DEBTOCRACY di Katerina Kitidi e Aris Hatzistefanou

[ quando inizia il video click CC in alto a destra per i SOTTOTITOLI IT ]
 
DEBTOCRACY [ Χρεοκρατία ]
[ Sito Ufficiale EN ]

Per la prima volta in Grecia un documentario prodotto dal pubblico. ⇨ DEBTOCRACY [Wikipedia EN] cerca le cause della crisi provocata dal debito pubblico e propone soluzioni che non vengono prese in considerazione dal governo e dai media dominanti.

 
Una, forse, lunga visione ma che, assai pregevele nella fattura, tra analogie e differenze ci fa sentire che la Grecia è vicina, più di quanto non si pensi e più di quanto sugli organi di informazione se ne dia notizia.
 

χρέος [krèos] debito e κράτος [kràtos] potere
δήμος [dèmos] popolo e κράτος [kràtos]potere

 
Il documentario, finanziato attraverso donazioni, si avvale della partecipazione di personalità del mondo socioeconomico e culturale:

  • David Harvey geografo e antropologo
  • Hugo Arias Presidente del comitato per l’analisi del debito dell’Ecuador
  • Samir Amin economista
  • Gerard Dumenil
  • Costas Lapavitsas economista
  • Alain Badiou, filosofo
  • Manolis Glezos membro della Greek Resistance e politico di sinistra
  • Avi Lewis giornalista e regista cinematografico
  • Fernando Solanas regista cinematografico

 

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20 Commenti

  1. strano… quando parte il video dovrebbero apparire queste schermate per scegliere la lingua
    prima si clickka su cc e poi su it


     
    [ … piuttosto in certi momenti i sottotitoli non paiono sincronizzati benissimo e il precedente resta visibile in contemporanea sopra i successivi per un po’… ]

    ,\\’

  2. Ok, visto quasi tutto.
    Sarà anche di ammonimento per noi italiani ma, come scrivevo da qualche parte, una scuola medio elementare su un’isola dell’egeo con 13 insegnanti di educazione fisica e 23 di altre materie per 11 alunni, una roba del genere noi non l’abbiamo avuta manco con la peggiore DC. Se questo è il welfare costruito in Grecia, come lo è, il fallimento è ahimè giusto e inevitabile, a meno di non dissotterrare il buon vecchio, e pomiciniano, Keynes.
    Dall’inchiesta si apprende che questi, i greci, hanno sempre campato sui debiti, così come voluto da quel 5% di armatori che hanno in pugno la loro economia e dai grandi gnomi del FMI (in effetti sono gli gnomi di Washington e precisi ambienti di Atene ad aver imposto ai franco – tedeschi l’ingresso nell’euro della grecia, che per inciso con l’Europa carolingia non c’entra un piffero).
    Ora lo gliuommero è che il gigantesco debito ellenico ce l’hanno in portafoglio le banche tedesche e francesi, che da una parte hanno da rientrare dopo la crisi dei subprime e dall’altra ‘devono’ chiedere l’espulsione della Grecia per crimini contro l’euro (la cosa un po’ ricorda la trita storiella del capitalista che vende la corda al boia che lo impicca).
    C’è però da osservare che tecnicamente Atene è già fallita, avendo il mercato fissato il corso dei Bot greci a un prezzo di 55/60, contro un valore di origine pari a 100 e rendendo superflua l’emissione di altri bond ellenici a 10- 15 anni, anche se promettono un rendimento del 15%, perchè varrebbero carta straccia (per capirci: un nostro Btp al 4% e scadenza ’37 quota 80, mentre quello con rimborso 2040 e remunerazione al 5,5% viaggia quasi alla parità. E’ questo l’indicatore da monitorare per capire se siamo prosismi al default ).

    Che altro dire, forse moriremo cinesini. Ma questa è un’altra narrazione.

  3. Anche se l’argomento è poco letterario – ma quegli euzoni e la musichetta chi se li scorda – volevo aggiungere di essere d’accordo con i conduttori sull’avvenuta finanziarizzazione del capitalismo occidentale a partire dagli 80. Se però, come osservano, si sia trattato di una punizione nei confronti di sindacati e lavoratori non saprei. E’ tuttavia indiscutibile a) che il valore della forza lavoro in questi 30 anni abbia subito un brusco depauperamento a causa di una globalizzazione voluta dallo stesso occidente, b) che proprio la Cina stia finanziando la sua crescita eccezionale sia grazie a una manodopera a basso costo che in virtù di un’economia fondata su massicci investimenti produttivi, anchsia pure di stato.

