Alcor gentil rempaira sempre


«Cari, Alcor si è ricongiunta con me e insieme abbiamo costruito un libro con una parte dei vecchi pezzi del suo blog. Francesco e Gherardo sono stati così gentili da volerne postare qualcuno qui.

Non sarà facile trovare questo libro, bisognerà volerlo molto e se qualcuno ci tenesse spero di facilitargli le cose indicandogli il sito del suo editore. ( Cicero editore Venezia ) »
Baci
Silvia

da
Come sono finita dove sono finita
di
Silvia Bortoli

traslocare
Bisognerebbe traslocare, ogni tanto.
Ho letto che il trasloco e il divorzio sono gli eventi più traumatici nella vita di una persona, lutti a parte.
Ma per gli ammucchiatori il trasloco è l’unico modo per liberarsi del passato, dei sensi di colpa, delle cose inutili che hanno accumulato negli anni, di quei fondi di cassetto di cui un poco si vergognano e che vorrebbero essere ripuliti, riordinati, sgomberati, e nessuno li ascolta.
Io dovrò traslocare, tra poco.

Ogni tanto apro gli armadi e guardo i vestiti appesi cercando di decidere che cosa butterò. Ne ho alcuni che hanno trent’anni. Strani. Mi chiedo perché li ho comprati, come mai mi sono piaciuti, sempre che mi siano piaciuti, com’è possibile che mi piacessero quei colori, quei tessuti, quei tagli.

Le scarpe le butto con maggior facilità, viaggio prevalentemente con un vecchio paio di Nike color muffa che mi ha regalato il mio ex marito un giorno che l’ho incontrato mentre stava preparandosi ad andare in Cina, qualche anno fa.
Abbiamo passato un paio d’ore a provare scarpe adatte a camminarci dentro dodici ore al giorno e per la mia pazienza sono stata premiata con il paio gemello delle sue. Il viaggio in Cina però non l’ho fatto.
Ma i vestiti non li butto. Perché fatico tanto a liberarmene? mi chiedo. Sono una collezionista?

Quand’ero bambina i vestiti si passavano tra fratelli e cugini, dev’essere un ricordo di quell’educazione contraria a ogni spreco. I cappotti si rivoltavano e uscivano quei tessuti strani, anche belli, imprevisti. Il pranzo rifiutato te lo rimettevano davanti la sera e il vestito di tua cugina cresciuta toccava a te, anche se il verde ti faceva sembrare malata.
Dev’essere questo.

Ho conosciuto un’americana, anni fa, che aveva traslocato venti volte e le sue case nascevano pronte al trasloco, semplificate, quasi scivolose, fatte per infilarsi automaticamente negli scatoloni, nei camion, nei containers.
Le mie case no, ho traslocato solo sei volte, non sono ancora pronta, non mi sono ancora specializzata.

Ho grumi di cose che aspettano di essere “selezionate ed eliminate”, giornali, libri di scuola, guide Michelin degli anni ’90, due contenitori con tutte le ricette uscite sui magazine del Corriere e della Repubblica, ritagliate e ordinatamente inserite. Ne avrò trecento e non ne ho mai provata una. Un cappello con la veletta e un buco all’altezza del naso. Due foulard giganti che non si possono usare nemmeno come parei perché sono quadrati, e tutti e due hanno una scoloritura grande quanto un’unghia nello stesso punto. Cinture di impermeabili che non possiedo. Otto scatole di dischetti vecchi che il mio nuovo sistema non sa leggere, l’hard disk rotto del computer con dentro quattro anni di posta. Le matrici degli assegni di una banca in cui avevo un conto trentatrè anni fa.

