
    magari, se uno fa delle cose e l’altro non le fa e si sente frustrato è perché il secondo perde il suo tempo a fissarsi sul primo.
    è una possibilità, giusto? non vogliamo provare a prendere in considerazione anche questa banalissima opzione?

  37. Sergio Sodastarri, prima di trasferirsi a Roma con le stesse reazioni di un Leopardi fresco fresco cioé stantio di Recanati, dove viveva prima?

    E perché tutti si ostinano a non dare una dritta a Giorgio Pollere sul dove comprare il pesce in Gracia? sono giorni che lo chiede, ormai sarà andato anche a male.

    Perché, oltre a queste due, altre domande la questione TQ non riesce più a stimolarmene.

    Dato l’atto primo, o Prologo Allungato, secondo me, per evitare di parlarsi addosso, serve il secondo atto, intitolabile – Azione!; si pure quella di stare fermi in scrivania a leggere, studiare e scrivere – come fanno quelli di Nazione Indiana, che poi non ho capito bene come si collogano DENTRO i TQ.

    Altrimenti non si parla né per invidia né per acribia né per il resto delle voci del catalogo dei rosiconi-anche-se-ce-la-mettiamo-tutta-per-non-esserlo: ma giusto per far qualcosa, in attesa che qualcun altro ne faccia una, a sua volta, abbastanza degna per essere commentata.

    Non convegni, ma pubblicazioni, progetti, convocazioni, readers, festival, picnic al lago: dai, il resto sembra sia solo la valvola di sfogo dei frustrati.
    ( Nazione Indiana ha fatto le foto e la festa le ha fatte, i TQ, almeno, si divertono?)

    Un saluto!
    Antonio Coda

  38. caro soda prima di cassare tutti i tuoi prossimi commenti,
    ti ricordo che insegno all’università di Parigi perché mio padre ne è il proprietario

  39. Confermo. Il padre di Andrea si chiama Antony Sorbonne (si pronuncia all’inglese, però).

  40. per favore, non mi levate sergio soda star.
    o almeno non del tutto.
    considerate che ci sono molti modi di essere intelligenti e che alcuni possono essere anche fastidiosi.
    ma servono pure quelli.

  41. pecoraro basta che tu esponga pubblicamente il tuo indirizzo mail e soda star t’intaserà la mail con il suo spassosissimo spam, e in più lo farà direttamente a casa tua, rispettando così il gusto diversificato dei consumatori (io credo di aver ben interpretato i suoi desiderata e ho segnalato appunto come spam i suoi divertentissimi messaggi)

  42. Andrea Inglese

    Secondo me, se lei stirerà tutti i prossimi commenti dell’intasatorio Soda Star, almeno non dovrebbe stuzzicarlo. Se invece poi non li castra sti commenti, lo stuzzichi che potrebbe diventare più divertente che i TQ

  43. Dinamo, l’architetto Biondillo l’ha spiegato bene, gli Inglese sono della famiglia londrina dei Sorbonne, che si pronuncia sor banne, dal verbo to banner, come il nostro bannare in italiano.

    Con questo, in solidarietà ai (s)oppressi e ai d(b)annati di tutto il mondo, annuncio le mie irrevocabili dimissioni da questo blog, che in ogni caso ringrazio per l’ospitalità. Spedirò al vostro indirizzo mail copia dei file di un post di Inglese dove fu censurato un mio intervento critico, come risulta dalla doppia copia del file, PRIMA CON, POI SENZA IL MIO INTERVENTO, che parlava di Simone Weil e Samuel Beckett, e che non conteneva offese né sarcasticherie, ma solo tesi diverse da quelle engagiste dell’articolista. D’ora in poi, se ne avrò voglia, aprirò sul mio blog una pagina quotidiana per commentare, se mi andrà, i vostri post, nonché quelli di un’altra serie di blog democratici che censurano sistematicamente, o che, in subordine, aggrediscono chiunque manifesti scetticismo ed opinioni eterodosse. Cari saluti e buon proseguimento.

    Ps: i saluti valgono per tutti fuorché per Marco Rovelli, che mi ha appena dato del fascista perché non è stato soddisfatto di certe mie argomentazioni, poi ha chiuso i commenti, mostrandosi un tantino nervoso. Non mi piacciono le persone nervose.

  44. se Larry Massino ospita gli altri-menti sul suo e Sergio Soda Star balla Il cobra non è un serpente interpretato da Sabrina Salerno nei panni della Gradisca sopra le email-fiume… altro che Libia-Lampedusa… ce ne imo a emigrà tutti dall’artra parte…

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Sono musicista, quando si studia un brano si considera che anche il silenzio, la pausa sia musica. Compositori come Beethoven ne hanno fatto uso per sorprendere, catturare, ritardare le emozioni del pubblico, il silenzio parte della bellezza. Il silenzio qui però non è la bellezza. Il silenzio che c’è qui, da più di dieci mesi, è anti musicale, è solo vuoto.
francesco forlani
francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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