  4. Grazie Orsola, questo documentario è un ulteriore tassello di quella che costituisce la progressiva presa di coscienza collettiva dell’impostura dell’ideologia liberista; è una vera guerra dell’informazione questa; da un lato, l’informazione monopolizzata dai gesuiti del XXI secolo, tecnocrati e economisti, al servizio di una élite planetaria del capitale, e dall’altro l’informazione “ricostruita”, resa intelligibile e restituita ai cittadini, a tutti i cittadini, e che immediatamente ha delle conseguenze politiche.

    Per chi volesse approfondire il caso argentino rimando al documentario di Fernando Solanas Memoria del saqueo (Diario del saccheggio), del 2003:

    qui si dovrebbe poter vedere: http://www.dailymotion.com/video/x8tw36_memoire-d-un-saccage-1-8_webcam

  5. Gentile Andrea Inglese, leggo dal sito Alfabeta, da lei citato, quanto segue:

    “Ogni discussione politica sulla gestione dell’economia sembra arenarsi di fronte ad una serie di questioni presentate come apparentemente ineludibili: l’insostenibilità del debito pubblico, l’efficienza dei mercati, il pericolo dell’inflazione. Si delimita così, in partenza, la visuale del fenomeno analizzato, impedendo soluzioni diverse e alternative. Presentiamo alcuni contributi che mettono in discussione proprio alcune di quelle verità che gli scienziati economici, soprattutto quelli più presenti nei nostri organi d’informazione, danno per scontate.”

    Sarei molto interessato a leggere di queste soluzioni diverse e alternative che vengono negate poichè non sono riuscito a capire da dove si accede al Focus.

    Una domanda tuttavia urge fin da dove: quando si afferma che questioni come l’inflazione e il debito pubblico sono capziosamente presentate come ineludibili e che ci sarebbero ben altre vie da percorrere, quali sarebbero queste vie alternative? lei le conosce? se sì per cortesia le esponga qui e ora. Ma lo sa che l’attuale congiuntura negativa nasce proprio da una dissennata politica di deficit spending degli anni 80? e che se avessimo i conti a posto ci sarebbe spazio per enormi investimenti produttivi in servizi, welfare, opere pubbliche? lo Stato inglese a chi perde il lavoro paga non solo lo stipendio ma anche l’affitto di casa! e perchè da noi non te lo pagano l’affitto quando sei in cig? se l’è mai chiesto il motivo? vada a legggersi un po’ di conti pubblici inglesi, forse capirà
    Parlare per solgan è controproducente e punitivo proprio nei confronti di chi è più colpito dalle varie crisi, le classi lavoratrici.

    Cordialità

  6. a Capone

    “e che ci sarebbero ben altre vie da percorrere, quali sarebbero queste vie alternative? lei le conosce? se sì per cortesia le esponga qui e ora.”

    Qui e ora non le espongo proprio niente. Primo perché non sono un economista, secondo perché se si fosse guardato per intero il documentario linkato qualche prima risposta l’avrebbe trovata. Lei agita giustamente il senso comune, che legittima le politiche neoliberiste. Nulla di nuovo. Ma vi sono anche economisti eretici. Sulla colonna di destra del sito http://www.alfabeta2.it troverà un riquadro intitolato focus, con una serie di articoli relativi al tema del confronto tra paradigmi economici. Anche lì, troverà delle risposte, magari non conclusive, ma sufficientemente articolate.

  7. Inglè, se lei non è un economista, a livello di prima comprensione, intendo dire, è inutile che si impermalosisca. Io, che di letteratura e in specie di poesia, ne capisco quanto lei di economia, non mi azzardo a postare per slogan, per giunta citando a supporto un filmato. O lo faccio terra terra, e non c’è niente di male perchè poeta o scrittore non sono, o mi sto zitto. Sia meno supponente, su, e scenda dal carro di fuoco del profeta che non mi ricordo mai come si chiama. Cordialmente

    Capone

  8. Capò, mi dispiace, la mia risposta è venuta un po’ secca, alla sua perentoria richiesta di un modello economico alternativo pret-à-porter, ma vede:

    1) l’aneddoto che lei cita, come causa del deficit greco potrebbe avere benissimo corso in un programma di Emilio Fede, che è convinto che il problema, nel globo terracqueo, è la presenza di costose e superflue scuole pubbliche;

    2) qualche indicazione differente sui meccanismi dell’indebitamento della Grecia, il documentario li dà, fino a mostrare come la nozione di “debito detestabile” sia al centro della mobilitazione popolare greca