Due scaffali pieni di contenitori e cartelline con “cose d’altri” cioè prevalentemente poesie e testi di amici in fase di avanzamento. Tre radiografie formato lenzuolo della mia spina dorsale più altre più piccole di altri pezzi di scheletro, una anche della testa. Numeri spaiati di riviste varie, Aut Aut, Quaderni rossi, Quaderni Piacentini, Per la critica, Verri di Anceschi e nuovo Verri, tre numeri di Angelus Novus. Fotocopie di materiali per la mia tesi. Una tesina di storia della Chiesa in età conciliare, scritta a macchina. Ogni tanto mi siedo davanti a mio marito e cerco di convincerlo a vendere tutti i mobili. Lui mi guarda e dice, perché no? mi sembra una buona idea.
Il fatto che dica di sì, essendo lui un uomo tutt’altro che pratico, uno che se deve star via dieci giorni si porta dietro venti camicie, mi lascia perplessa.

illuminazione

Sul display del mio cellulare, sotto la scritta Vodafone, è comparsa la parola “Illuminazione”. Sarà un segno, mi dico, forse devo cercarla, del resto le cose si sono un po’ appannate, ultimamente.

notturno

Anni fa, ho avuto una breve passione cinematografica per Rüdiger Vogler.
Rompevo parecchio, evidentemente, perché un giorno, alla Mostra del cinema, l’uomo con cui ero, vedendolo passare, gli è corso dietro e lo ha fermato. Scusi, gli ha detto, c’è una persona che vorrebbe conoscerla, e così io e Rüdiger Vogler ci siamo stretti la mano. E poi io ho picchiato l’uomo con cui ero.

Queste cinque futili righe, qui sopra, frutto dell’insonnia, non le voglio cancellare, nonostante la loro assurdità.
A chi interessa infatti che io abbia stretto la mano a Rüdiger Vogler? A me certamente no, e tanto meno a voi.
Tra l’altro non ci siamo detti niente di memorabile, com’è ovvio, prima di riprendere ognuno la propria strada.
E neppure me lo ricordavo, ma la mente faceva il suo lavoro da galeotta, chiusa nella mia scatola cranica, e non riusciva a trovare la porta per entrare nel sonno, perciò frullava frullava frullava inutilmente finché non mi sono alzata, ho preso un sonnifero e mentre aspettavo che facesse effetto sono venuta qui a fumarmi una sigaretta e ho acceso il computer.

Ho un’amica che medita e ha cercato di insegnarmi.
Lei chiama quel lavorìo della mente che distrae dal perfetto distacco, la scimmia.
A me sembra invece che abbiamo nella testa un biliardo dove i pensieri – quelle bocce fatte di un agglomerato di immagini, percezioni e frammenti – schizzano urtandosi da una sponda all’altra della nostra percezione di noi che forse è dentro di noi o forse è noi.

Una delle ragioni per cui non sono stata una brava allieva è l’acuta diffidenza del mio ego che mi sussurra, ma se mi metti al bando, che cosa resterà? Insomma, ho paura del vuoto pneumatico della mente, non mi sembra salvifico.
Se mai arrivassi al nulla perfetto, mi chiedo, sarei contenta felice placata? La mia attività cerebrale muterebbe?
E con quali risultati? Quella stretta di gioia che mi viene a volte quando vedo una persona che amo, si stempererebbe in un amore generale, sì, ma più tiepido e flebile?
Ho davvero voglia di lasciare le mie nevrotiche spoglie occidentali sulla sedia, come un vestito smesso?
Me ne starei qui a chiacchierare?

Però la notte quel vuoto lo cerco, come tutti, e invece a volte le palle sbattono frenetiche contro la sponda e quanto più futili, tanto più numerose e implacabili, perciò, non so per quale traiettoria e uscito da dove, nel rettangolo del mio biliardo è schizzato Bruno Ganz e rimbalzando ha spinto verso di me il ricordo di Rüdiger Vogler, e io lascerò qui il brandello delle mie inutili fatiche notturne, per ricordarmi che quando non si riesce a dormire è meglio leggere che scrivere.

[Di Bruno Ganz mi era tornato in mente questo:
Una notte d’inverno ero alla fermata del vaporetto ed è arrivato per l’appunto lui, avvolto in un cappottone. Ce ne stavamo lì nella nebbia ad aspettare, solo noi due, Bruno Ganz e io, e ci eravamo riconosciuti. O meglio, io avevo riconosciuto lui, e lui aveva riconosciuto la spettatrice di buona memoria. A un certo punto non mi è sembrato bello far finta di niente, come se avessi incontrato mia zia e fingessi di non vederla, perciò, se non altro per la Marchesa di O., gli ho sorriso e ho detto, grazie. Lui mi ha fatto un sorriso radioso e ha detto, prego. E poi è arrivato il vaporetto.]

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33 Commenti

  1. Il primo testo trova il mio cuore come tamburo. Con delicatezza Silvia Bortoli svela l’aspetto di morte et di nascita collegato a un trasloco. Gli oggetti erano rimasti da anni, non c’era coraggio per buttarli, perché- credo che Silvia sia nella stessa anima della mia- un oggetto rievoca in lui molti ricordi, certo i colori sono spenti, sbiadati, ma il colore vivo della memoria è li- Scarpe- certo- nel testo di Silvia- ma anche vestito, quello che avevo portato per ritrovare l’uomo che amavo, mai passato alla lavatrice, impronte delle carezze invisibili, ma ero nella certitudine che erano- un raggio di sole in trasparenza, e il mano del mio amore sarebbe svelato-
    Ecco un testo che mi parla- i testi in francese che ho buttato- sotto il polvere- una vecchia foto di me sotto un albero- una lettera mai mandata. Per me ho avuto un impressione di lutto, come si fosse morta- quando sono arrivata nel fondo dell’armoire, con un vestito tutto bianco,
    poco indossato. Era li il fantasma del mio corpo che dondolava a un ometto.
    Ma in questo momento- dopo avere dato i miei mobili a Emaüs ( (organizzazione di recuperazione dei mobili)- perché non potevo pagare un trasloco tra Amiens e Arles- ho le mie stanze quasi vuote- e mi sembra respirare- Questo trasloco- forse non è il caso per Silvia non è marcato dalla separazione, ma dalla felicità di partire verso Sud in una città magnifica, nella vicinanza dell’Italia, mio paese di elezione, una città romana.

  2. Quando una settimana fa ho letto della passione di Silvia per Rüdiger Vogler mi sono chiesto chi fosse. Non avevo la possibilità di verificare in internet, così me lo sono dimenticato. Oggi che ho riletto il pezzo a lui dedicato ho fatto la mia ricerca e ho scoperto che Rüdiger Vogler è l’unico attore di cui io abbia notizia che in un film fa *veramente* la cacca. E’ in “Nel corso del tempo”, di Wim Wenders. Il libro di Silvia ve lo consiglio in toto. Peraltro.

  3. nel senso che

    Alcor gentil rempaira sempre Silvia

    è molto più bello, oltre che filologica-mente più corretto
    e poi, vuoi mettere, un Guido e Giacomo uniti nella lotta è un altro endecasillabo niente male

    Auguri, Alcor!!!

  4. all’inizio pensavo d’ accogliere la formula così com’era stato proposto:

    Alcor gentil rempaira sempre Silvia

    certo l’endecasillabo sarebbe stato salvo ma Alcor no
    e allora ho optato per la formula attuale

    Alcor gentil rempaira sempre

    effeffe

    e

  5. ecco cosa avrei potuto chiedergli, ma lei fa la cacca a comando, o la troupe è rimasta ad aspettare sulle dune finché le è venuta voglia? è stato un problema dibattuto, ai tempi

  6. Leggerò il libro con grande piacere, Alcor.
    Intanto ti faccio i miei complimenti e auguri non di rito.

    fm

    p.s.