    3) i mie slogan valgono quanto i suoi aneddoti; siamo su un perfetto livello di parità; si discute terra a terra; ed è bene che lo si faccia sia di letteratura che di economia; ci mancherebbe che dovessero esprimere una loro valutazione su un libro solo i laureati in critica strutturalista o decostruzionista; in modo ben più evidente questo riguarda le politiche economiche, che come il documentario le ricorda posso accorciare di 5 anni le speranze di vita della popolazione a cui vengono applicate (Samir Amin, sul caso Argentina).
    La questione riguardo all’economia non si gioca nei termini di: l’esperto parla il non esperto stia zitto. Ma semmai: “quale esperto ci parla?”, nel senso quale degli esperti è in grado di parlarci, di fare senso con il suo discorso, senza trincerarsi dietro tecnicismi, e considerandosi solidale con coloro a cui il suo discorso è diretto.
    Da non specialista, io continuo a leggere libri e articoli sull’economia, e non solo di economisti, ovviamente. E questo mi ha permesso di comprendere il lato criminale di molto libero mercato imposto con la forza dai paesi più forti a pesi più deboli, o da istituzioni internazionali a singole nazioni. Siccome esiste una vasta letteratura su questo, non faccio che invitarla a conoscerla. E il focus allestito su alfabeta può essere un ottimo inizio.

  9. Inglè, a volte la fabula e il nanetto valgono una teoria. Se però lei il nano lo estrae da un contesto generale e mi arriva a Fede, il povero si mette da parte e fa posto alle cifre, che parlano di un deficit pubblico al 165% del PIL. Come a dire che in famiglia si guadagna 100 e se ne spende quasi il doppio, e non sta bene, altrimenti succede come il butadiene di Priolo. E insomma io facevo il conto economico di quella roba là, che rendeva il sette per cento con l’inflazione al ventiquattro. E mi meravigliavo, dicevo a me stesso e ai supercapocchioni: ma come si fa? Eeeeeh, ma tu che vuoi?si fa che poi viene quello della seisettesei e io pago. Ma lo scherzo è bello se non indurisce, perchè a furia di sgherzi andarono a buon donne quel fottuto di butadiene, i soldi di io pago, e i poveretti di operai, sovrannumerari e non. Lei dirà, ecco! quei porci di capitalisti, anatema. Non si sprechi, io li chiamerei soltanto vil magnoni. E la Grecia è vicina.

  10. Caro Capone, ho visto che lei è un fior di imprenditore verde. Senz’altro, dunque, più concreto di me. Ma ragion di più per mettere il naso, in modo spregiudicato, in coloro che criticano il pensiero unico economico, quello che domina nel 96% dei casi le pagine di finanza economia e affari di tutti i quotidiani del paese e non solo.

  11. Beh, anche io il naso lo metto in quelli che fanno letteratura. La contaminatio è l’espressione più alta del talento ( non è il caso mio, naturalmente).
    Saluti.

  12. La denuncia del filmato mi sembra ben fondata, però non sarei convinto che si tratti di un problema di “neoliberismo”. Le tesi dei vari Mises, Rothbard, Hayek ecc. non mi sembrano dominare la scena politica, o ideologica, della globalizzazione, soprattutto per quanto riguarda la questione cruciale del denaro: a comandare le danze mi pare essere il sistema della banche centrali, che mi risulta avversato da questi intellettuali. Però è interessante come la polarità pubblico/privato diventi cangiante quando ci si avvicina a questi nodi: le banche centrali rappresentano chiaramente una gestione pubblica del denaro, della quale si sono però impossessati compatti interessi privati, che pare abbiano finito per comprarsi quasi l’intera politica. Barnard, nelle sue appassionate invettive, predica di fatto la soluzione dei “greenbackers” americani, che però non mi convince troppo sul piano teorico. E’ un casino perché le diverse posizioni appaiono del tutto irriducibili. C’è tanto da studiare.

  13. Più in sintesi, il neoliberismo inteso come liberazione delle potenzialità economiche dai vincoli politici (controllo illuminato o “mano morta” che siano) mi sembra una specie di foglia di fico, o cortina fumogena, nei confronti di politiche di dominio finanziario basate sul controllo del debito che si pongono obiettivamente all’opposto della libera concorrenza (vedi i vari “too big to fail” ,“moral hazard” ecc.) ed assomigliano piuttosto ad una forma, molto sofisticata e strutturata, di fascismo.

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