    Vedo aggirarsi vecchi “fantasmi” nel colonnino dei commenti… Mi sbaglio?

  7. io sì, stavo lì sulle dune da un pezzo, dritta sul mio cammello, il velo bianco svolazzante contro uno sterminato cielo rosso fuoco.
    cvl, facevo una porca figura, a vedermi.

  8. Caro Francesco Pecoraro, scusa ma ho completamente travisato il senso del tuo “no”, mettendolo in relazione alla mia affermazione e non alla domanda finale che avevo fatto.

    Leggi la mia risposta precedente in questo senso:

    La cosa mi deprime, e non poco.

    E ho usato un eufemismo…

    fm

  9. come mi hanno fatto notare “a parte”, la causa della vostra confusione potrei essere io
    ho sbagliato a mettere il link e mi sono anche rimodellata il nick per l’occazione:D

  10. @ Pecoraro

    L’ho capito dopo. In un primo momento (causa stanchezza) avevo associato la tua risposta negativa alla presenza di “vecchi fantasmi”.

    Che, purtroppo, ci sono: la puzza di cipolla andata a male è inconfondibile.

    fm

  11. incredibili le meraviglie della tecnica:–)

    grazie winston

    ma anche se i pezzi sono presi da un blog, un blog è un blog e un libro è un’altra cosa, non solo per la scelta, l’ordine, i cambiamenti che fai, gli snodi che costruisci, etc., è l’oggetto libro a cambiare la percezione delle cose.
    E’ una trasformazione interessante, non che non lo sapessi, basta vedere come cambia un testo quando lo scrivi sul computer e poi te lo stampi sui fogli A4. Ma quando poi viene stampato per davvero, cambia ancora.
    Tanto che alla fine di questo lavoro mi sono detta che tutto sommato il libro non morirà tanto in fretta, e non verrà sostituito tanto in fretta dalle tavolette. E’ l’oggetto che è magico:–)

  12. @fm
    solo qua sotto, per segnalare l’unione ritrovata, poi tornerò la vecchia alcor

    grazie anche a te, carmine

    winston, io tendo sempre a pensar bene, e ho pensato bene anche del tuo link, ma se per caso – il grande cocomero non voglia – fossi stata troppo fiduciosa, i pezzi del libro nel blog non ci sono più :D

  13. no di certo, al nord se la libreria già non ce l’ha basta ordinarlo, a Milano per esempio so che è da Cortina, in Festa del perdono, anche se credo dipenda molto dai rapporti diplomatici che si sono stabiliti tra libraio e distributore, al sud invece è più complicato, io per esempio, se ne volessi una copia, qua dove sto, temo che non riuscirei ad averla se non ordinandola a IBS etc. o cominciando una defatigante trattativa col libraio

  14. grande Alcor, persona specialissima vista una volta sola, lo sapevo! Non potevi solo traghettare le parole degli altri, c’era, doveva esserci per forza dell’altro… Sappi: quel Ganz molto mi tenta, ti leggerò.

  15. un libro che mi ha accompagnato stretto tenuto compagnia
    un libro che non si lascia sorride fa quello che solo un libro bello sa fare
    farsi leggere
    in un colpo solo
    volevo dirlo tutto qua
    bravissima
    c.

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francesco forlani
Vivo e lavoro a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman . Attualmente direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Spettacoli teatrali: Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet, Miss Take. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Métromorphoses, Autoreverse, Blu di Prussia, Manifesto del Comunista Dandy, Le Chat Noir, Manhattan Experiment, 1997 Fuga da New York, edizioni La Camera Verde, Chiunque cerca chiunque, Il peso del Ciao, Parigi, senza passare dal via, Il manifesto del comunista dandy, Peli, Penultimi, Par-delà la forêt. , L'estate corsa   Traduttore dal francese, L'insegnamento dell'ignoranza di Jean-Claude Michéa, Immediatamente di Dominique De Roux
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